Secondo l’ultima edizione dell’indice DESI, l’Italia ricopre una posizione primaria nell’ambito della “5G readiness”, essendo più avanti di altri Paesi nelle sperimentazioni della rete di nuova generazione. La sfida adesso è comprendere le strategie adeguate per assicurare un corretto sviluppo ed implementazione della rete, anche alla luce di un difficile contesto geopolitico.
Il ruolo strategico delle infrastrutture nel Paese è emerso in maniera ancora più evidente in seguito al lockdown. Infatti, fenomeni come lo smart working e l’e-learning e il maggior tempo delle persone trascorso in casa (che ha causato l’aumento della fruizione di determinati contenuti digitali – come, ad esempio, Netflix) hanno fatto registrare incrementi elevatissimi del traffico della rete, soprattutto fissa su cui sono stati rilevati tassi di crescita tra i più alti in Europa (si consideri anche che l’Italia è uno dei Paesi con il più alto tasso di mobile only, pari al 40%).
Il trend ha indotto i diversi operatori telefonici a dedicare diversi investimenti volti al potenziamento della rete, nell’intento di garantirne la buona tenuta, obiettivo, tuttavia, raggiunto nelle cosiddette “aree nere” (ovvero le città nel Paese in cui la rete era già performante) ma non nelle “bianche”, in cui addirittura è stato rilevato un peggioramento della situazione pre -crisi. La difficoltà di intervenire sulle aree bianche riporta, dunque, alla luce la questione del digital divide, problematica di cui l’Italia soffre da tempo e in relazione a cui, in seguito all’emergenza appena vissuta, è emersa ancora di più la necessità di intervenire per limitarne gli impatti e garantire l’erogazione universale di un servizio essenziale.
La forte domanda di connettività ad elevata velocità rilevata in questi mesi rende, inoltre, inevitabile affrontare la tematica del 5G, su cui peraltro si è ampiamente dibattuto negli ultimi giorni in seguito alla decisione del Regno Unito di bandire tutti gli apparati 5G di Huawei entro la fine del 2020 e, quindi, di escludere l’azienda dalla realizzazione delle reti di quinta generazione. Nel motivare la decisione, il primo ministro britannico Boris Johnson ha ribadito come il Regno Unito abbia sempre considerato «Huawei un fornitore ad alto rischio», sottolineando che il National Cyber Security Centre ha sin da subito specificato che «avrebbe riesaminato la sua indicazione (favorevole in un primo tempo al mantenimento di una parziale collaborazione con la holding) laddove necessario», un’eventualità poi divenuta concreta in seguito a «cambiamenti significativi da tenere in considerazione per la sicurezza nazionale delle reti britanniche». Tali motivazioni sono state definite da Pechino «deludenti», mentre Huawei, tramite un suo portavoce, ha ribadito la sicurezza dei propri prodotti, definendo la questione principalmente di natura «politica».
L’attenzione adesso è rivolta al resto dell’Europa e alle decisioni che verranno assunte dagli altri principali Paesi europei: senz’altro ad influire sulla scelta del governo londinese è stato il pressing del governo statunitense che potrebbe esercitare il proprio potere anche sugli altri Paesi, un rischio che Huawei ha ben chiaro. Del resto, già Polonia, Repubblica Ceca, Grecia e Belgio hanno annunciato che il ruolo di Huawei nello sviluppo di reti di ultima generazione sarà limitato se non addirittura assente, similmente alle compagnie di telecomunicazioni Telefonica (Spagna) ed Orange (Francia) che si affideranno alle tecnologie di Nokia ed Ericsson; un fenomeno in relazione a cui il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo ha parlato di “clean telcos”.
La via ad un 5G europeo sarebbe la strada auspicata dall’Europa, ma a spaventare sono i tempi e gli eccessivi costi che verrebbero sostenuti (non si dimentichi, infatti, che la fornitura delle apparecchiature cinesi era preferita anche in virtù dei suoi costi sostenibili).
Ad ogni modo lo scenario che si delinea è complesso e del tutto incerto ed in questo contesto l’Italia assume una posizione delicata. Infatti, nella stessa nota in cui commentava la decisione del Regno Unito, il colosso di Shenzhen ha auspicato che l’Italia non segua il governo britannico, «proseguendo il suo processo di digitalizzazione sulla base di criteri di sicurezza obiettivi, indipendenti e trasparenti per tutti i fornitori, preservando la diversità e la concorrenza nel mercato».
Il governo italiano, che già lo scorso anno aveva esteso il Golden Power al 5G, per adesso non ha ancora deciso di escludere ufficialmente Huawei dalla propria rete di fornitori ma lo scenario è ancora del tutto incerto.
Ad ogni modo lo sviluppo della rete 5G è assolutamente cruciale, una consapevolezza che il Paese ha già dimostrato di aver assunto: secondo l’ultima edizione dell’indice DESI, infatti, l’Italia, essendo già in una fase avanzata nell’ambito delle sperimentazioni, si è collocata tra i primi Paesi in Europa con riferimento all’indicatore “5G readiness” che misura, appunto, il livello di preparazione all’introduzione del 5G.
La sfida, adesso, sarà comprende quali strategie mettere in campo per assicurare il migliore sviluppo del nuovo standard tecnologico e abilitare i cambiamenti e processi innovativi di cui il Paese necessita. Tali tematiche saranno affrontate il prossimo 20 luglio in occasione della web conference organizzata da The Innovation Group “L’ecosistema 5g, il cloud e le infrastrutture tlc: dall’emergenza al sostegno della ripartenza” che vedrà, tra gli altri, l’intervento del Sottosegretario allo Sviluppo Economico, Ministero dello Sviluppo Economico Mirella Liuzzi, grazie a cui potremo avere una visione d’insieme sul posizionamento internazionale dell’Italia in quest’ambito e sulle iniziative che finora sono state promosse.