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Smart mobility, prosegue il viaggio verso la sostenibilità

La smart mobility in Italia, dopo il covid, non è immobile ma prosegue il suo viaggio. Di mobilità smart e alternativa si parla da anni, ma dalla pandemia in poi il tema dei mezzi di trasporto alternativi all’automobile di proprietà è diventato ancor più rilevante e al contempo più spinoso. Sappiamo che nel primo e radicale lockdown della primavera 2020 nelle città e province italiane il traffico su strada era drasticamente calato, ma con le prime riaperture l’utilizzo delle automobili di proprietà è ripreso, più intenso di prima. Chi sperimenta tangenziali e strade metropolitane sa che rallentamenti, inquinamento acustico e smog non sono diminuiti, anzi. 

La pratica dello smart working, rimasta nell’abitudine (almeno per qualche giorno a settimana) per decine di milioni di italiani, e la didattica a distanza hanno certamente ridotto le necessità di spostamento quotidiano dentro alle città e il pendolarismo. Ma allo stesso tempo la paura dei contagi ha causato un allontanamento sia dai mezzi pubblici sia dai servizi di car sharing, in favore dell’automobile di proprietà.

Il car sharing riparte dopo il covid

Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, tra il 2018 e il 2019 le iscrizioni ai servizi di mobilità condivisa erano aumentate di quasi il 30%, passando nel giro di un anno da meno di 1,9 milioni di utenti registrati a oltre 2,4 milioni. Città come Genova, Milano, Roma e Torino vantavano un’offerta variegata, avendo ciascuna cinque operatori attivi. Poi il terremoto del coronavirus, tanto devastante da costringere l’Osservatorio ad aggiornare il suo report annuale per ben due volte (a giugno e a ottobre) sottoponendo nuovi questionari da compilare agli operatori di servizi di mobilità condivisa e alle amministrazioni comunali. Ne è emerso un iter simile in tutte le città: il numero dei noleggi ha rispecchiato l’andamento dei contagi, con un legame inverso. 

Incentivare nuovamente i servizi di sharing è necessario per far ripartire quel percorso di sostenibilità e di miglioramento della qualità della vita che le metropoli italiane avevano intrapreso negli anni scorsi. Ma come gestire il problema della sicurezza, reale e percepita? Grazie alla campagna vaccinale e alle buone abitudini sempre valide (lavarsi le mani, indossare la mascherina, tenere i finestrini aperti, igienizzare volante e cambio), il car sharing sembra poter viaggiare verso un futuro di crescita, dopo il rallentamento del 2020. 

Anche l’impegno dei fornitori dei servizi può contribuire alla causa. Kinto Share, servizio di noleggio breve di auto ibride (Toyota e Lexus) attualmente presente in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, esegue sanificazioni dei propri veicoli seguendo le linee guida del Ministero della Sanità, e all’interno delle auto un cartellino segnala l’avvenuta procedura. Share Now, attivo a Milano, Roma e Torino (e in altri sette Paesi europei, oltre all’Italia) dall’aprile del 2020 ha quadruplicato la frequenza delle operazioni di pulizia delle vetture.

Stazione del bike sharing per smart mobility
A dicembre 2020 si contavano in Italia 35mila biciclette in sharing

Bike sharing, scooter e monopattini per la micromobilità

Così come accaduto per il car sharing, anche biciclette, scooter e monopattini in condivisione hanno vissuto un vero exploit in anni recenti. Dai dati del “IV Osservatorio nazionale della sharing mobility”, promosso da Ministero dell’Ambiente, Ministero dei Trasporti e Fondazione per lo sviluppo sostenibile, risulta che nel 2019 esistessero in Italia 39 servizi di bike sharing distribuiti in 31 città, per un totale di 35.000 biciclette (tra cui più di 5.000 bici elettriche). Le iscrizioni erano cresciute del 60% rispetto al 2018 e questo tipo di servizio, rispetto al car sharing, ha patito di meno l’impatto della pandemia. 

