Mai come in queste ultime settimane dopo il lockdown in cui media, business e politica stanno discutendo di quali dovranno essere le priorità da dare alla strategia di ripresa economica e sociale del Paese
La pandemia ci ha colti impreparati, tutti. Ciò è comprensibile, ma non lo sarebbe, così come neanche sarebbe giustificabile se la transizione per uscire dall’emergenza ci cogliesse di nuovo impreparati per gestire il dopo.
Il Ministero dell’Innovazione ha pubblicato pochi giorni fa i documenti a supporto della scelta della app di contact tracing da utilizzare nella fase 2 dell’emergenza Covid-19.
A seguito della pandemia di Coronavirus in corso, l’Italia, oltre alle terribili perdite in capitale umano, è destinata ad attraversare la crisi più difficile dal secondo dopoguerra, peggio di quella del 2008 nata dalla crisi dei mercati finanziari e poi trasferita nell’economia reale.
Dopo Davos abbiamo visto la conversione anche della business community e delle elite mondiali ai temi della sostenibilità considerati elementi fondamentali del nuovo e prossimo modello di capitalismo degli stakeholder e come evoluzione del tradizionale (e tuttora dominante) capitalismo degli azionisti.
La recente presentazione del piano industriale di Unicredit conferma e prosegue la direzione del cambiamento in cui è impegnata una delle più grandi banche italiane, tenendo presente due fattori condizionanti: l’invasività e pervasività delle tecnologie digitali e un perimetro normativo in evoluzione.
La trasformazione digitale delle imprese e l’innovazione tecnologica ci hanno insegnato che ogni business è in una forma o nell’altra anche un business digitale.
L’industria manifatturiera è un asset importante dell’economia europea con 2 milioni di imprese, 33 milioni di addetti e l’Italia ne rappresenta la seconda dopo la Germania.