Quest’anno la Giornata mondiale dell’ambiente, il 5 giugno, è dedicata al tema del ripristino degli ecosistemi: un obiettivo non da poco, perché ripristino significa qualcosa di più della semplice riduzione dell’impatto distruttivo dell’uomo. Significa prevenire, bloccare e se possibile invertire i processi di degradazione degli ecosistemi terrestri e marini, mettendo in sicurezza e facendo rivivere miliardi di ettari di foreste, montagne, terreni agricoli, senza tralasciare laghi, fiumi, città e oceani.
Le tempistiche di questa impresa sono necessariamente lunghe, tant’è che proprio il 5 giugno, con la Giornata mondiale dell’ambiente, prende il via ufficialmente il “Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema”. Vincere questa sfida può significare “contribuire a metter fine alla povertà, a combattere il cambiamento climatico e a prevenire l’estinzione di massa”, si legge sul sito dell’iniziativa. “Avremo successo solo se ciascuno farà la sua parte”.
Che cosa significa ripristino degli ecosistemi
Ripristino dell’ecosistema significa sia favorire il recupero della situazione precedente, in caso di distruzione o degradazione, sia preoccuparsi di conservare gli ecosistemi ancora intatti e in salute, caratterizzati da elevata biodiversità. Le azioni di recupero inserite nel programma delle Nazioni Unite spaziano dalla piantumazione di alberi nella foresta pluviale del Borneo al ripopolamento delle lontre in Argentina, senza dimenticare gli ecosistemi urbani (per esempio creando orti e spazi verdi a New York). Merita una citazione l’ambizioso progetto pakistano Ten Billion Tree Tsunami Project, avviato nel 2019 con l’obiettivo di piantare dieci miliardi di alberi entro il 2023.
Naturalmente esistono casi in cui il ritorno alla situazione originaria non è possibile o auspicabile, per esempio se ciò implicherebbe la distruzione di insediamenti umani o attività economiche. In generale, tuttavia, è possibile recuperare qualsiasi tipo di ecosistema, dalle foreste ai terreni coltivabili, dalle zone umide agli oceani, passando per le città. Uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, tracciata dall’Onu, riguarda proprio le comunità urbane, che dovranno diventare più vivibili, più verdi, meno inquinanti, più democratiche nell’accesso ai servizi abitativi e di trasporto (con particolare riguardo ad anziani, bambini, donne, invalidi e persone vulnerabili).
I vantaggi del ripristino degli ecosistemi
Il ripristino degli ecosistemi è fondamentale all’interno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030: dimezzamento delle emissioni di gas serra, lotta alla povertà, salvaguardia della biodiversità (per evitare la potenziale estinzione di un milione di specie animali e vegetali), per citarne alcuni. Secondo le Nazioni Unite, recuperare 350 milioni di ettari di ecosistemi terrestri e marini degradati, fa qui al 2030, consentirebbe di generare un valore di 9.000 miliardi di dollari attraverso nuovi servizi, nonché di eliminare dall’atmosfera una quantità di gas serra compresa fra 13 e 26 miliardi di tonnellate.
Certo, questo lavoro ha un costo, ma i benefici economici ottenibili sono nove volte più grandi dell’investimento. Al contrario, non fare nulla causerebbe danni economici tre volte più grandi, senza contare i danni ambientali e altre conseguenze non quantificabili e gravi, come la riduzione della speranza di vita per chi abita in luoghi inquinati o contaminati.
Come contribuire alla missione del decennio
Governi nazionali e industrie giocano, naturalmente, un ruolo primario. Ma l’azione dei singoli è altrettanto importante e per questo le Nazioni Unite hanno diffuso una guida pratica (“Ecosystem restoration playbook”) in cui ci viene spiegato come poter agire per contribuire a questa missione decennale. Il punto di partenza può essere quello di informarsi sulle tipologie di ecosistema e di intervento, per poi unirsi a progetti già in corso oppure dare il via a nuove iniziative, che possono partire dal singolo, da aziende, comunità locali, enti pubblici.
La guida descrive anche le azioni di responsabilità individuale che possiamo introdurre nella quotidianità, modificando il nostro stile di vita (per esempio riducendo il consumo di carne, smaltendo correttamente i rifiuti, privilegiando gli acquisti da aziende impegnate nella sostenibilità ambientale) o contribuendo a creare nuovi ecosistemi (anche un orto su un balcone, in fondo, è un piccolo ecosistema). Le Nazioni Unite invitano anche a far buon uso delle innovazioni tecnologiche, dai sensori all’intelligenza artificiale, per monitorare gli effetti delle azioni di ripristino avviate. Si può contribuire alla causa anche con la con la comunicazione, condividendo le proprie iniziative sui social media con l’hashtag #GenerationRestoration. La missione del ripristino degli ecosistemi, per tutti quelli che vorranno salire a bordo, è ufficialmente partita.
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