NEWSLETTER - IL CAFFE' DIGITALE
PER UN APPROCCIO STRATEGICO ALLA TRASFORMAZIONE DIGITALE DELLA PA

N. Marzo 2019

a cura di Federico D’Incà
Deputato, Questore della Camera

 

Ringraziamo l’Onorevole Federico D’Incà, Coordinatore dell’Intergruppo Parlamentare Innovazione e Membro dell’Advisory Board del Digital Italy Program, per questo contributo.

“L’Italia non sfrutta adeguatamente le opportunità offerte dall’ICT”, scrive la (1) Commissione Europea nell’eGovernment Benchmark 2018. E il problema (2) non sono solo le mancate opportunità che ne derivano, in termini economici e sociali. Il problema è che la Commissione non dice niente di nuovo: il ritardo digitale del nostro paese, nonostante gli sforzi per colmarlo, sembra somigliare sempre più a un ostacolo insormontabile, un macigno delle dimensioni del nostro debito pubblico, capace di scoraggiare anche il più forzuto e volenteroso degli innovatori.

La questione è solo in parte infrastrutturale, di velocità di connessione — su questo, qualche importante passo in avanti è stato fatto. Il punto è la mancata percezione di una reale utilità del digitale nelle prassi civiche dei cittadini. Se negli ultimi anni, infatti, il nostro paese ha quasi raggiunto la media europea per livello di digitalizzazione dei servizi offerti al pubblico, il problema del troppo scarso utilizzo di quei servizi da parte dei cittadini continua a rimanere una spina nel fianco. Quando sono solo due su dieci gli italiani a fare ricorso a servizi di e-government, e il paese resta — come precisa il Digital Economy and Society Index (DESI) 2018 — penultimo in Europa per “l’uso di servizi (3) Internet”, senza alcun progresso negli ultimi dodici mesi, significa che c’è ancora molto lavoro da fare per portare l’Italia al passo con il resto dei paesi sviluppati.

Servirebbe quella che in gergo informatico si chiama “killer application”: un servizio che risulti talmente seducente e appetibile al grande pubblico da spingerlo, finalmente, a riversare i suoi rapporti con le amministrazioni pubbliche e lo Stato online. “IO”, la app sviluppata dal Team Digitale che mira a riunire in un’unica applicazione per smartphone, semplice e chiara, tutti i servizi della PA al cittadino, potrebbe diventarlo. Lo dico dopo averla provata, all’interno di una sperimentazione con cui il Team ha coinvolto un nutrito gruppo di parlamentari, del Movimento e non. Quando pagare una tassa è materia di pochi click, o l’avviso di rinnovo della patente arriva tramite una comune notifica su schermo, la vita diventa più comoda, e questo potrebbe motivare i cittadini a comprendere e utilizzare, finalmente, il potenziale dei servizi di eGovernment.

 

Contestualmente, tuttavia, servirebbero più competenze digitali nella PA, come evidenziato, tra gli altri, dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul livello di Digitalizzazione e Innovazione delle PA, durante la scorsa (4) legislatura, e dal Team Digitale nella roadmap disegnata dal Commissario (5) Straordinario, Diego Piacentini, prima del passaggio di consegne a Luca Attias. Un passo indispensabile anche per riuscire ad andare oltre lo striminzito 3% che, secondo l’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, rappresenta la quota di fondi strutturali UE che siamo riusciti a (6) spendere nel 2017. Su un totale di 1,65 miliardi di euro, non certo pochi spiccioli.

