A cura di Camilla Bellini, Senior Analyst, The Innovation Group
Parlando dell’economia del Paese, del suo potenziale di crescita, delle aree in cui occorrerebbe intervenire e quelle da promuovere, oggi si citano spesso i settori del Made in Italy e le sue imprese. Giuseppe Berta, Professore di storia contemporanea presso l’Università Bocconi, nel suo recente libro “Che fine ha fatto il capitalismo italiano?” (ed. Il Mulino), oltre che di Made in Italy, affronta il tema delle medie imprese, dal momento che “i cardini e l’essenza del Made in Italy stanno lì”, in quelle imprese che producono per lo più oggetti di qualità, innovativi e di design, che trovano riscontro e mercato in tutto il mondo.
D’altra parte, in tanti oggi stanno cominciando a rivolgere l’attenzione a questa economia “mediana”, come elemento distintivo e possibile cavallo su cui puntare nella gara verso la futura crescita economica del Paese: quell’economia delle medie imprese del Made in Italy, spesso organizzate in distretti industriali e in filiere forti, che si sono distinte in autonomia anche negli anni della crisi. Imprese che, d’altra parte, come molte delle imprese italiane (al netto delle inevitabili eccezioni), mantengono un rapporto di diffidenza e “ignoranza” nei confronti del digitale, spesso non percepito come strategico o fondamentale per le proprie attività. Da ciò derivano tutte le statistiche nazionali ed internazionali sull’adozione, tutt’altro che diffusa, di alcune tecnologie ICT nel tessuto imprenditoriale italiano e sulla scarsa promozione delle logiche del digitale all’interno delle imprese, statistiche che, nel complesso, tendono a fornire una rappresentazione un po’ ingrigita del nostro Paese e delle sue imprese.
La domanda che dunque sorge spontanea è come fare incrociare il percorso dell’innovazione intrinseca nel DNA di queste imprese, che potrebbero essere oltretutto il traino dell’economia italiana nei prossimi anni, con la strada dell’innovazione digitale, che oggi detta le dinamiche e rimodella i confini di mercati e imprese, per lo più al di là dei confini italiani. A questo riguardo, è necessario dunque cominciare ad interrogarsi su quali siano le tecnologie digitali che meglio si adattino a queste imprese e ai loro bisogni, così come quali siano quelle in grado di meglio valorizzare e potenziare il loro percorso innovativo.
Forse è altresì necessario introdurre una distinzione proprio tra le tecnologie digitali oggi disponibili, che potrebbero essere utilizzate dalle imprese in questione: da un lato, le tecnologie più organizzative, gestionali, anche a supporto dei processi decisionali, ovvero quegli strumenti che consentono di ottimizzare il flusso di informazioni interno all’azienda; dall’altro, invece, tutto ciò che riguarda l’Internet of Things, che non si pone tanto come strumento di gestione interna all’azienda, ma come input produttivo, in grado di inserire la tecnologia digitale all’interno dei prodotti e di svilupparne il potenziale innovativo.
A fronte di questa distinzione “tecnologica” e di quelle caratteristiche di quelle medie imprese italiane a cui si guarda sempre con più interesse, ovvero quelle che producono oggetti di qualità, di design e sempre pronte ad innovarsi sulla base dei bisogni dei clienti, pare evidente che, al di là di tante tecnologie “gestionali”, è più che altro l’IoT la vera scommessa digitale per le imprese italiane.
Questa assunzione, d’altra parte, porta alla luce un’altra serie di riflessioni, legate alla capacità delle medie imprese italiane di muoversi rapidamente, nel breve- medio periodo, verso le logiche dell’IoT, sviluppando progetti concreti, nell’ottica di innovare i propri prodotti. A supportare queste riflessioni intervengono i risultati di una survey, condotta nel 2016 da The Innovation Group sul tema dell’Internet of Things, che raccoglie le opinioni di 295 rappresentati di imprese che operano in Italia in relazione all’adozione, al potenziale e alle criticità legate allo sviluppo di progetti basati su queste tecnologie. In particolare, infatti, considerando solo le medie imprese(che costituiscono circa il 46% del campione), i risultati mettono in evidenza un quadro nel complesso vigile, ma passivo, nei confronti dell’IoT: quello che emerge è una complessiva difficoltà di comprensione della valenza strategica e del potenziale di questa tecnologia per la propria impresa, nonché, in generale, della sua utilità rispetto al core business e all’insieme delle attività dell’impresa; emerge un sentimento di diffidenza e di scarsa comprensione dell’IoT che porta, nella maggioranza dei casi, le medie imprese a non sviluppare progetti in questo ambito.
Se quindi l’IoT può essere la tecnologia digitale che, più di altre, può supportare il rilancio e sviluppare il potenziale competitivo delle medie imprese italiane, è indubbio che lo scenario che emerge dall’analisi faccia sorgere alcune preoccupazioni in merito al ruolo del digitale in tale rilancio. Certo non bisogna dimenticare che alcune iniziative a supporto della diffusione delle logiche IoT sono ora in corso, come ad esempio il Piano Industria 4.0, ma ad oggi non è ancora possibile valutarne in concreto gli effetti in termini di impatti complessivi sulle medie imprese italiane.
Quello che forse occorre, dunque, è accendere i “riflettori” dell’IoT non tanto sul complesso generale dei settori e degli ambiti applicativi, quanto cominciare a comprendere con maggiore precisione il ruolo effettivo di questo paradigma tecnologico per il Made in Italy e per le medie aziende, in modo da riuscire meglio ad indirizzare queste ultime verso lo sviluppo di nuovi prodotti connessi e di nuove logiche di mercato, in chiave digitale.
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