Gregorio De Felice
Head of Research and Chief Economist
Intesa Sanpaolo
Questo mese abbiamo avuto la possibilità di approfondire con GREGORIO DE FELICE – Head of Research and Chief Economist di Intesa Sanpaolo – i rischi e le opportunità che attendono l’economia italiana nel 2017, approfondendo il ruolo di Industria 4.0 e dei distretti industriali nel processo di trasformazione del Paese.
Secondo De Felice, paradossalmente lo scenario 2017 presenta più rischi di natura politica che economica. I timori di una recessione americana e di una deflazione globale, che allarmavano i mercati ad inizio 2016, sono stati superati. La crescita economica mondiale è in accelerazione, dal 3% dello scorso anno al 3,4%; alcuni importanti Paesi, come Brasile e Russia, sono usciti dalla recessione e il rimbalzo del prezzo del petrolio rafforza la domanda dei Paesi OPEC. Le grandi incertezze sono tutte di natura politica: i rischi di misure protezionistiche da parte dell’Amministrazione Trump, il progressivo affermarsi di movimenti anti-establishment (di destra e di sinistra) in Europa, il fitto calendario di elezioni nel Vecchio Continente.
In Italia, la situazione politica presenta ulteriori elementi di complessità, anche a seguito della scissione all’interno del principale partito di centro-sinistra e, più in generale, a causa di una crescente frammentazione dell’offerta partitica provocata dalla prospettiva di un ritorno ad un sistema elettorale proporzionale. Eventuali elezioni anticipate potrebbero avere effetti negativi sul rating dell’Italia e sul processo di realizzazione delle riforme.
Le previsioni di crescita del PIL italiano per il 2017 confermano la velocità di crociera intorno all’1% già registrata lo scorso anno. E’ tuttavia un ritmo ancora insufficiente per ridurre gli squilibri della nostra economia, a cominciare dall’elevata disoccupazione giovanile. La previsione di crescita cumulata nel periodo 2016-2018, vede l’Italia conseguire un 3% di incremento del PIL, a fronte del 4,3% della Francia, del 4,8% della Germania e del 5% per l’intera Eurozona.
È inoltre da sottolineare che il mix della crescita italiana nel 2017 sarà diverso rispetto a quello dello scorso anno. In particolare, torneranno ad avere un peso importante le esportazioni, che nel 2016, pur avendo toccato dei record, risentivano ancora della debolezza della domanda estera (soprattutto da Russia, Brasile e Paesi OPEC). I consumi potranno invece crescere ad un ritmo meno sostenuto rispetto al 2016, anche a causa del rallentamento dei trend positivi che recentemente hanno riguardato il tasso di disoccupazione. La grande speranza (e incognita, al tempo stesso) restano infine gli investimenti, che hanno visto l’introduzione di forti incentivi da parte del Governo, ma su cui permane ancora cautela da parte delle imprese italiane.
Su questo ultimo punto, da un’indagine svolta da Intesa Sanpaolo, volta a comprendere le condizioni necessarie per favorire gli investimenti delle imprese italiane, è emerso come i principali ostacoli agli investimenti restino l’incertezza della domanda (interna ed estera) e l’eccesso di burocrazia; emergono invece, come fattori abilitanti, condizioni di credito favorevoli e la presenza di forti incentivi fiscali, come quelli previsti dal Piano Industria 4.0.
Questo Piano – prosegue De Felice – è una grande opportunità per il Paese, adattandosi in modo molto positivo ad una realtà come quella italiana, costituita in larga parte da piccole e medie imprese: la digitalizzazione riduce infatti l’importanza delle economie di scala e della dimensione d’impresa e rafforza i meccanismi di filiera, che restano un elemento cardine del nostro sistema produttivo. D’altra parte, perché Industria 4.0 possa funzionare veramente, occorre affiancare all’iper-ammortamento e agli incentivi previsti altre leve. Occorre investire di più nell’ambito dello sviluppo delle competenze e del capitale umano e inoltre per quanto riguarda le infrastrutture di connessione e la sicurezza informatica.
Per quanto riguarda il tema delle competenze, è ormai un dato di fatto che in Italia ci siano troppo pochi laureati in materie scientifiche, in ingegneria così come in informatica: il concetto stesso di numero chiuso nelle facoltà scientifiche è un controsenso, in un paese a forte vocazione manifatturiera. Piuttosto, si potrebbe pensare ad un sistema come quello francese, dove il primo anno è aperto a tutti, ma solo chi è in regola con una certa percentuale di esami può accedere a quelli successivi. Sul tema delle infrastrutture e della banda larga e ultralarga, invece, rimane impensabile il fatto che, in un sistema in cui tutto si basa sul digitale come con Industria 4.0, le connessioni siano lente o che, addirittura, in alcune zone la connettività sia assente. Lo stesso ragionamento vale per il tema della sicurezza informatica, benché siano le singole aziende che dovranno investire in questo ambito, e non il Governo: in una logica di interconnessione diffusa, il tema della sicurezza diventa imprescindibile per tutelare non solo la proprietà intellettuale, ma anche il funzionamento stesso dell’impresa.
In conclusione, è stato poi approfondito il tema dei distretti industriali e della loro “vocazione” digitale, anche in attesa della pubblicazione della nona edizione del Rapporto annuale sui distretti industriali della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. A questo riguardo – spiega De Felice – i distretti presentano un quadro abbastanza variegato dell’uso del digitale: da un lato, considerando i dati aggregati, emerge come i distretti siano nel complesso in ritardo rispetto alla diffusione dello Smart Manufacturing; dall’altro, ci sono dei settori e, soprattutto, alcuni distretti specifici (come il distretto della meccanica di Vicenza) in cui le aziende possono avere anche il 50% dei propri prodotti incentivabili con l’iper-ammortamento. Resta però come nota negativa l’interazione tra ricerca, università e imprese: dal Rapporto emerge, infatti, come gran parte della ricerca delle imprese sia sviluppata internamente, o al più con altri attori della filiera, mentre pochissimi citano le università come partner d’innovazione.
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