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Soluzioni integrate a portata di click: a tu per tu con WeChat

N. Febbraio 2019

a cura di Julian McNeill 
Analyst, The Innovation Group 

Questo mese abbiamo fatto colazione con…
Andrea Ghizzoni, Director Europe di Tencent, WeChat

In seguito al suo intervento al Banking Summit tenutosi a Stresa il 4 e 5 Ottobre 2018, The Innovation Group ha intervistato Andrea Ghizzoni, Director Europe di Tencent, WeChat, per approfondire questioni e problematiche legate alla data privacy e al significato dell’innovazione tecnologica e dei modelli di business per il mondo finanziario.

 

L’equilibrio tra data privacy e l’utilizzo di dati personali a fini di business o a livello governativo è un argomento attuale in occidente. Al netto della sua esperienza cinese come valutala corrente situazione regolatoria riguardo la privacy in Europa (p.e. GDPR)?

Premesso che non sono un tecnico e quindi posso fermarmi solo a considerazioni di massima, a me sembra che sia molto positivo il fatto che ci si sia mossi su questo tema. Il fatto che esista oggi una regolamentazione è un passo fondamentale. Da un punto di vista poi dei contenuti non credo che finirà mai la revisione continua di questa normativa, proprio per bilanciare da un lato le esigenze di business che cambiano e, dall’altro la tutela della privacy degli individui, che deve adeguarsi a strumenti e utilizzi nuovi. Faccio un esempio: fino ad un po’ di tempo fa tutta una serie di tutele della privacy dell’individuo legate a fenomeni transazionali non avevano senso, poi arriva il modello WeChat e di colpo la questione privacy diventa fondamentale. Se da una parte quindi è un continuo dover aggiustare, dall’altra però succede che se aumenta l’aspetto funzionale di un ambiente applicativo aumentano i compromessi che, in qualche modo, l’individuo è disposto ad accettare in cambio, effettivamente, di maggiori servizi e di maggiore beneficio.

 

A questo proposito sembra che in Cina vi sia un trade-off tra privacy ed empowerment dell’individuo, consumatore o piccolo produttore che sia. È un esercizio di retorica o le big tech cinesi, nonché il governo, sono mossi veramente da una logica diversa rispetto ai loro corrispettivi occidentali?

Ciò che è fondamentale è il modello di business. Se ad esempio un’azienda eroga servizi che hanno un costo, e quindi deve gestire un bilancio, deve anche avere dei meccanismi di generazione dei ricavi. Se questi meccanismi sono basati su qualcosa che è molto borderline come la privacy è facile pensare che ci siano questioni problematiche. Nel caso di WeChat secondo me, il fatto di essere inserita in una azienda che ha un modello di business molto più industriale, è in realtà prova evidente di una maggiore tutela dell’utente finale, perché sicuramente l’azienda non ha bisogno di generare revenue dirette dai dati personali specifici. È una materia in continua evoluzione e quindi quello che viene detto oggi non è detto che valga anche in futuro per chiunque: dipende dal momento storico e dal contesto. Quello che ho visto io quando mi sono approcciato al mondo asiatico all’inizio, è stato effettivamente una tutela del dato e delle esperienze del singolo individuo da parte di un marchio superiore a quello a cui ero abituato.

 

Venendo al mondo bancario: WeChat ha integrato con successo nella propria piattaforma una varietà di servizi legati al mondo finanziario. Cos’è che ostacola l’adozione di soluzioni integrate come la vostra in Europa, oltre alla già citata privacy?

Secondo me il primo motivo è la mancanza di un aggregatore unico che abbia un modello di business basato sui servizi e non solo sull’advertising. Nel momento in cui è presente una applicazione già installata su centinaia di milioni di dispositivi in Cina, per motivi transazionali o informativi e non solo ludici, ecco che diventa più facile rivolgersi alle banche e proporre di integrare i loro servizi nel proprio wallet. L’indomani basta schiacciare un bottone ed il servizio sarà potenzialmente nelle mani di centinaia di milioni di persone. In Europa non è così facile perché o si hanno dei soggetti che hanno un modello molto simile al wallet di WeChat (come Satispay), che però per raggiungere la massa critica hanno bisogno di uno sforzo considerevole in termini di tempo e di costi, oppure si hanno quelli che potrebbero essere dei leader in questo senso, e quindi Amazon per il marketplace o Facebook per i social media, che però in questo momento (soprattutto FB o Google) si portano dietro il retaggio di un modello di business totalmente advertising-based. Da li a rivolgersi alle banche, costruire un wallet, pensare a come scaricarlo sugli esercenti ecc., è richiesta una trasformazione aziendale tutt’altro che semplice.

 

Al Banking Summit si discusso di come le regolamentazioni più recenti (PSD2) favoriscano l’entrata nel mercato di Fintech e Big Tech. Qual è il potenziale disruptive di tali sviluppi e cosa significa il cambiamento di contesto europeo per gli obbiettivi di WeChat nel continente?

Parto dall’ultima domanda. Da noi PSD2 ha una valenza relativa perché, quando pensiamo ai pagamenti, intendiamo solo transazioni cross-border, quindi una nicchia relativamente piccola fatta dal turista cinese che usando i suoi sistemi di pagamento asiatici completa le transazioni da noi, in Italia o in Europa, e quindi è una catena leggermente diversa: il wallet rimane un “oggetto” Asiatico che poi si interfaccia con i nostri sistemi di pagamento che portano a termine la transazione. Quindi PSD2 ha un impatto, finora, sostanzialmente limitato. Per quanto riguarda la situazione europea, è evidente che si sta cercando il più possibile di creare le condizioni affinché emergano soluzioni integrate come quella di WeChat anche nel continente Europeo.

 

Quali sviluppi prevede per la tech war USA-Cina?

È una domanda molto difficile. In questo momento la Cina ha la caratteristica di essere l’unico Paese al mondo che riesce a mettere a disposizione, in ambito tecnologico, il mix di competenze e scala produttiva che serve ai global leader. Se Apple deve far produrre tutti gli iPhone che deve produrre, non ci sono altri posti al mondo che hanno gli impianti, la scala e le competenze per realizzare quella produzione. Questo asset di cui la Cina si è dotata pone oggi una serie di domande al resto del mondo perché comunque si sta andando verso una concentrazione che ha sempre delle conseguenze, come può essere lo sbilanciamento ai vertici della value chain. I dazi sono un modo di contrastare la cosa, ma mi auguro che si andrà verso soluzioni un po’ più sofisticate.

 

 

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