Servirebbe, più di ogni altra cosa, un approccio strategico alla trasformazione digitale nel settore pubblico. Su questo le conclusioni della Commissione d’Inchiesta sono estremamente chiare: buona parte delle inefficienze, degli sprechi e dei ritardi dell’amministrazione pubblica italiana rispetto alla rivoluzione digitale vengono dall’approccio “episodico e non organico”, “sicuramente non strategico e prioritario” troppo spesso adottato, in passato, dalle PA. Per questo parole come “interoperabilità”, trasparenza, open source, diritto di accesso all’informazione tramite strumenti giuridici adeguati ed efficaci (un FOIA, o Freedom of Information Act, finalmente all’avanguardia) sono così importanti.
Servono per trasformare le promesse del digitale in buone pratiche; non più e non solo a incuriosire — o spaventare — i cittadini, ma a rendere i loro rapporti col fisco, le amministrazioni locali, l’anagrafe, il sistema scolastico e quello sanitario davvero più comodi, semplici e immediati.

Per questo è così rilevante la spinta del governo verso una strategia nazionale per l’intelligenza artificiale: senza un approccio sistemico, (7) coordinato, il futuro ci resta ignoto, e i suoi frutti impossibili da cogliere. Sempre nell’ottica di una trattazione strategica delle politiche del digitale, mi sono adoperato insieme ai colleghi parlamentari del Movimento 5 Stelle — e continuerò a farlo — per l’istituzione di una XV Commissione permanente, in Parlamento, che abbia a tema “Digitale e innovazione”. Se il peso politico, economico e sociale delle nuove tecnologie impatta ormai in sfere dell’umano che vanno dall’automazione sul posto di lavoro all’effettivo esercizio dei propri diritti fondamentali in rete, dall’uso di tecniche di intelligenza artificiale in ambito sanitario alla trasformazione di ogni cosa in cosa “intelligente”, non si comprende infatti come non possa esservi un luogo elettivo per discuterne, sottoponendo ogni decisione di policy-making in materia al vaglio di parlamentari competenti in materia, e degli esperti che vorranno consultare.

Un altro aspetto importante dell’attività parlamentare rispetto al digitale sono i lavori dell’Intergruppo Innovazione formatosi nel corso della scorsa legislatura. Un gruppo di lavoro bipartisan, che con passione si è occupato e continua a occuparsi — anche attraverso la mia coordinazione — dei tanti temi che l’attualità tecnologica impone di affrontare: dall’avvento del 5G al raggiungimento degli obiettivi comunitari circa gli standard di connettività del paese, dalle applicazioni pubbliche dell’AI alle strategie per implementare al meglio tecnologie di cloud computing, l’Intergruppo ha continuato a manifestare passione, competenza e interesse per il futuro del paese — senza polemiche di natura prettamente politica, pur nel rispetto dei molteplici punti di vista che rappresenta. C’è poi da completare il processo di digitalizzazione della Camera dei Deputati, a cui mi sono dedicato e mi dedico in virtù della mia carica di Questore. Da questo punto di vista molto è già stato fatto, e i diversi servizi messi a disposizione degli utenti e dei parlamentari sono un ottimo punto di partenza per un ulteriore ampliamento dell’offerta. Indispensabile è, a mio avviso, rendere interamente digitale il processo legislativo, e in particolare informatizzare — e dunque, razionalizzare — la presentazione di emendamenti.
Una novità per cui non serve inventare molto: basta seguire, e adattare, l’esempio del Parlamento Europeo e di altre esperienze nel mondo per ottenere testi strutturati in un linguaggio universalmente comprensibile (Akoma Ntoso), immediatamente collaborativi, che si possano caricare e modificare anche in mobilità con rapidità e certezza. A questo modo la consultazione da parte del pubblico diventa più semplice, e si contribuisce a rendere trasparente e intelligibile l’intero percorso di costruzione delle leggi.

