A cura di Ezio Viola, Managing Director, The Innovation Group
Dicembre è sempre un mese di consuntivi dell’anno che sta per finire e di previsioni per quello in arrivo, e questo vale anche per il mercato ICT e, più in generale, del mercato digitale. Autorevoli analisti e opinion makers si esercitano nel “rito” delle prediction e delle previsioni fornendo analisi e valutazioni dei principali trend a breve e medio termine su tecnologie, mercato, dinamiche competitive dei giocatori del settore etc. Anche quest’anno, ma il fenomeno si è già manifestato degli ultimi 4-5 anni, sembra affermarsi, pur con sfumature sostanzialmente marginali tra i diversi analisti ed opinionisti, un pensiero comune, quasi “unico” e che sta diventando dominante, riguardo a come si sviluppano il mercato e i trend del settore ICT.
Le analisi del mercato si focalizzano, pur se in diverse modalità, sul cercare di capire i tempi e le modalità di adozione da parte di consumatori ed aziende delle new digital technologies: queste vengono catalogate in differenti modi e definite con diversi acronimi: includono il cloud computing, i big data e, più in generale, l’evoluzione delle tecnologie per l’analisi avanzata dei dati, le tecnologie mobile e l’evoluzione dei social media; a queste si sono via via aggiunte altre tecnologie, anch’esse considerate “ disruptive”, come IoT , cognitive computing, artificial intelligence, robotics, augmented e virtual reality, blockchain; a queste tecnologie si sono accompagnate altre parole d’ordine quali open platform e open innovation, API ed ecosistemi, IT bimodale, devops e agile development, sono emersi i bots e si discute del possibile declino delle app come modello di interazione. Tutto ciò poi viene contestualizzato nel grande mantra della “Digital Transformation” che le aziende e le organizzazioni stanno cavalcando se smart o, più frequentemente, subendo, mantra che riguarda anche la necessità di innovare modelli di business che devono emulare i grandi player digital nativi o della sharing e on demand economy: la Digital Transformation e le sue “ magnifiche sorti e progressive” sono decantate da tutti con modalità e accenti che sconfinano in una forma di retorica del digitale spesso inutile e che, soprattutto, ha l’effetto opposto di frenare l’innovazione.
Molte volte, nelle analisi, sui media piuttosto che nelle descrizioni delle strategie di goto-market di molti operatori dell’industria ICT ci si trova di fronte ad un uso strumentale della Digital Transformation, che ne svuota e ne banalizza il significato, non facendo capire le dinamiche e le complessità del cambiamento che le organizzazioni devono affrontare per realizzarla e per generare valore e produttività.
E’ vero che le statistiche, come già capitato in passato per altri cicli di innovazione tecnologica dell’industria ICT, non mostrano ancora nei dati la crescita della produttività generate dalla odierna ondata delle new-digital-technologies: sappiamo tuttavia che l’innovazione tecnologica richiede più tempo per emergere nelle statistiche economiche ed inoltre, probabilmente, la presente ondata ha delle peculiarità che non sono ancora state ben interpretate e capite dagli economisti tradizionali; possiamo e dobbiamo quindi essere fiduciosi e non banalizzare l’approccio e le modalità con cui le aziende devono avvicinarsi alle potenzialità della trasformazione digitale.
Lo scenario competitivo considerato nelle analisi e previsioni è molto focalizzato sulle strategie dei grandi player digitali e non (Google, Facebook, Amazon, Apple, MS, Alibaba, etc ), sull’emergere dei nuovi player della sharing e on demand economy (Uber, Airbnb.etc) e sulle aspettative delle nuove start-up nei diversi settori; a livello internazionale il 2016 ha visto eventi importanti con processi di dismissione e M&A di grandi player tradizionali (HP, DELL-EMC, Symantec) piuttosto che riposizionamenti competitivi significativi da parte di altri (IBM, MS, Oracle, Cisco) oppure le prime crepe del percorso innovativo di alcuni player come Apple e il declino di alcuni altri nati con internet come Yahoo o Twitter.
In questo contesto fare delle previsioni per il mercato ICT e del digitale in Italia, che è diventato ormai periferico non solo come dimensione ma anche come presenza di operatori nazionali significativi, non risulta forse poco interessante e superfluo? D’altra parte, se dovessimo fare uno sforzo cercando di ricordare qualche avvenimento, riguardante il settore ICT in Italia nel 2016, degno di nota o che sia finito sotto i riflettori di media e analisti, non riusciremmo a ricordarne nessuno di significativo.
Questo è il segno di una “calma” piatta e di un mediocre continuismo nelle strategie delle aziende ICT presenti in questo mercato, siano esse internazionali o locali? Questa valutazione, certamente non positiva, non è forse anche il risultato di un modo di leggere e interpretare le dinamiche del mercato digitale nel nostro Paese basato più su slogan che su fatti? Non corriamo il rischio di trovare, in un non lontano futuro come capitato per rilevanti fenomeni sociali e politici recenti (basti pensare alla Brexit o al risultato delle elezioni americane), delle post-verità inaspettate che siamo stati incapaci di intercettare e capire?
Forse l’operazione è complessa e non disponiamo di tutti gli strumenti necessari: occorre tuttavia iniziare a leggere le dinamiche dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale del Paese, e di questo “piccolo mercato ICT”, cercando di approfondire maggiormente le sue peculiarità, sia lato domanda che offerta, e le sue dinamiche e non forzare modelli e letture standardizzate, frutti di un pensiero unico che si rafforza grazie alla retorica dell’innovazione digitale fine a se stessa; occorre partire da quegli elementi di continuità e di forte potenzialità innovativa che sono parte integrante della vera struttura economica e sociale del nostro Paese, e che lo rendono capace di più di altri di affrontare i cambiamenti esterni, anche disruptive.
Ad esempio sarebbe interessante (come anche evidenziato dal recente Rapporto del Censis) comprendere come e perché alcuni settori economici, quali il lusso e il made in italy, l’enogastronomico e l’agroalimentare, i settori dei macchinari industriali e il turismo, continuano a rimanere competitivi a livello internazionale, a generare flussi di valore in crescita: sarebbe utile capire quale ruolo l’innovazione digitale abbia giocato, e quale potrà giocare ancora, quali sono le potenzialità inespresse, quali sono stati il contributo ed il ruolo dell’industria digitale, come ancora la tecnologia può fungere da fattore competitivo, come il processo di digitalizzazione e di trasformazione digitale è stato percorso finora e come potrà evolvere. Ancora, sarebbe interessante capire come le città possono diventare la nuova piattaforma digitale e relazionale del nuovo manifatturiero legato all’industria 4.0 e quali sono le condizioni per il loro sviluppo.
E’ arrivato il tempo di guardare alla trasformazione digitale del Paese e delle aziende, alle dinamiche del mercato e alle strategia competitive senza la retorica e le forzature delle vuote parole d’ordine dell’innovazione digitale e capire i processi reali di cambiamento che sono in corso.
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