N. Settembre 2017
a cura di Ezio Viola
Managing Director, The Innovation Group
È uso comune trattare negli articoli di agosto/ settembre di qualsiasi rivista, blog o newsletter, temi non impegnativi, di fare il punto della situazione rispetto alla prima metà dell’anno e, allo stesso tempo, di consigliare letture e approfondimenti per sfruttare al meglio i restanti mesi prima della chiusura dei bilanci e di Natale. Seguendo questa tradizione, quindi, cercherò di fare entrambe le cose (fare il punto della situazione e fornire spunti e consigli di lettura), partendo da una breve sintesi di quanto illustrato durante il nostro recente briefing di metà anno sulle previsioni del mercato digitale in Italia: rispetto infatti a quanto presentammo mesi fa e dalla definizione del 2017 come “l’anno del crocevia” per la crescita digitale del paese, abbiamo ora rivisto stime e numeri anche alla luce dei trend e delle iniziative (“digitali” e non) del primo semestre.
Ebbene, a Gennaio presentammo una forbice di crescita possibile del mercato digitale[1] per il 2017 tra l’1,7% e il 4,7% (rispetto al 2016), una forbice dal valore stimato di circa 1,6 miliardi di euro; le possibilità di crescita, e quindi la capacità di far fruttare appieno quei 1,6 miliardi potenziali, dipendeva dall’andamento di alcuni fattori (interni ed esterni) di rischio, ma soprattutto dall’attuazione secondo i tempi prefissati dei tre piani per la crescita digitale del paese: il Piano Banda Ultra Larga, la Strategia per la crescita digitale 2014-2020 (con il recente Piano Triennale dell’AgID) e il Piano Nazionale Industria 4.0. A semestre concluso, d’altra parte, la forbice della crescita del mercato rimane, benché leggermente ridotta: la crescita è ora prevista tra un valore minimo di 1,2% e un massimo di 3,6%, pari a circa 1,3 miliardi di euro di margine potenziale di crescita per il 2017, 300 milioni in meno rispetto alle stime di inizio anno.
Alcuni dei fattori esterni di rischio e opportunità sono infatti cambiati, in positivo e negativo, rispetto ad inizio anno:
- la paura che il 2017 fosse l’anno del “break”, più che del “make”, per l’Unione Europea si è allontanata;
- è attualmente previsto un cambio di strategia per la politica delle Banche Centrali con un aumento graduale dei tassi e la fine del quantitative easing, mentre “debito” diventerà la parola chiave per il governo dell’economia;
- rimane l’incognita della politica economica della nuova amministrazione negli Stati Uniti;
- lo scenario politico italiano si è normalizzato, il governo attuale terminerà la sua legislatura, mentre si spera che il digitale diventi un tema centrale, e non accessorio, della prossima campagna elettorale;
- la crescita economica prevista del PIL per l’anno in corso secondo il FMI è del 1,3- 1,4%, contro le stime di inizio anno del 0,7- 0,9%, con la ripresa (soprattutto) dei consumi, ma anche degli investimenti;
- alcuni settori “problematici” sembrano ora in una fase di ripresa, come ad esempio il settore bancario: da malato a convalescente per le sofferenze, ma in via di stabilizzazione dopo la sistemazione delle principali crisi bancarie;
- rimangono alcuni settori in crescita o resilienti: i settori export- oriented del Made in Italy (+6,6% tra gennaio e aprile), ma non solo; restano positivi l’agroalimentare, la meccanica, il farmaceutico, l’automotive e e le utilities.
