LA SETTIMANA DIGITALE – IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA
La settimana digitale – Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il Covid-19 spinge le imprese ad aumentare la propria presenza online e a rafforzare i propri canali e-commerce: anche le banche si attrezzano per permettere transazioni sicure. Pubblicata la bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: a fine periodo di investimento (2026) atteso un aumento del PIL del 2,3% rispetto allo scenario di base.

[PIL ITALIA E MERCATO DIGITALE]

Nelle sue proiezioni macroeconomiche, la Banca d’Italia prefigura, dopo una contrazione del PIL in Italia del 9% quest’anno, una ripresa nel 2021 pari al 3,5%.

Rispetto allo scenario di base pubblicato nel Bollettino economico di luglio, la revisione al rialzo nel 2020 riflette l’andamento particolarmente favorevole registrato nel terzo trimestre, mentre nel successivo biennio la ripresa è spostata in avanti di alcuni mesi. Il dato del 2021 risente dell’effetto trascinamento della flessione del prodotto nella parte finale del 2020; la crescita è più rapida dal secondo trimestre in poi e significativamente più forte nel 2022 (+3,8%). 

L’effetto Covid-19 spinge molte imprese del commercio su Internet. Sono state più di 3.600 le aziende di questo settore che hanno aperto un canale di vendita online tra aprile e ottobre 2020 per operare anche in questo momento di difficoltà, facendo registrare in sette mesi una crescita del +15,5% (erano complessivamente 23.386 unità a marzo 2020 contro 27.007 ad ottobre 2020). L’emergenza pandemica ha costretto tanti imprenditori ad accelerare il loro percorso di digitalizzazione per reagire alle avversità e cercare di restare produttivi anche da remoto. Nel complesso quasi un’impresa italiana su tre si è equipaggiata tecnologicamente per le vendite e i pagamenti sul web. Dopo la prima fase di lockdown, da maggio a settembre 2020, sono aumentate di 4 punti percentuali le PMI che si sono dotate di strumenti per l’e-commerce (il 27% contro il 23% dello stesso periodo del 2019) e di +5 punti percentuali quelle che si sono equipaggiate per l’e-payment (il 36% contro il 31%).

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Relazioni empatiche, personalizzate, coinvolgenti ma necessariamente digitali: così i consumatori auspicano il rapporto con le aziende. Il 58% delle interazioni tra utenti e brand quest’anno è avvenuto online rispetto al 41% del 2019, ma per l’89% degli intervistati occorre accelerare la trasformazione digitale. Oggi in Italia quasi 7 clienti su 10 sostengono che l’emergenza abbia aumentato le aspettative sulle relazioni virtuali, ma più della metà lamenta la mancanza di condivisione di informazioni online nella vendita e post-vendita.

È quanto emerge dalla quarta edizione di “State of the Connected Customer”, indagine di Salesforce condotta a livello globale intervistando 15mila consumatori e responsabili d’acquisto aziendali di 27 Paesi secondo cui il 54% dei consumatori intervistati desidera nuovi prodotti e servizi, il 68% nuovi modi per raggiungere quelli già esistenti. Infine, l’Intelligenza Artificiale viene vista come un’opportunità nel 66% dei millennial, due punti percentuali in più rispetto alla generazione Z.

Moody’s ha deciso di rivedere la propria posizione su TIM abbassando la classificazione da Ba1 a Ba2.

«Il downgrade riflette la nostra aspettativa che Tim rimanga influenzata negativamente da un ambiente operativo molto competitivo in Italia che limiterà ulteriormente la capacità dell’azienda di rafforzare la generazione di liquidità e ridurre la leva finanziaria» spiega Carlos Winzer, Moody’s Senior Vice President e lead analyst. Moody’s . Nell’evidenziare «gli sforzi e il successo del management nell’esecuzione dei piani» e nel sottolineare che la strategia, elaborata due anni fa «comprendeva un piano per migliorare la qualità delle reti fisse e mobili, migliorare ulteriormente il flusso di cassa rafforzando la riduzione dei costi, accelerando la soddisfazione del cliente e servizi convergenti aggiuntivi per supportare la futura crescita dei ricavi». Se da un lato l’Agenzia riconosce «il miglioramento recentemente riportato sul mercato interno» dall’altro «l‘ambiente operativo rimarrà difficile, con circa l’1,5% diminuzione dei ricavi nel 2021 e l’aspettativa di raggiungere una stabilità nelle entrate solo entro il 2022».

A settembre scorso in un report di Moody’s sottolineava che la creazione di una società unica delle reti, di cui l’accordo su FiberCop rappresenta il primo passo, potrebbe alleviare le pressioni concorrenziali nel mercato wholesale e rappresentare un aspetto positivo per Telecom Italia. «Vediamo – spiegano gli analisti – questi due annunci come un primo passo nella roadmap verso l’obiettivo più ampio di fondere FiberCop con Open Fiber di Enel al fine di creare una società unica di infrastrutture a fibra (AccessCo) a livello nazionale controllata da TI». «La creazione di questa entità potrebbe alleviare le pressioni concorrenziali nel mercato wholesale, un aspetto positivo per TI».

