In un recente articolo su Le Scienze, Carlo Rovelli ha sintetizzato in modo molto chiaro l’affascinante connessione tra scienziati e filosofi, che caratterizza la storia della cultura umana ma che emerge con più evidenza nei momenti di discontinuità del progresso scientifico e sociale. Il fisico e divulgatore si riferisce, per essere onesti, dell’entanglement quantistico, ma il principio può essere traslato efficacemente al fenomeno dell’intelligenza artificiale: “Quando concetti fondamentali come lo spazio e il tempo devono essere ripensati, servono persone che possano apportare un elevato livello di chiarezza analitica e concettuale, cioè filosofica”.
Questo sta succedendo nel dibattito attuale e nel tentativo, non facile, di comprendere e indirizzare lo sviluppo di una tecnologia, l’AI, che tende a sfuggire al controllo dell’uomo (pensiamo ad esempio alle reti neurali e agli algoritmi di machine learning) sia nei processi sia nella previsione del suo impatto.
Ecco perché nel recente dibattito, scaturito dall’irruzione dell’AI generativa (tutti sappiamo che l’Intelligenza Artificiale è presente da anni nei programmi delle aziende più tecnologicamente evolute) sono coinvolte figure di spicco del pensiero anche filosofico, come Luciano Floridi e Cosimo Accoto.
Quest’ultimo, in particolare, insieme a Piero Poccianti, ex Presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA), ha dato vita a un vivace dibattito sui nuovi linguaggi e sulle nuove aspettative portate dall’AI nel tessuto sociale.
Difficile fare una sintesi (trovate la registrazione dell’evento, insieme alle altre sessioni, sul sito della Milano Digital Week), ma due spunti di riflessione ho trovato particolarmente stimolanti. Il primo è l’osservazione di Poccianti sull’importanza di non chiedere all’AI ciò che potrebbe generare effetti incontrollabili: sull’onda dell’entusiasmo, associato a una scarsa conoscenza della materia, potremmo rischiare di fare la fine di Re Mida. Altrettanto interessante è l’invito di Accoto a prepararci a considerare, nel disegno delle nuove città e organizzazioni, la presenza di più intelligenze, non solo quella umana. Accoto non si riferisce soltanto all’intelligenza delle macchine ma, allargando ancora la visione, a quella della natura (animali e, perché no, piante). Insomma, l’AI vista non solo come opportunità di progresso tecnologico ma anche e soprattutto come spinta verso un nuovo stadio di maturità e consapevolezza della nostra civiltà.
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