Per quanto riguarda i “pilastri” della crescita e della trasformazione digitale del paese, questi hanno avuto finora un andamento con velocità disallineate alle previsioni di inizio anno:
- L’impatto di Industria 4.0 come volàno di investimenti e driver dell’innovazione è da poco iniziato, in particolare sui segmenti di spesa dell’ICT come software e servizi;
- Il Piano Banda Ultra Larga prosegue, ma rimangono elementi di instabilità e di rischio legati anche a come i diversi attori pubblici e privati si stanno muovendo, in particolare nelle zone bianche e grigie;
- La concreta attuazione dell’Agenda Digitale della PA, oltre al piano triennale presentato, non ha avuto una concreta accelerazione ed è ancora al palo la sua concreta attuazione: sarà fondamentale non solo l’accelerazione sui vari progetti strategici noti, ma avviare il disegno degli ecosistemi digitali delineati nel piano triennale stesso.
Se dunque gli accadimenti e i trend della prima parte del 2017 ci hanno portato a contenere il potenziale di crescita del mercato digitale italiano, questa non è l’unica “preoccupazione” che ho rispetto allo sviluppo dell’industria digitale, anzi. Quando infatti mi capita di leggere o scrivere dell’industria digitale e di come l’innovazione e le nuove tecnologie, che via via appaiono sul mercato, vengono presentati dai vari attori, il ruolo che le grandi potenze tecnologiche e digitali vecchie e nuove (le GAFAN, un acronimo che sta per Google, Apple, Facebook, Amazon e Netflix) hanno assunto nella trasformazione della vita quotidiana, delle imprese e dei governi, molte volte mi sono chiesto se il ruolo della “Tecnologia, con la T maiuscola” non abbia ormai offuscato o preso il posto di ogni altra forma di pensiero critico, che una volta era proprio del ruolo dell’Intellettuale Pubblico. A questo riguardo sto trovando alcuni spunti e stimoli interessanti nel libro “The Ideas Industry. How Pessimists, Partisans, and Plutocrats are Transforming the Marketplace of Ideas” di Daniel W. Drezner, professore di politica internazionale presso la Tufts University: il libro analizza come l’ascesa di una classe di super-ricchi, in particolare negli Stati Uniti, abbia determinato un profondo cambiamento nella categoria degli intellettuali, dando sempre più risalto a una nuova figura, il “Thought Leader” o “leader di pensiero”. Questi sono “evangelisti”, più che pensatori, e molti provengono proprio dal mondo digitale o dalle Business School. Questo nuovo tipo di intellettuale, se così lo vogliamo chiamare, più che approfondire le complessità e svolgere analisi critiche, è portatore di un profondo desiderio di cambiare il mondo e spesso considera la “Tecnologia, con la T maiuscola” come il nuovo e unico motore del cambiamento. Di esempi noti il libro ne fa diversi e come tratto comune mostrano un legame piuttosto stretto con il denaro: le loro idee, infatti, nascono per essere destinate ad un pubblico il più ampio possibile (TED viene portato come esempio di piattaforma che consente di entrare nel circolo degli speaker ben pagati), per essere “massimizzate”, attraverso una pletora di collaborazioni con riviste, libri e apparizioni televisive, convegni. Il pensiero e le idee diventano prodotti da vendere e promuovere e più sono semplici, ma provocatori, e meglio è, perché il marketing del pensiero diventa fondamentale. Tutto questo con buona pace del fatto che alcuni di questi personaggi sono stati scoperti a copiare contenuti altrui[2].
Questo modello di intellettuale, il “leader di pensiero”, fa dunque sponda con la categoria dei super- ricchi ed è molto allineato anche ai valori della Silicon Valley, perché spesso condivide e si presta a sostenere tesi congeniali ai suoi abitanti. Negli Stati Uniti, infatti, alcune think thank indipendenti e riconosciute hanno già dovuto fare i conti con questa “plutocrazia delle idee”, venendo a patti con essa in cambio di fondi, altrimenti vedendo assottigliarsi i finanziamenti ai propri studi. Qualcosa indubbiamente su cui riflettere.
[1] Qui inteso come la somma dei mercati dell’ICT tradizionale e delle New Digital Technologies (NDT); non vengono considerati i mercati dei contenuti digitali e dell’elettronica di consumo
[2] Fonte: http://politi.co/2uVWei0
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