N. Novembre 2017
a cura di Camilla Bellini
Senior Analyst, The Innovation Group
Questo mese abbiamo fatto colazione con…
Marco Moretti, Presidente, A2A Smart City e CIO, A2A Group
Abbiamo intervistato Marco Moretti, Presidente di A2A Smart City e CIO di A2A Group, sul tema delle piattaforme abilitanti un modello di città digitale e sul ruolo dei dati come pilastri della smart city.
Da A2A nasce A2A Smart City: come prende forma questa esperienza?
A2A Smart City è una start up, partita quasi da zero due anni fa, che riprende quanto già A2A stava facendo (e da sempre fa) nelle città e lo sviluppa verso un modello di “città digitale”. Così nasce A2A Smart City. Alla base di questa scelta ci sono due elementi fondamentali: da un lato, la consapevolezza che questo è un momento particolare, dove la crescita esponenziale del potenziale del digitale e le nuove tecnologie emergenti non solo stanno trasformando il mondo delle imprese, ma stanno radicalmente modificando anche la società e i nostri modi di vivere; dall’altro, A2A è un’azienda multiutility che storicamente ha costruito infrastrutture nelle città e da sempre è stata attenta all’innovazione. In altre parole, tutto nasce dalla commistione dello sviluppo tecnologico, oggi esponenziale, e del ruolo tradizionale delle utility nell’infrastrutturalizzazione della città, ruolo che in passato riguardava tecnologie quali il teleriscaldamento o la fibra ottica e che oggi nasce dalla digitalizzazione della città tramite la convergenza di fibra ottica, reti di comunicazioni evolute, reti in banda stretta e IoT.
L’infrastruttura che oggi A2A promuove nelle città è quindi una piattaforma abilitante la smart city, è qualcosa che sta alla base di nuovi servizi digitali.
Precisamente. Oggi A2A Smart City offre la piattaforma abilitante, ma non costruisce i servizi verticali che si fondano su questa piattaforma e che andranno poi sul mercato libero. È una piattaforma che viene messa a disposizione di tutti, in modo paritetico, per creare la città digitale ed è questo un obiettivo importante, che a nostro avviso un’impresa di natura pubblica deve perseguire. Cosa vuol dire per noi città digitale? La città digitale per me è la città dei dati: è come immaginare una nuvola di dati sopra la città, dati che vengono generati dalla città stessa. Siamo infatti convinti che i dati siano molto strategici per il futuro, che finiranno per valere quasi più degli asset stessi che li generano e quindi noi – attraverso questa infrastruttura abilitante – vogliamo consentire la raccolta del maggior numero possibile di dati dagli spazi urbani. A2A non accederà ai dati di tutti: A2A ha accesso solo ai propri dati, quelli che vengono raccolti dalla telelettura del gas, dell’elettricità o dell’acqua, così come quelli generati dai cestini dell’immondizia dell’Amsa, su cui abbiamo disposto noi dei sensori; i dati di terzi, che vorranno utilizzare la nostra piattaforma, verranno consegnati solo a loro, senza che A2A ne abbia visibilità. In particolare, abbiamo sviluppato una tecnologia che permette ad A2A Smart City di avere il ruolo di “postino cieco” del dato: noi abbiamo il dato criptato, non abbiamo l’informazione; al contrario, sarà il fruitore della piattaforma, chi mi chiede di fornire il servizio, che avrà l’informazione.
Quello che voi offrite quindi è la capacità di raccogliere e di distribuire/ convogliare i dati all’interno della città. Come funziona nello specifico?
La smart city si distribuisce su quattro livelli, come ormai viene ampiamente riconosciuto dalla letteratura. La smart city è composta infatti dai sensori che ricevono i dati dalla città, da una piattaforma che legge i sensori, da una piattaforma che gestisce i dati e da un’interfaccia/ app che viene data al cittadino: A2A Smart City, con la sua piattaforma, risolve il problema del secondo e del terzo livello. In altre parole, chiunque voglia usare questa piattaforma deve portare all’interno della città dei sensori, di qualsiasi tipologia, coerenti con il servizio che si vuole lanciare. Ad esempio, se si vuole lanciare un servizio di mobilità, nell’ambito della sicurezza, del turismo, dell’ambiente occorre installare sensori IoT diversi, dei sensori di inquinamento, per l’allagamento o piuttosto dei sensori di presenza per le auto quando sono parcheggiate. Il concetto alla base di A2A Smart City è semplice: una volta installato un qualsiasi tipo di sensore, noi lo attiviamo, lo rendiamo IoT- ready e risolviamo il problema infrastrutturale, problema che chi vuole lanciare un servizio percepisce come un freno, come una “scocciatura”. Per questo l’infrastruttura di A2A Smart City deve essere considerata abilitante.
