A cura di Ezio Viola, Managing Director, The Innovation Group
Da diverse settimane, anche dopo la pubblicazione degli stress test a fine luglio, le Banche Italiane sono sotto la lente di ingrandimento dei media e dei mercati, in particolare dopo il via libera alla gestione dei Non Performing Loans, non solo da parte di Monte Paschi Siena, l’unica uscita “bocciata”. Tutti si aspettavano un momento di calma e invece i mercati stanno ancora punendo le valutazioni e le performance delle banche italiane; come è abitudine nel nostro Paese, si incomincia a cercare un alibi, nascondendoci dietro a fantomatici nemici impersonati da cattivi speculatori esteri, che starebbero operando contro la nostra industria finanziaria.
Molti osservatori e analisti, però, fanno notare come, analizzando meglio i dati delle ultime semestrali delle principali banche italiane, risulti evidente che le banche italiane “soffrono” non solo di crediti deteriorati e di sofferenza ma anche della mancanza di capacità di crescita dei ricavi .
I risultati delle 10 principali banche, tralasciando le banche salvate come Popolare di Vicenza e Veneto Banca, mostrano che i ricavi operativi nel 2016 sono diminuiti del 7% circa rispetto al 2015, a poco più di 29 Miliardi di Euro, di cui 15 Miliardi derivano da margine di intermediazione e circa 10,4 Miliardi da commissioni da servizi: entrambe le linee di ricavi sono diminuite rispetto all’anno scorso. Inoltre l’impatto dei crediti deteriorarti, attraverso gli accantonamenti necessari, ha ridotto l’utile complessivo e mandato in rosso 3 delle dieci principali banche.
Le banche si stanno comportando come aziende con un fatturato che sta diminuendo per le principali linee di business e che, contemporaneamente, non riescono a ridurre i costi in modo coerente con l’andamento del fatturati; inoltre hanno in portafoglio circa il 20% dei crediti verso i clienti che sono a rischio. Se il calo del margine di intermediazione è legato all’andamento dei tassi, il calo dei ricavi da commissioni per servizi è indicativo del trend complessivo perché non legato alla erogazione del credito ed alla capacità di servire e innovare l’offerta di servizi.
A questi numeri di bilancio si sommano poi il peso delle sofferenze, il sovradimensionamento delle reti distributive e del personale (per questo sono stati già annunciati esuberi, che potranno aumentare anche in vista del processo di consolidamento che si avvierà, ad esempio, nel comparto delle banche popolari) ed il costo di oltre 9 miliardi per il salvataggio delle banche in crisi attraverso Atlante. In questo contesto, le banche hanno la necessità di investire in nuovi sistemi e piattaforme tecnologiche per reggere i costi di gestione delle compliance obbligatorie, sempre più stringenti. Questa prospettiva genera poche aspettative di crescita della redditività delle banche italiane che vengono quindi punite dai mercati.
Ciò che deve far riflettere è che è necessaria, sempre di più, un’ azione strategica di cambiamento rispetto al problema cronico di tutte le banche, ovvero quello di avere dei modelli di business ormai obsoleti o non funzionali alla crescita; inoltre occorre rivedere profondamente e velocemente le capabilities che le tecnologie digitali e il nuovo mondo delle fintech stanno mettendo a disposizione e saper gestire il cambiamento culturale del personale e manageriale necessario.
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