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L’innovazione digitale del Paese dai piani ai fatti

N. Ottobre 2020
        

a cura di Roberto Masiero 
Presidente, The Innovation Group 

 

Il Paese Innovatore – Un decalogo per reinventare l’Italia” è il titolo di un interessante libro di Alfonso Fuggetta in uscita in questi giorni, che consigliamo a tutti di leggere.

Due fra le 10 proposte ci paiono particolarmente stimolanti, e ne discuteremo con molti tra i protagonisti dell’innovazione digitale del nostro Paese nel corso della  ”tre giorni” del Summit, che si svolgerà dal 19 al 21 Ottobre quasi completamente in forma digitale e a cui ognuno potrà partecipare in streaming.

Secondo la prima, “Il valore è creato primariamente dalle imprese e dalla società civile, non dallo Stato”, che “non deve sostituirsi alle imprese, quanto favorirne la nascita e la crescita, attivare politiche per l’attrazione degli investimenti e promuovere lo sviluppo delle imprese già presenti sul territorio”.

La seconda afferma che “La missione principale del settore pubblico non è fare nuovi servizi digitali, ma che la PA deve diventare invisibile, cancellando adempimenti e obblighi di natura meramente burocratica, rendendosi al contrario vicina e visibile a cittadini e imprese per rispondere a loro reali bisogni, offrendo o promuovendo servizi di qualità (in particolare, sanità, scuola, lavoro)”.

Il ruolo dello Stato, delle Imprese e della Società Civile nei processi di innovazione digitale del nostro Paese sono anche al centro del quinto “Rapporto Annuale sullo Stato e le prospettive dell’Innovazione Digitale del Paese”, che verrà presentato a Roma in apertura del Summit, insieme a una molteplicità di ricerche e di contributi settoriali al dibattito sull’innovazione che ferve nel Paese, in particolare rispetto alle prospettive legate agli investimenti del Recovery Fund e alle prospettive della ripartenza dopo la crisi pandemica.

Vorrei partire dalle due tesi citate sopra per condividere alcune delle riflessioni svolte in merito nell’ambito del Rapporto.

 

L’ impatto generale della Pandemia sull’innovazione nel mondo delle imprese

È ormai idea generalmente condivisa che la pandemia è stata – e potrà ulteriormente essere – un grande acceleratore di trasformazione digitale e modernizzazione in Italia.

Di fatto, nel periodo del lockdown solo le tecnologie digitali e la capacità di tenuta delle reti hanno consentito di evitare il collasso economico e sociale del paese.

Alcuni settori hanno sofferto di più il distanziamento sociale, a partire dai trasporti, dal turismo, dalla ristorazione. Altri hanno sofferto meno, soprattutto quelli che già si erano dotati di tecnologie digitali o lo hanno fatto tempestivamente così da permettere il lavoro a distanza di milioni di addetti, la continuità delle attività nelle imprese, l’accesso all’informazione, la salvaguardia di servizi pubblici essenziali, dalla sanità sino alla scuola da remoto.

Secondo Marco Gay, Presidente di Anitec Assinform, “Ora occorre un cambio di passo

Mai come oggi è strategico e urgente dotarsi di una politica digitale all’altezza dei tempi, e attuarla: occorre una vera e propria politica industriale per il digitale per la ripartenza economica del Paese…

Non a caso dotarsi di una strategia per il digitale è tra le condizioni poste dalla UE per accedere ai fondi straordinari di Next Generation EU. 

Una politica industriale per il digitale deve avere un approccio a sistema, dove iniziative, obiettivi e risultati siano condivisi e coordinati tra tutti gli operatori coinvolti in modo trasversale e univoco, mettendo in campo risorse significative e definendo traguardi oggettivi sia lato domanda (presso le imprese, le amministrazioni pubbliche, la scuola, la sanità) sia lato offerta (attraverso lo sviluppo dell’industria digitale). 

Nel suo intervento, Stefano  Firpo lamenta come negli ultimi 20 anni Politica e policy-making si siano sempre più allontanate l‘una dall’altra: una politica sempre più concentrata nella spasmodica ricerca del consenso di breve periodo avrebbe agito da freno, per non dire da vero e proprio impedimento, a un’azione politica tesa alla gestione, alla “buona amministrazione” e a una spinta riformatrice coerente, determinata e continua, con l’effetto di intrappolare il Paese in un ventennio di sostanziale stagnazione.

Si sarebbe così consolidato un modello di sviluppo incentrato prevalentemente su settori a basso valore aggiunto e a bassa vocazione tecnologica, che sono poi entrati in crisi.

La pandemia ha mostrato invece come le imprese più altamente digitalizzate abbiano sofferto assai meno delle ricadute del lockdown.