Questa infrastruttura può essere utilizzata anche dalle imprese in una logica B2B?
Certo, siamo partiti indubbiamente dai servizi al cittadino, il tema della smart city rivolta ai cittadini è stato il primo e resta quello principale, ma abbiamo poi investito anche nello smart agrifood e nello smart land per cui abilitiamo ad esempio sensori nei campi e tra le viti, quindi un servizio rivolto tipicamente all’azienda B2B agricola. Tra un mese lanceremo poi il filone legato ad industria 4.0: nelle città già coperte dalla nostra infrastruttura sarà possibile per le imprese installare della sensoristica nei magazzini, lungo la linea produttiva, nella fabbrica, nei macchinari, per poter monitorare delle informazioni utili per l’impresa.
In tutto questo voi partecipate anche a E015, l’ecosistema digitale di cooperazione per lo sviluppo di applicazioni software integrate promosso da Regione Lombardia. Qual è il vostro ruolo rispetto a questo modello di condivisione di dati e di sviluppo di ecosistemi digitali?
La nostra idea è che l’infrastruttura di A2A Smart City si posizioni “in basso”, in modo da raccogliere le informazioni dalle città, informazioni che vengono poi fornite agli utilizzatori del servizio oppure ad A2A stessa. Sto personalmente lavorando con tutte le altre aziende della Regione Lombardia per cercare di capire in quali casi ed in che modo condividere le informazioni su E015. Sicuramente E015 è una buon modello, ma noi non abbiamo la possibilità di incrementare in modo consistente la sua “base dati”, dal momento che, a parte quelli di A2A, noi non possiamo condividere dati di terzi; al contrario, è chi sviluppa servizi tramite la nostra infrastruttura che dovrebbe mettere a disposizione le proprie informazioni. In questo momento, io sto aspettando che questo modello di E015 decolli in modo importante: la mia idea di implementare un’infrastruttura IoT- ready per le smart city dovrebbe fungere da acceleratore di E015 perché, se tutto quello che io prevedo si verificherà, con i trend esponenziali a cui accennavo prima, queste piattaforme abilitanti dovrebbero generare 100 mila informazioni al minuto nelle città lombarde, informazioni che potrebbero indubbiamente andare ad alimentare un modello come E015.
A vostro avviso, gli stakeholder del territorio sono pronti ad abbracciare questi modelli e questo modo di pensare la smart city? State registrando un aumento dell’interesse rispetto alla vostra infrastruttura e, più in generale, al concetto di ecosistema (o meglio, di fare sistema)?
A2A Smart City ha già implementato l’infrastruttura di cui sto parlando e la sta utilizzando per i propri use case: questa infrastruttura la utilizziamo per la telelettura del gas, dell’elettricità e dell’acqua, per i cestini dell’Amsa. Ed è a partire da questa base e da questo utilizzo che sono pronto a metterla a disposizione di chi la voglia utilizzare. D’altra parte, a volte resto pessimista rispetto alla capacità del nostro Paese di reagire alla sfida del digitale e quindi, in qualche modo, di condividere la visione di smart city che A2A sta proponendo. Dipende molto dalla cultura delle aziende e degli stakeholder territoriali. Qui occorre aggiungere un punto: se si vuole finalmente “fare” innovazione digitale, occorre la volontà di innovare e di rischiare. È chiaro che se io avessi adottato un atteggiamento conservativo, avrei finito per sviluppare un’infrastruttura solo per A2A, senza preoccuparmi di aggiungere quella tecnologia e raggiungere quella dimensione che, al contrario, rendono oggi la nostra piattaforma potenzialmente accessibile a tutti i servizi della cittadinanza (e non solo). Ho fatto un passo in più, mi sto prendendo il rischio di farlo: d’altro canto, resto convinto che per fare innovazione occorra fare l’execution, fare le cose e non soltanto parlarne.
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