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PIL e Mercato Digitale: inversione di trend?

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Riparte il Digital Italy Program di The Innovation Group. Il primo tema discusso ha riguardato le prospettive di crescita del mercato digitale in un contesto economico sempre più turbolento. Rilanciare (e digitalizzare) l’Italia vuol dire innanzitutto intervenire su vecchi problemi strutturali del Paese.

Si è tenuta lo scorso 29 aprile la web conference “Lo scenario economico e del mercato digitale nell’anno della pandemia”. L’evento, organizzato da The Innovation Group, è il primo del ciclo delle Digital Italy Web Conferences”, incontri “nativi digitali” che si affiancano ai tradizionali eventi fisici di The Innovation Group.

Obiettivo della conferenza è stato comprendere quale sarà l’impatto della crisi che stiamo vivendo sul contesto economico italiano e quali le conseguenze attese sull’andamento del mercato digitale, soprattutto a fronte del forte crollo del PIL (- 9,1% nel 2020 secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale).

Secondo le analisi di The Innovation Group, infatti, la relazione tra PIL e mercato digitale ha avuto quasi sempre un carattere ciclico: nella maggior parte degli anni considerati, la crescita del PIL è stata accompagnata da un’altrettanta variazione positiva del mercato digitale, ciò è avvenuto anche nel 2009 quando la forte crisi finanziaria globale ha causato in Italia una riduzione del PIL del 5,5% accompagnata da una decrescita del mercato digitale del 2,9%. Tuttavia, quest’anno lo scenario potrebbe essere differente.

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The Innovation Group stima che il mercato digitale seguirà un andamento compreso tra il -3% e il +1% nonostante il drastico calo del PIL. Siamo, quindi, di fronte ad un’inversione di tendenza? Questa volta la relazione tra PIL e mercato digitale potrebbe essere anticiclica?

Sul tema sono intervenuti diversi studiosi ed economisti nonché rappresentanti di alcune delle principali industrie tecnologiche italiane.

Secondo Gregorio De Felice, Head of Research and Chief Economist, Intesa Sanpaolo, stiamo vivendo una fase di «hammer and dance»: se inizialmente si è intervenuti per “colpire” i contagi, facendo, così, rientrare l’emergenza nelle strutture sanitarie, adesso siamo nella fase in cui “danziamo” con il virus, ovvero di convivenza. Adesso la vera sfida è comprendere se affronteremo uno “short” o “long” lockdown.

Per Alfonso Fuggetta, CEO, Cefriel, la pandemia dovrebbe insegnarci l’importanza del ritorno al «basic», cambiare le attuali modalità di gestione degli eventi e di definizione delle priorità. La tesi è condivisa anche da Marco Gay, Presidente, Anitec-Assinform, che ha ricordato «il disperato bisogno del nostro Paese di politiche digitali»: lo smart working e l’e-learning ci hanno colto impreparati, gran parte della popolazione non disponeva degli strumenti e delle competenze adeguate per affrontare un cambiamento di così vasta portata. La problematica, secondo Marco Bentivogli, Segretario Generale, FIM-CISL, rende necessario ripensare ad un reskill dei lavoratori, che sia adeguato alle loro esigenze. Anche per Barbara Cominelli, Direttore Marketing & Operation, Microsoft, bisogna iniziare a pensare già da oggi a come creare «il lavoro del futuro».

Di interesse, infine, l’intervento di Luigi Gubitosi, Amministratore Delegato e Direttore Generale, TIM. In questi mesi le reti di telecomunicazioni hanno subìto un vero e proprio “stress test” che se da un lato ha dimostrato la buona tenuta del servizio, dall’altro ha reso ancora più evidente il problema del digital divide e delle aree bianche del nostro Paese. Il digitale svolge un ruolo fondamentale nella riabilitazione del nostro Paese: è condizione necessaria garantirne a tutti l’accesso alle stesse condizioni.

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Alcuni momenti della web conference

La pandemia rischia di accentuare le disuguaglianze nel Paese

Secondo Tito Boeri, Economista e Professore Ordinario, Università Bocconi, questa pandemia è fortemente “antidemocratica” poiché sta causando effetti asimmetrici sulla popolazione e sta colpendo soprattutto le persone più vulnerabili e a più basso livello di reddito.

Stiamo affrontando, dunque, una crisi “selettiva” che richiede l’adozione di politiche altrettanto “selettive”, rivolte a chi ha maggiormente bisogno di aiuto, una strategia che finora non è stata adottata. Boeri ritiene che il governo avrebbe dovuto mostrarsi più selettivo nelle politiche sociali e meno in quelle di apertura, incentivando, laddove possibile, la spesa e il consumo delle famiglie.