Come riportare le persone in ufficio? è questa la domanda che si pongono oggi molti Leader aziendali, ma trattandosi di una domanda mal posta, probabilmente non troverà risposta. Quello che stiamo infatti imparando (una volta per tutte) è che per riprogettare il lavoro, non basta lo smart working: serve una nuova leadership e riuscire a rendere le persone partecipi del cambiamento e del risultato finale per l’azienda.
Lo smart working proseguirà per ampie fasce di popolazione
L’esperienza degli ultimi due anni ha dimostrato sia la possibilità per le persone di lavorare con elevati livelli di produttività e collaborazione fuori dall’ufficio, sia anche benefici del tutto nuovi rispetto al passato, come il risparmio sulle ore di commuting, la riduzione di spostamenti e inquinamento, la possibilità di dedicare più attenzione al work-life balance e alla salute personale.
Nonostante la decrescita della curva pandemica abbia permesso da tempo di tornare in ufficio, come registrato anche dalla survey svolta da The Innovation Group a inizio anno (secondo cui il numero medio di operativi in sede sarà nel 2022 il 57% dei dipendenti, rispetto al 48% del 2021), la tendenza vede oggi un proseguimento delle modalità lavorative da remoto, e l’emergere di forme sempre più ibride di lavoro, con presenza in ufficio, possibilità di stare qualche giorno a casa, maggiore flessibilità ma anche richiesta di connessione e raggiungibilità costante.
Quali sono oggi le preferenze delle persone?
Le aspettative dei dipendenti sono molto cambiate negli ultimi anni, la pandemia ha fatto emergere una domanda di “senso” che non era così evidente prima. Oggi (come emerge ad esempio dallo studio Work Trend Index di Microsoft) c’è una linea di demarcazione più chiara che non in passato tra ciò che è importante (salute e famiglia sono al primo posto), e ciò che lo è di meno. Cosicché, nel valutare la propria condizione lavorativa, gli aspetti diventati più importanti sono: cultura positiva nel lavoro (46%), benefici per la salute mentale/benessere (42%), senso di scopo/significato (40%), orari di lavoro flessibili (38%) e più delle due normali settimane di ferie ogni anno (36%).
Dopo aver “assaggiato” i vantaggi del lavoro svincolato dalla presenza in ufficio, i dipendenti – pur con una situazione pandemica molto attenuata – chiedono livelli di flessibilità ancora superiori! Secondo lo studio di Adobe “Future of Time”, se ad oggi la flessibilità completa nel lavoro è appannaggio solo di un 23% dei dipendenti, vi aspira almeno uno su due (il 51%). Invece, nessuna flessibilità (ossia, lavorare in ufficio con una schedulazione oraria prefissata) è preferito da pochi (dal 16% degli intervistati).
In Germania (paese in cui attualmente un numero elevato di lavoratori, il 39%, gode già di completa flessibilità) aspira a questo obiettivo per il futuro addirittura il 54% degli intervistati. Al lato opposto, in Giappone, solo il 12% dei lavoratori beneficia di questa modalità di lavoro, ma vi aspira il 48% dei dipendenti. Chi poi è decisamente favorevole al lavoro flessibile sono le generazioni più giovani: il 73% dei Millennial, infatti, si dice pronto a cambiare lavoro per ottenere incrementi di flessibilità (mantenendo compiti e stipendio costanti).
I gap da superare, gli obiettivi ideali da raggiungere: verso il lavoro ibrido e inclusivo
Quello che manca in questo momento è però la capacità del management di prendere atto della nuova situazione e venire incontro alla domanda dei lavoratori. Come farlo è un compito ancora piuttosto complesso.
Un primo aspetto è progettare i nuovi ambienti di lavoro, che devono accogliere la domanda di flessibilità di ogni dipendente mettendo a disposizione sia punti dove lavorare individualmente, sia aree di collaborazione e luoghi di contatto dove “ricostruire” il team building (che si è andato perso negli anni della pandemia). L’organizzazione può infatti fare molto per ricostruire alcune “qualità” del lavoro che sono state sottovalutate nell’ultimo periodo, come la fiducia reciproca tra le persone, il fare team, collaborare e imparare a risolvere i conflitti interni.
Poi, bisogna oggi ripensare l’iper-connettività che è stata costruita nell’ultimo periodo e ridurre il cosiddetto “tecnostress”. Un esempio: verificare che non ci sia un eccessivo sovraccarico digitale ed evitare che tutto il tempo lavorativo sia impegnato in continue riunioni online. Sarà anche necessario riportare i dipendenti a incontrarsi in riunioni in presenza, per superare alcune frustrazioni legate al digitale.
Infine, attenzione al well-being delle persone: il management potrà cogliere l’occasione del ripensamento organizzativo per venire incontro alla domanda, agli interessi e alle necessità dei singoli individui, progettando un ambiente sempre più inclusivo, pronto ad abbracciare le diversità e in grado di dare la possibilità a tutti di portare un proprio contributo. Un modello di lavoro ibrido e inclusivo può quindi essere l’occasione per dare a ciascuno l’ambiente lavorativo che risponde meglio alle proprie esigenze e che gli permette di migliorare le proprie prestazioni nel lungo termine. Le organizzazioni dovranno quindi puntare a raggiungere il massimo consenso attraverso tutti i gruppi che le compongono, facendo leva su collaborazione, impegno, autonomia e coinvolgimento, trasparenza e rispetto reciproco, con una preoccupazione genuina verso il benessere di tutte le persone che compongono l’azienda.
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