Per tali ragioni bisogna lavorare urgentemente al piano Industria 4.0 per farne il principale strumento di policy su cui costruire la strategia per stimolare gli investimenti in queste direzioni… Le risorse attese dall’Unione Europea con il Recovery Fund devono essere utilizzate per attivare gli investimenti in infrastrutture, tecnologie, ricerca e innovazione, competenze professionalizzanti e istruzione contribuendo a irrobustire il capitale umano del Paese e a metterlo nelle migliori condizioni per cogliere le infinte opportunità di crescita e progresso sociale che le nuove tecnologie oggi offrono come mai nella storia”

 

La Pubblica Amministrazione

Nella sua prefazione al “Rapporto”, il Ministro Per la Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone afferma che in questo passaggio epocale, la Pubblica Amministrazione può e deve avere l’ambizione di giocare un ruolo centrale, deve pensarsi quale infrastruttura cruciale del Paese.

“Il digitale è uno strumento chiave di questo percorso, pur non esaurendo tutti i possibili percorsi di cambiamento. Naturalmente, eravamo impegnati in tal senso già prima dell’arrivo del coronavirus: penso ad esempio alla piattaforma del Governo per le consultazioni online ParteciPa o ai progetti per rafforzare le competenze digitali del personale come il Syllabus della Funzione pubblica. Tuttavia, l’avvento della pandemia ci ha spinto ad accelerare sulla svolta tecnologica delle amministrazioni, anche per sostenere meglio lo smart working massivo nella fase del lockdown… Tuttavia, è soprattutto con il decreto Semplificazioni che, in coordinamento con la collega Paola Pisano, abbiamo delineato la visione del futuro, avvicinandoci all’obiettivo di avere la PA in uno smartphone… Non si può, però, digitalizzare il front office se non si informatizzano e non si rendono più semplici le procedure interne agli uffici. Con il Semplificazioni forniamo regole omogenee a tutte le amministrazioni per gli acquisti tecnologici, spingiamo ulteriormente sulla formazione digitale dei dipendenti e la progettazione dei servizi digitali ai cittadini, perché non esiste una Pubblica Amministrazione smart senza un personale smart. 
Tutto ciò, poi, potrà realizzarsi in modo inclusivo e diffuso sul territorio solo se avremo una presenza capillare della banda ultra larga “.

 

Il Terzo Settore nella crisi del Coronavirus

In una lunga intervista che verrà presentata al Summit nell’ambito del Tavolo di lavoro sul Terzo Settore, Stefano Zamagni attira l’attenzione sul limitato coinvolgimento di questo comparto nella gestione della crisi:

Il nostro Paese vanta un insieme variegato di enti di Terzo Settore che non teme confronti a livello internazionale. In questo mondo vitale, tanti sono coloro che con competenza e passione si occupano da tempo di erogare servizi e assistenza sanitaria. Penso a organizzazioni come ANT, AIL, VIDAS, AVIS e a tante altre ancora; alle associazioni di volontariato ospedaliero (AVO), a Medici Senza Frontiere; a cooperative sociali che si dedicano agli anziani non autosufficienti e ai portatori di disabilità varie, alle Misericordie e altre APS. E così via. Ebbene, nei tavoli o cabine di regia dove si andavano disegnando le strategie di intervento, questo mondo non è stato invitato a dare il contributo di cui è altamente capace.

Quale contributo, per farmi capire? Primo, l’apparato di conoscenze e informazioni che solo chi opera sul territorio e per il territorio è in grado di fornire. Secondo, l’assolvimento di mansioni come il rilevamento della temperatura corporea, il prelievo dei tamponi, il trasporto degli ammalati. (Si pensi al beneficio che ne avrebbero tratto medici e infermieri, ormai allo stremo delle forze). Terzo, e soprattutto, la predisposizione di vere e proprie azioni di pedagogia sanitaria e di educazione alla responsabilità intesa non tanto come imputabilità, ma come farsi carico del peso delle cose, del prendersi cura dell’altro. (Ricordiamo tutti l’I care di don Lorenzo Milani)”.

 

Stato, Imprese e Società Civile: che ruoli per l’Innovazione del Paese?

Come si vede dall’articolazione di questi interventi, ci sono molte diverse opinioni sui ruoli che Stato, Imprese e Società civile possono giocare per l’innovazione del Paese.

Vorrei però concludere queste note con una riflessione illuminante di Alfonso Fuggetta, che ricorda come “Il Paese è più dello Stato: lo Stato è una istituzione, un pezzo importante del Paese, ma si ferma a questo”.

E Fabiana Dadone ci ricorda il ruolo della Pubblica Amministrazione, che è quello, strategico ma ben definito, di “centrale infrastruttura abilitante” del Paese.

La chiave per lo sviluppo dell’innovazione digitale del Paese non sta quindi nella riesumazione dello statalismo degli anni ’70 e ’80 sotto la pretesa veste dello “Stato imprenditore”, né nella impropria concezione di una Pubblica Amministrazione come “motore” dell’innovazione del Paese;  ma nel coordinato sviluppo di politiche industriali che puntino a valorizzare tutte le opportunità di trasformazione offerte dal digitale, in una Pubblica Amministrazione che semplificandosi si trasformi sempre più in infrastruttura trasparente, “ seamless”, del Paese, e in una valorizzazione delle enormi potenzialità della società civile, attivando tutti quei principi di sussidiarietà (art. 118 della Costituzione) che potrebbero consentire di far fronte ai crescenti problemi del lavoro e ai bisogni sociali che la crisi pandemica sta pesantemente aggravando.

 

 

 

 

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