[DIGITAL ITALY]

Ammontano a 196 miliardi le risorse che, secondo la bozza del Recovery plan giunta sul tavolo del Consiglio dei ministri, l’esecutivo metterà per le sei macro-aree del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Alla digitalizzazione e innovazione saranno destinati 48,7 miliardi, all’area “rivoluzione verde e transizione ecologica” andranno 74,3 miliardi, al settore infrastrutture per una mobilità sostenibile 27,7 miliardi. Il capitolo “istruzione e ricerca” può contare su 19,2 miliardi, quello sulla Parità di genere su 17,1 miliardi, secondo la bozza. L’area sanità, infine, conterà su 9 miliardi.

Fonte: Il Sole 24 Ore, 2020

«Grazie agli effetti espansivi del Piano, a fine periodo di investimento (2026) il PIL risulterebbe più alto di 2,3 punti percentuali rispetto allo scenario di base». È quanto viene riportato nella bozza del Piano. La spinta al PIL sarebbe dello 0,3% nel 2021, in crescita negli anni successivi: 0,5% nel 2022, 1,3% nel 2023, 1,7% nel 2024, 2% nel 2025. «È evidente – viene spiegato – quanto sia cruciale per le prospettive di espansione dell’economia e per la sostenibilità del debito pubblico selezionare progetti di investimenti pubblici ad alto impatto sulla crescita e accrescere l’efficienza delle Amministrazioni pubbliche preposte ad attuare tali progetti».

[BANCHE E FINTECH]

Le banche operanti in Italia accelerano su sicurezza e innovazione, con strategie e programmi di investimento ancora più a misura del cliente. E’ quanto sottolinea l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) con riferimento all’ultimo studio di ABI Lab sulla sicurezza dal quale emerge che la maggior parte delle realtà analizzate ha indicato per il 2020 un aumento degli investimenti per la protezione dei canali remoti utilizzati dalla clientela: i volumi di spesa previsti per la sicurezza IT rispetto al totale del budget IT passano dal 7% riscontrato durante il 2019 al 12% per il 2020. Il budget di sicurezza IT si divide tra interventi per incrementare i livelli di sicurezza dei servizi (31%), interventi per l’evoluzione del servizio offerto alla clientela, anche in ottica di business (30%) e interventi per l’adeguamento alle normative di sicurezza (39%).

La forte attenzione del mondo bancario per Internet e Mobile Banking trova conferma anche nelle previsioni di spesa formulate per il 2020: l’87% delle banche rispondenti ha segnalato un aumento o un forte aumento degli investimenti sul Mobile. Anche l’Internet Banking vede il 65% delle banche aumentare lo sforzo economico. Le aree di maggiore attenzione sui canali digitali sono la cybersecurity, l’efficientamento dei sistemi e la specializzazione del personale.

Inoltre, la collaborazione con le Fintech per lo sviluppo dell’offerta sui canali digitali è già una realtà per oltre la metà delle banche rispondenti, a tendere, lo sarà per circa 3/4 delle banche. I benefici riscontrati e attesi dall’interazione con le Fintech sono la maggiore velocità di sviluppo della trasformazione digitale e la possibilità di acquisire competenze digitali in maniera semplice e immediata.

Saranno stati i prezzi al ribasso che hanno stimolato lo shopping borsistico o le preoccupazioni per il reddito futuro, fatto sta che la pandemia da coronavirus ha indotto i piccoli risparmiatori italiani a puntare sui mercati azionari. E’ l’indicazione che emerge dal Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane pubblicato dalla Consob che fa il punto sulle conseguenze della pandemia sui risparmi e sugli investimenti degli italiani e prende in esame l’attività degli investitori retail italiani sui titoli azionari domestici.

Dall’analisi emerge, inoltre, che le famiglie italiane si tengono ancora lontane dagli investimenti in cripto-valute. Con riferimento a specifici ambiti dell’innovazione finanziaria concernenti le cripto-valute, il trading online e fenomeni quali il robo advice e il crowdfunding emerge un livello di attività molto contenuto: solo il 5% del campione, infatti, riferisce di avere effettuato trading online e le percentuali risultano inferiori negli altri casi. La quota di individui che dichiarano di avere una conoscenza, seppur basilare, di servizi finanziari digitalizzati è più alta tra gli investitori, dove si passa dal 16% per robo advice e crowdfunding al 40% per il trading online e per le valute virtuali. Tra i fattori che potrebbero stimolare l’interesse emergono la possibilità di investire piccole somme e, nel caso specifico delle valute virtuali, la possibilità di guadagnare velocemente. Tra i deterrenti, invece, si citano più di frequente il timore di subire truffe e di non avere sufficienti competenze (anche digitali).

Fonte: Consob, 2020

Ancora poco noti, infine, gli investimenti in ESG (Environmental, Social and Governance), conosciuti da soltanto il 30% degli italiani. Gli investimenti sostenibili e socialmente responsabili «risultano ancora poco noti tra i risparmiatori italiani, sebbene sia in crescita la quota di coloro che ne hanno almeno sentito parlare». Nel 2020 meno del 30% degli investitori dichiara di conoscere questo tipo di investimenti sebbene «tale quota risulti in crescita rispetto alle rilevazioni precedenti». Tale percentuale, si legge nel rapporto, sale «al 70% circa se si considerano coloro che dichiarano di averne sentito parlare, sia pure approssimativamente. L’interesse degli intervistati in questa tipologia di investimento risulta elevato tra coloro che affermano di conoscere la materia, specie tra gli investitori», afferma il rapporto.