N. Febbraio 2018
a cura di Ezio Viola
Managing Director, The Innovation Group
È ormai opinione comune che le aree più innovative dell’economia digitale dal Cloud Computing all’IoT, dai big data all’AI, dall’Augmented Reality alla robotica avanzata e al 3D printing abbiano un carburante comune che sono i dati e la capacità di elaborarli e di analizzarli.
La Data Innovation, intesa come l’utilizzo di strumenti e tecnologie avanzate, metodi e processi per sfruttare il potenziale dei dati per produrne benefici economici e sociali, è stata valutata circa 300 Miliardi di Euro in Europa pari al 2% del PIL e si prevede un valore più del doppio entro il 2020 e un rapporto tra data economy e Pil di 0,28 per l’Italia, sempre fanalino di coda tra i principali paesi europei. (fonte Center for Data Innovation: The State of data Innovation in EU).
Il “dato”, come ingrediente essenziale per creare valore, fa pensare concretamente che siamo di fronte ad un nuovo fattore produttivo per lo sviluppo economico e della società. La generazione dei nuovi ecosistemi digitali B2C e B2B e B2B2C trasformano i settori dell’economia e ne creano di nuovi o, meglio, ne cambiano la struttura competitiva.
Il valore generato dai dati ha completamente trasformato il rapporto tra consumatore e produttore e, in molti casi, lo scambio è tra i propri dati e i beni o servizi offerti in modo gratuito o a basso costo dalle aziende digitali.
Questi modelli di business sono alla base della crescita dei giganti dell’economia digitale.
Gli stracitati Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft, Alibaba, Tencent si sono affermati proprio grazie alla disponibilità di enormi quantità di dati e alla loro capacità di gestirli ed analizzarli.
La maggior parte di queste aziende ha un modello comune: sono aziende basate su piattaforme digitali attraverso cui domanda e offerta interagiscono e in cui vengono esaltati gli effetti di rete, le esternalità positive dirette e indirette tra i diversi soggetti, con un effetto di concentrazione di potere all’aumentare dei volumi di utilizzo e della crescita di consumatori/ utenti.
L’utilizzo ormai sistematico di tecnologie di intelligenza artificiale ai big data attraverso algoritmi sempre più sofisticati che aumentano sensibilmente la capacità di analisi, sta ponendo preoccupazioni sui possibili impatti dati dalla scomparsa di certi lavori e professioni, sulla crescita dello strapotere dei giganti del web e su come il sistema competitivo possa evolvere tra i diversi paesi.
Molte di queste aziende hanno posto l’AI al centro delle loro strategie di sviluppo dei loro servizi che vanno dal cloud alla logistica, entrando poi in nuovi mercati come le auto autonome e la realtà aumentata. Il timore di un ulteriore crescita di potere e di influenza attraverso l’AI, dipenderà però da diversi fattori. La corsa infatti è già iniziata attraverso l’acquisizione di aziende, per accaparrarsi non solo le tecnologie, ma le persone e le competenze presenti sul mercato, data la disponibilità di un enorme quantitativo di dati e la capacità di gestirli e analizzarli (anche se le applicazioni sono ancora molto focalizzate e molto selettive).
La capacità delle aziende di consolidare la loro supremazia non è ancora certa per alcune ragioni: la prima dipende dallo sviluppo dell’AI e dalla disponibilità dei dati con i quali vengono “addestrate” le diverse applicazioni o se incominceranno ad essere utilizzate anche tecniche di simulazione in cui le macchine insegnano a sé stesse l’utilizzo di ambienti virtuali attraverso dati sintetici.
Inoltre se è vero che queste aziende hanno il predominio sui dati raccolti dai consumatori, vi è il problema dell’accesso e del possesso dei dati aziendali, ancora difficile da ottenere.
Il loro valore è sempre più importante e i dati sulle auto autonome saranno un buon test in tal senso.
L’ultimo aspetto è dato da quanto la conoscenza accumulata sarà aperta e condivisa. Oggi la capacità di attirare competenze di AI da parte delle università è stimolata dalla volontà di pubblicare i risultati della ricerca, siano essi algoritmi e/o dati, ma questo oggi non è un approccio molto incentivato dalle aziende.
Questo effetto collaterale di strapotere sta mettendo preoccupazione all’opinione pubblica e alcuni osservatori, (come quello di Evgenij Morozov) temono un impatto negativo che può accrescere disuguaglianze, alimentare il populismo e quindi mettere in pericolo il destino della democrazia in Europa.
Alcune di queste aziende, sono e saranno sempre di più soggetto di attenzione e di osservazione da parte delle autorità antitrust e della Commissione Europea, tanto che la loro immagine e reputazione nei confronti di un numero crescente di utenti e consumatori incomincia ad essere vista negativamente.
Non dobbiamo però già evocare gli spettri di un grande fratello che minaccia privacy e democrazia di noi tutti. Ad esempio il GDPR può creare le condizioni per un uso consapevole dei dati tra gli stati europei ed essere uno strumento di competizione economica. Infatti già si vedono i preparativi dei giganti del web sull’impatto che questa normativa può avere: Google ha già iniziato a chiedere alle persone quali dati si vogliono condividere tra i diversi servizi, Amazon ha migliorato le tecniche di data encryption nei suoi servizi di cloud storage e ha semplificato il contratto con i clienti in cui le informazioni sono processate, mentre Facebook ha da poco lanciato un nuovo centro globale per la privacy che permette agli utenti di organizzare chi vede i propri post e quale tipo di pubblicità ricevere. La battaglia è appena iniziata ma è troppo presto per prevedere il risultato: sarà fondamentale chi e come potrà garantire accessibilità e apertura dei dati.
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