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Pari opportunità: Il rapporto tra mondo Fintech e regolamentazione

N.  Novembre 2017
        

a cura di Eleonora Porazzi
Junior Analyst, The Innovation Group  

 

Cuius regio, eius religio (Di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione”) sancì un tempo la pace di Augusta, che pose fine alle sanguinose guerre di religione in Germania. Questa frase, seppur antica, sembra avere ancora valenza nel complesso panorama delle start-up fintech, dove, in assenza di un’unica regolamentazione internazionale, ogni paese applica le proprie regole e giurisdizioni: per esempio, in UK la FCA (Financial Conduct Authority) ha creato uno spazio dedicato (chiamato “regulatory sandbox”) dove le start-up fintech possono testare i loro prodotti e/o servizi privi delle usuali costrizioni normative, venendo così  votata come il paese più “fintech-friendly”[1], mentre in Germania e in Olanda non vi sono regole specifiche che riguardino le fintech[2]. La “regulatory sandbox”, iniziativa che si sviluppa anche ad Hong Kong, Singapore e Abu Dhabi, prevede una “non-action letter” che garantisce la non applicazione di regole per il periodo iniziale: allo scadere di questo tempo, la fintech deve attenersi al sistema regolativo generale.  Invece, negli Stati Uniti, contrariamente a quanto si applica alle start-up britanniche, viene incoraggiato un ambiente più controllato, regolato e frammentato, dato che le fintech devono tenere in considerazione tutte le molteplici regolamentazioni dei singoli stati (anche divergenti) senza che vi sia una regolamentazione specifica solo per le fintech a livello federale[3].

Tuttavia, sono in molti ormai a richiedere una regolamentazione più stringente e globale del panorama fintech volta ad evitare un ambiente simile al “Far West” dei film di Sergio Leone. A supporto di questa tesi molti sostengono che, a differenza di altri settori dove la regole rallentano il processo di innovazione, il mondo fintech può (quasi) esclusivamente venire trainato positivamente dalle normative: un esempio è la PSD2, già trattata nella precedente newsletter, che inevitabilmente aprirà il mercato dei servizi di pagamento a nuovi entranti[4]. A questo proposito va tenuto in considerazione un recente studio dell’EBA (European Banking Authority), secondo cui il 31% delle fintech considerate nel campione non sono soggette ad alcun tipo di regolamento[5].

Qualcosa si è mosso a livello europeo: recentemente infatti la BCE ha reso pubbliche delle linee guida sulla questione delle richieste di licenza bancaria inoltrate da start-up fintech, con il fine di discuterle e di arrivare ad una versione definitiva entro la fine dell’anno. Più nello specifico, è stato proposto che, per ottenere la licenza bancaria, varrà la stessa procedura sia per le banche tradizionali che per le fintech, aggiungendo tuttavia dei requisiti aggiuntivi specifici per le fintech[6]: questi requisiti extra riguardano in primis la dotazione di un capitale superiore alla media, poi la presenza di una riserva aggiuntiva sufficiente a coprire le perdite relative ai primi tre anni di attività della start-up fintech, nonché un azionariato stabile e di alto profilo, alla pari di qualsiasi altro investitore bancario, la presenza di un “management” che possegga sia competenze bancarie che competenze in ambito tecnologico, ed infine la possibilità di ispezioni in loco. Alcuni hanno criticato queste linee guida, in quanto applicano requisiti aggiuntivi fin dalla nascita della start-up, mentre in altri paesi questo avviene dopo il passaggio dei primi 3 anni di vita, considerati i più critici per queste piccole realtà.

Anche a livello italiano vi è attenzione sull’argomento, e sono stati fatti piccoli passi avanti: a Maggio 2017, infatti, il presidente del Consob Giuseppe Vegas ha creato una task force di esperti per  “ipotizzare il futuro della regolamentazione della finanza digitale nel nostro Paese”, con l’obiettivo di arrivare ad un discussion paper da presentare al Parlamento entro la fine dell’anno[7]. Inoltre, antecedentemente a questo, la Banca d’Italia ha sviluppato delle regolamentazioni in termini di prestiti peer-to-peer, regolamentando così un segmento di attività del mondo fintech.

Dalla discussione, dunque, emerge la necessità di  impostare un equo approccio regolamentare al mondo della finanza digitale e, seguendo il detto che un approccio positivo deve trasformare un problema in una opportunità, potremmo vedere l’intervento del legislatore come necessario per non far si che le fintech abbiano solo opportunità mentre le banche solo “problemi”: si chiede cioè un intervento che miri a creare uno scenario di pari opportunità. Occorre infatti ricordare che le banche già di per sé si muovono sempre in un territorio molto più regolato della maggior parte degli altri settori, al punto che l’implementazione della compliance richiede vastissime risorse, tempo e attenzione del management del mondo bancario, spesso andando a rallentare il processo di innovazione e trasformazione digitale.

Emerge quindi il fatto che le fintech rappresentino una sfida non solo ai tradizionali modelli di business bancari, ma anche ai modelli di vigilanza e alle regole fin ad ora stabilite.  Occorre dunque che il regolatore svolga l’arduo compito di creare un campo di gioco uguale per tutti, dove l’obiettivo è comprendere le novità per impedire che si verifichino i rischi che queste comportano, senza però frenare i processi d’innovazione, e tenendo sempre in mente il vero utente finale (spesso dimenticato) e cioè il consumatore.

Quello che emerge da quanto detto fin ora è la presenza di differenti livelli di incertezza: vi è incertezza per le banche tradizionali, che si trovano a dover affrontare, oltre alle altre loro criticità, anche questa nuova forma di competizione/cooperazione, vi è incertezza per queste nuove realtà finanziarie, che in primis devono riuscire a vincere le difficoltà iniziali, vi è incertezza per i consumatori, che si ritrovano a potere e “dover” scegliere in un mondo sempre più complesso e frammentato, ed infinte vi è incertezza per i legislatori, che hanno di fronte a loro un fenomeno articolato e mai visto prima. Questi tanti livelli di incertezza si possono riassumere nella seguente domanda: stiamo aspettando la legislazione per una transizione alla nuova era con massiccia influenza delle fintech, o l’avvento delle fintech, dai risvolti ancora poco chiari, obbliga ad una “legislazione di transito”?

Ai posteri l’ardua sentenza”.

 


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