Prevista per inizio maggio la quotazione in Borsa di Uber, che potrebbe essere la più grande in campo digitale dai tempi di Alibaba. Nel frattempo, però, ci sono delle riserve sul modello di business con cambiamenti nella domanda dei consumatori che richiedono strategie diversificate.
Dopo Zoom e Pinterest, Wall Street continua a scommettere sugli “Unicorni” (espressione con cui si indicano le società hi-tech che al momento del debutto in Borsa vengono valutate oltre il miliardo di dollari). È recente, infatti, la notizia dell’imminente quotazione di Uber che arriva quasi un mese dopo quella della rivale Lyft le cui quotazioni dopo un eccellente debutto (il prezzo iniziale per azione era stato fissato a 72 dollari ma le quotazioni sono subito lievitate a 87,2 dollari, facendo registrare un incremento del 21%) hanno raggiunto gli scambi minimi di 66,1 dollari.
In vista della maxi Ipo (la società punta a raccogliere 10 miliardi di dollari con la quotazione) il gruppo californiano ha fornito alla Sec statunitense un resoconto dettagliato sui propri dati finanziari, una pubblicazione molto attesa che per la prima volta ha permesso di mettere gli occhi sul bilancio Uber e che ha mostrato un business che se da un lato può apparire in crescita dall’altro rivela un futuro incerto e molte incognite per eventuali investitori.
Dal documento si apprende che nel 2018 il fatturato di Uber è cresciuto del 42% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, attestandosi attorno a 11,27 miliardi: sebbene in crescita i numeri sono ben lontani dalle cifre che hanno caratterizzato il passaggio dal 2016 al 2017 dove il fatturato era più che raddoppiato.
Il documento mostra un aumento anche del numero degli utenti, dato che necessita di ulteriori approfondimenti: dei 91 milioni di clienti registrati nell’ultimo trimestre del 2018 (il 35% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) 15 milioni appartengono alla piattaforma UberEats. In crescita del 37% anche il numero di corse: da 1,09 miliardi nel 2017 a 1,49 miliardi nel Q4 2018, per un “gross booking” (l’incasso di corse e consegne) di 11,48 miliardi, il 23% dei quali (2,6 miliardi) sono ricavi che derivano da Eats. Questi dati mostrano, quindi, come un quarto del totale degli utenti e dei pagamenti di Uber derivi dalle consegne a domicilio: se, infatti, nel 2016 i servizi di trasporto privato pesavano al 92% nel fatturato dell’azienda nel 2018 sono scesi all’82%.
Cosa si aspetta Uber dalla quotazione
L’Ipo, spiega Uber, dovrebbe consentire al gruppo di espandere la propria rete e aumentare la propria flotta: più auto in circolazione significherebbe tempi di attesa minori e corse più frequenti, migliorando così la User Experience e la customer journey degli utenti e le condizioni di lavoro degli autisti, che sarebbero così incentivati a entrare nella compagnia.
Ma la performance sarà all’altezza delle aspettative?
Alla vigilia della sua quotazione in Borsa, dunque, Uber si presenta al mercato con numerose incognite, con dei numeri che pur essendo positivi mostrano delle incertezze per il futuro e con un cambiamento nel trend della domanda impone cambi di rotta strategici: la crescita degli altri segmenti di business (come quello delle consegne a domicilio via app) richiede di competere in un mercato (quello del food delivery) molto competitivo e dominato da big quali Deliveroo e Just Eat. Allo stesso modo il mercato del ride sharing potrebbe vedere emergere nuovi avversari molto più competitivi, costringendo Uber a offrire tariffe più basse e maggiori incentivi agli autisti, scelte che potrebbero tradursi in minori margini di guadagno per l’app.
Oltre alle incognite finanziarie e relative alla concorrenza sul mercato non va dimenticato l’aspetto regolatorio e lo status contrattuale dei conducenti, ragioni che, stando a quanto affermato dalla stessa azienda, stanno spingendo a investire notevoli cifre nella guida autonoma, l’unica tecnologia che nel documento reso pubblico è stata inserita nella “strategia di crescita”.