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Uguaglianza di genere, a che punto siamo?

Quanta uguaglianza di genere c’è in Italia, e come ci posizioniamo rispetto ad altri Paesi? Il percorso è tutt’altro che giunto a destinazione, sia nello Stivale sia nel resto d’Europa. L’Italia prova a mantenere il passo, ma avrebbe bisogno di accelerare. I Paesi Ue, su una scala che va da zero a cento, possono vantare un punteggio di 67,9, secondo i calcoli del “Gender Equality Index.

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, attivo dal 2007 e domiciliato a Vilnius, Lituania, ha messo a punto quest’indice considerando la condizione di uomini e donne dei Paesi Ue relativamente all’occupazione lavorativa, alla retribuzione, al grado di istruzione, alla gestione del tempo, alla salute, al potere detenuto all’interno della società, della politica e dell’economia. L’istituto monitora anche due fenomeni trasversali a queste sfere, ovvero la violenza contro le donne e le cosiddette “disuguaglianze intersezionali” (che derivano dall’associazione di più caratteristiche, per esempio sesso, ed etnia o appartenenza religiosa), che non sono però inclusi tra gli indicatori.

L’uguaglianza di genere migliora lentamente

Nell’ultima edizione del “Gender Equality Index”, relativa all’anno 2020, si aggiudica la medaglia d’oro va alla Svezia, con un punteggio di 83,8 su 100, e nei piani alti della classifica ci sono anche Danimarca, Francia, Finlandia, Paesi Bassi. L’Italia invece è sotto la media europea e supera appena la sufficienza, con un punteggio di 63,5 su 100. Vero è che in un decennio abbiamo ottenuto un notevole miglioramento dell’uguaglianza di genere, di oltre dieci punti (e scalando di otto posizioni la classifica), ma fra il 2017 e il 2020 abbiamo guadagnato appena mezzo punto. Guardando più da vicino, si notano i veri problemi. Nella sfera della salute l’indice di uguaglianza di genere raggiunge 88,4 punti su 100, nelle retribuzioni si arriva a 79, per poi scendere a 63 punti nella sfera lavorativa e a 59,3 nella gestione del tempo

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Stereotipi o realtà?

L’indicatore “tempo” è particolarmente interessante, perché quantifica aspetti solitamente molto discussi ma quasi mai misurati: valuta quanto sia distribuito su uomini e donne il peso dei lavori domestici, della cura dei figli, dell’assistenza a familiari anziani o disabili; considera, inoltre, la partecipazione ad attività sociali e socializzanti nel tempo libero. Insomma, risponde a una spinosa domanda: quanta uguaglianza di genere c’è tra le pareti domestiche in Italia? Il punteggio di 59,3 dimostra che in certe immagini stereotipate – come quelle della donna (anche) casalinga e dell’uomo che a stento si occupa delle faccende di casa – in fondo c’è parecchia verità. Stando alla “European Quality of Life Survey 2016” realizzata da Eurofond,  l’80,9% delle cittadine italiane svolge lavori domestici, di pulizia e/o di cucina su base quotidiana, mentre tra i cittadini la percentuale è appena del 19,7%. 

Certo, fare analisi sociologiche sulla base di un solo numero sarebbe azzardato. L’indice restituisce, in ogni caso, un interessante spaccato di realtà. Notiamo che lo sbilanciamento esiste anche altrove, ma meno accentuato: la media europea delle donne e degli uomini che si occupano della casa ogni giorno è, rispettivamente, del 78,7% e del 33,7%. Purtroppo l’ultima edizione della “European Quality of Life Survey” risale al 2016: sarebbe stato interessante scoprire se lo sconquasso della pandemia e dei lockdown abbia determinato una nuova normalità, magari più equa, anche all’interno delle mura domestiche.

Il gender gap in Italia

Il gap nella politica, nell’economia e nella società

Tornando al “Gender Equality Index”, l’indicatore su cui l’Italia riceve una netta insufficienza è quello del potere, che valuta il peso delle donne nella politica (presenza all’interno di parlamento, ministeri e giunte regionali), nell’economia (sedie nei consigli di amministrazione e ruoli dirigenziali all’interno di aziende) e nella società (presenza nei Cda di fondazioni, media e comitati nazionali di sport olimpici): ci meritiamo un punteggio di appena 48,8 su 100. Tra il 2010 e il 2020 la quota rosa è salita dal 20% al 36% del totale dei parlamentari, nel governo le ministre sono passate dal 18% al 34%. Sono progressi, ma nel giro di un decennio avremmo potuto, forse, fare di più.

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