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Come cambia il lavoro, tra e-learning, dimissioni e rischio burnout

La continua necessità di aggiornamento professionale e in particolare il bisogno di migliorare le competenze digitali fa crescere, nelle aziende, le attività di formazione e sviluppo del personale. Ma l’Italia è un caso a sé. Secondo il punto di osservazione di Cornerstone OnDemand  (società specializzata in soluzioni per le risorse umane, la formazione e lo sviluppo professionale), le variabili sociali, politiche ed economiche agiscono sulle scelte delle aziende, producendo alcune differenze su base nazionale.

Nella regione Emea, infatti,  tra il 2021 e il 2022 le aziende hanno incrementato in maniera significativa le attività di e-learning rivolte a dipendenti e collaboratori. I clienti di Cornerstone in Europa, Medio Oriente e Africa sono passati dai 2,93 milioni di minuti di contenuti di learning fruiti nel 2021 ai 4,09 milioni del 2022, con un balzo del 40%. Parallelamente, il numero dei corsi completati ha registrato un aumento del 42,5%, passando dai 125.700 del 2021 ai 179.080 del 2022.

Fa eccezione però l’Italia, dove l’e-learning all’interno delle aziende nello stesso arco di tempo è calato drasticamente. Siamo passati, infatti, dai circa 83.000 minuti di contenuti formativi fruiti sulla piattaforma Cornerstone nel 2021 ai 52.800 minuti del 2022, con una flessione del 36%. Il numero dei corsi di formazione completati in azienda è sceso da 3.850 a 1.320 nel 2022, con un crollo pari al 66%.

<h2La Great Resignation e il bisogno di felicità
Le differenze fra l’Italia e la media della regione Emea sono non solo quantitative, ma qualitative. Nel nostro Paese i corsi di formazione più acquistati dalle aziende riguardano lo sviluppo di competenze in ambito IT, management e produttività & execution, dunque il focus è sull’incremento dei risultati di business. In Emea, in generale, è più forte l’attenzione allo sviluppo, alla crescita di competenze e al miglioramento personale. Cornerstone ipotizza che queste differenze dipendano dalle incertezze che la pandemia, prima, e la crisi geopolitica ed economica, poi, hanno creato nelle aziende europee, in modi diversi da nazioni a nazioni.

Un po’ ovunque, tuttavia, si sta manifestando il fenomeno delle cosiddette “grandi dimissioni” (Great Resignation, o alternativamente si parla di quiet quitting), nel quale tanti dipendenti d’azienda lasciano il posto di lavoro per trovare nuovi stimoli e opportunità. Prima ancora delle motivazioni economiche, alla base delle dimissioni volontarie c’è soprattutto un bisogno di maggiore qualità della vita sul posto di lavoro, di crescita personale e professionale, di allontanamento da situazioni di stress o burnout. Così evidenziano diverse ricerche sul tema, come per esempio il semestrale monitoraggio di Randstad (“Randstad Workmonitor”), condotto in 34 Paesi su un campione di 800 lavoratori 18-67enni per ciascuna nazione.

In Italia, in particolare, oltre metà dei lavoratori italiani sta cercando un nuovo lavoro o inizierà a farlo a breve, mentre il 60% antepone la sfera personale a quella professionale. Emerge in generale, e in modo più marcato tra le giovani generazioni, una crescente attenzione alla ricerca del benessere, dell’autorealizzazione, e in definitiva, alla ricerca della felicità. 

Il rischio di burnout è sottovalutato


Nella regione Emea e anche in Italia, i dati di Cornerstone indicano che i corsi focalizzati sulla salute e sul benessere non sono tra i più richiesti, e questo è probabilmente un effetto del ritorno alla normalità (o quasi) dopo il periodo più intenso di pandemia. “Non dovrebbe servire una pandemia globale per incentivare i lavoratori a prendersi cura del proprio benessere e della propria salute mentale”, ha commentato Fabio Todaro, senior regional sales director per l’Italia di Cornerstone OnDemand. “Questi aspetti dovrebbero essere prioritari in ogni momento, se vogliamo contare su una forza lavoro gratificata e produttiva. Se il benessere e la salute personale non sono più tra gli argomenti formativi di maggiore interesse, le aziende devono trattare questo tema in altri modi: con colloqui individuali, valutazioni periodiche, giornate dedicate alla salute mentale e altre iniziative”.

Le osservazioni di Cornerstone trovano riscontro nei dati di una nuova ricerca di Workday, che ha analizzato l’evoluzione del problema del burnout tra il 2021 e il 2022. Un problema dopo la pandemia si è accentuato un po’ in tutto il mondo, tanto da rendere popolare anche per i non esperti di psicologia il termine burnout (cioè la sindrome da stress psicologico e fisico che può portare, fra le altre cose, a sentirsi distanti, demotivati, e disinteressati al proprio lavoro). L’incremento non stupisce troppo, considerando che un po’ ovunque la commistione tra smart working e presenza in sede ha creato sovrapposizioni tra vita privata e professionale. Il famigerato “diritto alla disconnessione”, di cui si parla spesso, si scontra con il continuo flusso di richieste, contenuti, notifiche che ci raggiungono anche quando non siamo alla scrivania.

Lo studio, titolato “Addressing Burnout Risk in 2022”, è stato condotto tramite la soluzione Workday Peakon Employee Voice e si basa sulle risposte di 1,5 milioni di lavoratori di oltre 600 aziende appartenenti a vari settori e geografie: ne è emerso che per la maggior parte dei settori il rischio di burnout è aumentato nel 2022 rispetto al 2021. Questo è vero in particolare nella Pubblica Amministrazione, dove ben sei dipendenti su dieci sono a rischio (+16% tra un anno a el’altro), e in seconda battuta nel settore dei trasporti (il 54% è a rischio, +10%). In territorio europeo, i dipendenti più esposti sono quelli britannici: il 41% si trova vicino o potrebbe raggiungere il punto di rottura.

Self-learning per contrastare l’apatia


Un’altra tendenza osservata da Cornerstone è la crescita nell’area Emea, e anche in Italia, del self-directed learning, ossia l’apprendimento autonomo. Tra il 2021 e il 2022 la richiesta di corsi guidati da un formatore è leggermente calata, del 2%, mentre è raddoppiato il consumo di corsi di formazione gestiti in autonomia dagli utenti. Per le aziende, sottolinea Cornerstone, questo potrebbe essere un buon modo per stimolare i dipendenti, contrastando noia e apatia e favorendo la crescita professionale.

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