Altra risorsa per la mobilità sostenibile è rappresentata dallo scooter sharing, fenomeno che è nato da subito con un’impronta green: nel 2019, su una flotta totale di 5.000 veicoli (più del doppio di quelli circolanti nel 2018) gestiti da cinque operatori, quelli elettrici erano più del 95%. Anche i monopattini hanno incassato bene l’impatto del covid-19: insieme al bike sharing, questo è il servizio di micromobilità che si è ripreso meglio dal colpo del primo lockdown. A settembre 2020 si contavano più di 27.000 monopattini in sharing, un numero notevolissimo se si pensa che erano 4.900 solo dieci mesi prima.

La voglia di pedalare non basta

Per un incremento dell’uso della bicicletta non basta, naturalmente, la voglia di pedalare: servono le piste ciclabili. Nell’estate del 2020 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha stanziato 137 milioni di euro (da risorse previste dalle Manovre 2015-2018) per la realizzazione di nuove ciclovie urbane. Hanno potuto e possono disporre di questi fondi (51,4 milioni di euro per il 2020 e 85,8 milioni per il 2021) le Città metropolitane, i Comuni capoluogo di Provincia e i Comuni con oltre 50mila abitanti. 

Si legge nel “Rapporto MobilitAria 2021” che nel 2020, effettivamente, la città Milano ha ricavato 67 chilometri di ciclabili (non tutte perfettamente progettate, a dire il vero) nella propria rete stradale, mentre Roma ne ha ricavati 33, Genova 25, Venezia 18, Bologna 16, Torino undici e Palermo quattro.Il PNRR del governo di Mario Draghi ha poi stanziato quest’anno ulteriori 600 milioni di euro per la realizzazione di 570 km di ciclovie urbane e di 1250 chilometri di ciclovie turistiche. Siamo, dunque, sulla buona strada (o meglio sulla buona pista ciclabile).

Stazione di monopattini in sharing per smart mobility
A settembre 2020 si contavano in Italia più di 27mila monopattini in sharing

Smog, il killer silenzioso

La smart mobility, affiancata da una trasformazione globale del sistema tradizionale dei trasporti, è indispensabile per poter immaginare città più sostenibili, che garantiscano una migliore qualità della vita. Lo scenario della “nuova normalità” è ancora in divenire, ma possiamo iniziare a ragionare sui cambiamenti di lungo periodo, destinati a consolidarsi. Ed è tempo di elaborare una strategia di mobilità smart ed ecologica che sia compatibile, all’occorrenza, con esigenze di distanziamento sociale e altre misure di sicurezza fuori dall’ordinario. Il covid non è, purtroppo, l’unico killer di massa che il mondo ha bisogno di disarmare. 

Secondo le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, nel 2012 nell’Unione Europea (considerando anche il Regno Unito) ci sono stati oltre 491.000 decessi prematuri causati da polveri sottili, ozono e biossido di azoto; nella sola Italia, il conteggio supera quota 84.000. I dati non sono recentissimi, ma rendono bene la portata del potere distruttivo di questo “killer silenzioso” che è lo smog. L’ultimo annuale report “Marl’aria di città” di Legambiente testimonia che, su 96 capoluoghi di provincia analizzati, nel 2020 ben 35 hanno superato e anche di molto i limiti fissati dalla legge sulla concentrazione giornaliera di polveri sottili Pm10. In ben 60 città, inoltre, la media annua di concentrazione di Pmi ha superato la soglia massima di 20 µg/mc raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Nemmeno una catastrofica pandemia può farci dimenticare che il Green Deal impegna i Paesi europei a ridurre del 90%, entro il 2050, le emissioni di gas serra derivanti dai trasporti. Per arrivare al traguardo, come si legge sul sito della Commissione Europea, sarà necessario “aumentare la diffusione dei veicoli a emissioni zero, mettere a disposizione dei cittadini e delle imprese soluzioni alternative sostenibili, sostenere la digitalizzazione e l’automazione, migliorare la connettività e l’accessibilità”.

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