E cosa vieterebbe, all’interno di una simile ristrutturazione tecnica dell’impianto normativo, di aggiungere una piattaforma per dare ai cittadini la possibilità di presentare e sottoscrivere petizioni online? Di nuovo, non ci sarebbe molto da scoprire: paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti ne possiedono una, istituzionale, da diversi anni. Nella stessa ottica di semplificazione e trasparenza del funzionamento delle istituzioni va l’idea di adottare un nuovo e migliore strumento di visualizzazione dei dati del bilancio della Camera. Si tratta di un adattamento di budget.g0v, una applicazione open source realizzata dall’associazione Copernicani con il contributo del collettivo di hacker civici di Taiwan, “g0v”, che consente di trasformare le voci di spesa in altrettante “bolle” immediatamente riconoscibili — molto più di centinaia di pagine di dati e tabelle — e, soprattutto, con cui è facile e istintivo interagire. È possibile così mostrare proprio la tipologia di informazione che cerchiamo, in un formato accattivante e rendendo la consultazione del budget dell’istituzione paragonabile a un gioco le cui istruzioni si esauriscono nel puntatore del mouse (o del trackpad). Insieme a questo approccio strategico, ho cercato di affrontare il tema, di grande urgenza, della difesa dei diritti dei cittadini in rete.
Per esempio, chiedendo precise delucidazioni al ministero dell’Interno circa il funzionamento del sistema di riconoscimento facciale, in dotazione alle forze dell’ordine, denominato “SARI”, e di cui — per una democrazia avanzata (8) come la nostra — sappiamo troppo poco, mancando ogni informazione circa quali soggetti possono essere identificati tramite i suoi algoritmi, secondo quali criteri e con quali garanzie che l’identificazione automatica compiuta dal sistema non porti a errori e abusi. O ancora, gettando le basi per affrontare, con una apposita Commissione d’Inchiesta, il tema — attualissimo e dibattuto da istituzioni ed esperti in tutto il mondo — del rapporto tra etica, diritti umani e intelligenza artificiale. Una questione che ci costringe tutti a interrogarci sul senso e la direzione che vogliamo imprimere al rapporto tra tecnica e umano, e su come impedire che il progresso, lasciato a sé stesso, finisca per travolgere i diritti fondamentali dell’individuo, una discriminazione automatica dopo l’altra. È la testimonianza forse di più alto livello del fatto, oramai accertato anche in contesti tradizionalmente ostili alla regolamentazione, che i benefici della rivoluzione digitale si massimizzano solo quando guidati da scelte politiche che facciano seguito a un serio e informato dibattito pubblico. Solo a questo modo la tecnologia resta al servizio dell’uomo, impedendo si verifichi il contrario. Per questo servono umiltà e raziocinio, dati e argomenti, evitando i panici morali e gli opposti estremismi — da una parte entusiastici, e dall’altra apocalittici — che da troppo tempo si accompagnano al modo in cui la civiltà umana discute le conseguenze sociali dell’innovazione.

La mia speranza è che, a fine legislatura, il paese sia dotato non solo di una infrastruttura digitale più efficace ed evoluta, ma anche e forse soprattutto di una consapevolezza culturale e di uno spirito critico adeguato alla sfida, enorme, posta dalle nuove tecnologie. Se il mio contributo sarà in grado di farci avanzare anche solo di un passo in questa direzione potrò ritenermi soddisfatto.

 

 


Fonte:

1 – https://www.key4biz.it/egov-italia-la-peggiore-in-ue-solo-2-italiani-su-10-usano-servizi-online- 1 della-pa/236374/

2 – https://www.capgemini.com/wp-content/uploads/2018/11/eGovernment-Benchmark-2018- 2 Insight-report.pdf

3 – http://ec.europa.eu/information_society/newsroom/image/document/2018-20/it-desi_2018- 3 country-profile_eng_B4406C8B-C962-EEA8-CCB24C81736A4C77_52226.pdf

4 – http://www.camera.it/leg17/436?shadow_organo_parlamentare=2708

5 – https://teamdigitale.governo.it/it/report.htm

6 – https://www.ipresslive.it/comunicates/25897/lagenda-digitale-finalmente-accelera-ma-litalia-resta-quartultima-in-europa

7 – https://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/en/news/2038605-artificial-intelligence-ai-call- 7 for-experts

8 – https://www.repubblica.it/cronaca/come_funziona_sari_il_sistema_di_riconoscimento_facciale_usato_dalla_polizia_scientifica-20580 4445/

 

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