N. Marzo 2021
a cura di Roberto Bonino,
Giornalista di Technopolis e ICTBusiness.it,
Indigo Communication
La recentissima indagine “The Digital Business Transformation Survey 2021”, realizzata da The Innovation Group (TIG), mostra come il cloud computing, soprattutto negli aspetti più legati alla migrazione di workload o componenti infrastrutturali, sia uno dei pilastri per l’innovazione delle aziende italiane, con percentuali di investimenti definiti per il 2020 o programmati per il 2021 superiori al 60%. I responsabili della tecnologia in azienda, in modo particolare, hanno indicato, nel 48% dei casi, la strategia multicloud come iniziativa prioritaria per l’anno in corso, alle spalle solo della sicurezza nelle sue varie sfaccettature (business continuity, compliance, risk management) e a pari merito con lo smart working, un tema asceso di importanza a seguito degli effetti della pandemia, che si stanno trascinando nel tempo.
Una trasformazione digitale acceleratasi notevolmente nel corso dell’ultimo anno e la modernizzazione dell’IT avviatasi da tempo sono fattori strategici di spinta per un’adozione più convinta di infrastrutture ibride, in un contesto nel quale la compresenza di risorse fisiche e virtuali, on-premise e cloud, va bilanciata con la riduzione nella complessità di gestione, i workload devono potersi muovere verso l’ambiente più utile alle esigenze del business, il personale IT deve diventare più trasversale e meno specializzato, gli obiettivi di governance e compliance vanno a braccetto con quelli di sicurezza e protezione dei dati.
Da queste basi, ha preso le mosse un’indagine qualitativa che Indigo Communication ha realizzato analizzando esperienze e riflessioni di oltre quindici aziende di dimensioni grandi e medio-grandi, appartenenti a diversi settori merceologici, in particolare al manufacturing, all’energy e ai servizi. Parliamo di realtà con una tradizione radicata, che per molto tempo hanno lavorato in modo pressoché esclusivo con il proprio data center interno, talvolta possono aver compiuto scelte di esternalizzazione in hosting e solo da qualche anno hanno avviato processi di migrazione verso il cloud. In tutti i casi, siamo di fronte a infrastrutture ibride, con un percorso evolutivo in corso, che però al momento solo in pochi casi sfocerà in una totale adesione alla logica full-cloud.
Ad accomunare le esperienze esaminate è un percorso iniziato più o meno ovunque con la trasposizione verso l’esterno di strumenti e applicazioni “commoditizzate”, dalla posta elettronica alla produttività individuale. Prevalgono scelte di natura SaaS (Software-as-a-Service), per ragioni di semplicità e di offerta di mercato, mentre il concetto di PaaS (Platform-as-a-Service) è stato adottato dalle realtà che hanno voluto eliminare la necessità di installare in casa hardware e software per sviluppare o lanciare nuove applicazioni.
Lo scenario appare comunque in rapida evoluzione. Il ritmo dei cambiamenti di mercato sta agendo da fattore di spinta primario verso una maggiore adozione del cloud, in diversi casi fungendo da motore per un’evoluzione più strategica della gestione infrastrutturale dell’IT, in qualche situazione minoritaria forzando resistenze più radicate. La migrazione è fin qui avvenuta con tempi in generale piuttosto lenti e meditati, nell’arco di diversi anni, mentre ora sembra esserci una certa accelerazione. Laddove l’IT è riuscita a ritagliarsi un ruolo riconosciuto di abilitatore a supporto del business, il passaggio appare più compiuto e metabolizzato, mentre in altri casi stanno giocando un peso rilevante fattori come gli adeguamenti normativi, il mutamento dello scenario competitivo o anche la repentina ascesa dello smart working e della collaboration legata agli effetti del Covid-19 sulle abitudini lavorative.
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