L’Italia ha compiuto progressi su infrastrutture di telecomunicazione, competenze e adozione del cloud sono apprezzabili. Ma con il Pnrr possiamo e dobbiamo accelerare.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è lo strumento che l’Italia si è data per accelerare la “doppia transizione”, digitale ed ecologica, e per colmare il gap di sviluppo che la separa dai Paesi tecnologicamente più avanzati. Come The Innovation Group ci siamo proposti di monitorare (e di presentare nel nostro rapporto annuale, il “Digital Italy Report”) lo stato di avanzamento degli investimenti in digitalizzazione previsti dal Piano, sia relativamente alla Missione 1 (“Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo”) sia rispetto alle altre che presentano una componente di investimenti in digitale particolarmente significativi. Siamo al passo con la tabella di marcia per ottenere tutte le risorse a noi destinate dal Recovery Fund, ma oggi il necessario percorso verso la twin transition è attraversato da forti turbolenze legate ai rischi geopolitici, all’inflazione, alla crisi energetica e allo shortage delle materie prime e dei semilavorati: questi forti elementi di tensione impongono oggi alle nostre classi dirigenti delle scelte decise per garantire la continuità delle riforme e degli investimenti previsti dal PNRR e per evitare al Paese possibili scenari di crisi. La capacità di cavalcare la discontinuità tecnologica per far avanzare innovazione digitale e transizione ecologica nel pubblico e nel privato è, infatti, una parte fondamentale di queste scelte, e gli investimenti del PNRR sono oggi la chiave per una trasformazione concreta e profonda della nostra economia, della nostra Pubblica Amministrazione e della nostra società.
Nell’attuale contesto geopolitico e macroeconomico il digitale ricopre “un ruolo di assoluto primo piano, rappresentando una delle principali leve strategiche in grado di supportare e accelerare il processo di transizione in atto, e di limitare al minimo gli effetti negativi causati dalle situazioni emergenziali e dalle crisi geopolitiche, favorendo la resilienza e la ripresa competitiva delle principali economie mondiali”, come scrive Agostino Santoni, vicepresidente di Confindustria con delega al Digitale, nel suo contributo all’interno del nostro report.
Ma che cosa vuol dire, esattamente, digitalizzare? Letteralmente, significa passare dalla forma analogica (quella della realtà materiale) ai bit, ma oggi quello di digitalizzazione è diventato un concetto assai più complesso. Per diventare digitali è necessario riorganizzare e talvolta stravolgere i processi, quelli aziendali così come quelli della Pubblica Amministrazione. Un’opera distruttiva e costruttiva insieme, che punta all’efficienza, alla produttività, alla semplificazione. E digitalizzare significa anche diventare “amici” del digitale, imparando a conoscerlo: qui si innesta il ben noto problema delle competenze, un problema che parte dalle sacche di analfabetismo informatico che ancora resistono in Italia e arriva alla difficoltà delle aziende di reperire professionisti specializzati nelle aree più innovative dell’informatica (la scienza dei dati, l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza).
Non è un caso che molti degli autori che hanno contribuito al nostro “Digital Italy Report” abbiano citato il posizionamento dell’Italia nell’Indice Desi, ovvero l’indice con cui dal 2014, annualmente, la Commissione Europea misura i progressi delle nazioni Ue sul percorso della digitalizzazione. In un solo anno l’Italia ha migliorato la posizione in classifica: sul totale dei 27 Paesi Ue, era al ventesimo posto nel 2021 ed è salita al diciottesimo posto nell’indice Desi 2022. Il progresso è in parte dovuto alla realizzazione di nuove infrastrutture di rete a banda larga, così come all’allargamento dei servizi di Pubblica Amministrazione digitale. E oggi, forse anche grazie allo shock della pandemia e alla conseguente adozione del cloud computing, il 60% delle piccole e medie imprese italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale. Inoltre abbiamo un po’ ridotto il ritardo sulle competenze digitali di base, ma ancora nel 2022 oltre la metà dei cittadini italiani ancora non le possiede. Nel complesso l’Italia, la terza economia Ue per dimensioni, può e deve fare meglio.
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