Luci ed ombre dal nuovo Report Capgemini su IT e sostenibilità, presentati i nuovi dati Auditel sul mercato italiano della tv. Diverse ricerche su smart working ed e-commerce confermano che i prossimi anni saranno caratterizzati da hybrid working e propensione agli acquisti online. Al via l’hub nazionale italiano Gaia-X. Xiaomi è fuori dalla lista nera voluta dall’Amministrazione Trump.
***Trend, Numeri e Mercato***
Anche quando la pandemia di covid-19 sarà finalmente un ricordo, lo smart working non scomparirà. Il lavoro ibrido, in cui si mescolano giornate in presenza in ufficio (o su altro luogo di lavoro) e giornate passate davanti al Pc di casa, sarà una realtà permanente per il 70% delle aziende europee e statunitensi, secondo le previsioni di Forrester Research. Previsioni che confermano l’impressione già emersa da indagini di mercato e sponsorizzate da vendor (ultima, quella di Citrix incentrata su Millennials e Generazione Z) e che derivano in questo caso da interviste a manager C-level a dipendenti di aziende ubicate in Europa e Stati Uniti.
Il sondaggio ha indagato due temi in particolare, cioè quelli dei vaccini e della privacy dei dati sanitari. Sui vaccini c’è un ottimismo solo parziale: il 47% dei lavoratori statunitensi e il 54% di quelli europei crede che non possano bloccare completamente la diffusione del coronavirus. Solo il 34% professionisti europei e il 39% degli statunitensi si aspetta che la propria azienda si prenda carico dei programmi vaccinali dei propri dipendenti.
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Lo smart working resterà un’opzione in molte aziende anche a fine pandemia, mescolandosi al lavoro in presenza per creare uno scenario “ibrido”. O almeno questa è l’impressione che si coglie leggendo le molte ricerche e sondaggi sul tema, così come le interviste a manager di aziende di ogni dimensione e settore. Un nuovo report di Citrix Systems, titolato “The Born Digital Effect”, svela che solo una piccola parte dei nativi digitali desidera tornare in ufficio o in altro luogo di lavoro a tempo pieno, preferendo la libertà e la flessibilità dello smart working. Nel dettaglio, dall’analisi è emerso che sui duemila dipendenti intervistati (750 appartenenti alla Gen-Z e 1.250 Millennials), solo il 10% vorrebbe tornare a tempo pieno al lavoro in presenza, tutti gli altri preferiscono la modalità “ibrida”, variamente concepita. Più della metà, potendo scegliere, lavorerebbe per la maggior parte del tempo da casa, mentre il 18% darebbe più spazio alle ore e giornate trascorse sul luogo di lavoro ma senza rinunciare a una porzione di smart working.
Fare acquisti online, a più di un anno dal primo lockdown del 2020, è diventata un’abitudine consolidata per molti italiani, anche per chi prima di allora non aveva mai sperimentato l’e-commerce. Attualmente, nel nostro Paese l’85% delle persone che fanno compere sul Web effettua, in media, almeno un acquisto online al mese, mentre l’anno scorso la percentuale si fermava all’80%. Fra i clienti abituali dell’e-commerce, inoltre, il 23,9% acquista almeno una volta a settimana. Così risulta dalle statistiche di Idealo, che ogni anno raccoglie e analizza dati sui prodotti più ricercati sui suoi sei portali nazionali di comparazione prezzi (per Italia, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Austria), per un totale di circa 72 milioni di visite Web mensili.
Il report di quest’anno si basa su dati SimilarWeb per il periodo compreso tra settembre 2020 e febbraio 2021 e su due sondaggi commissionati da Idealo a Kantar, uno svolto nel giugno del 2020 e uno a febbraio di quest’anno. Le indagini demografiche hanno coinvolto ogni volta oltre 1500 utenti italiani, un campione rappresentativo della popolazione attiva sul Web e stratificato in base a età, genere, livello di istruzione e regione di residenza .Il consumatore digitale italiano nel 2020 è uomo nel 64,1% dei casi.
Che cosa comprano gli italiani, e con quali abitudini? Il Web non sempre è il canale di acquisto, ma spesso serve come fonte di informazioni su prezzi e qualità dei prodotti: l’86,7% degli intervistati dei due sondaggi ha fatto una o più ricerche online sui prodotti prima di comprarli in un negozio fisico. Ma il discorso vale anche al contrario, dato che il 72,6% di coloro che hanno partecipato al sondaggio ha visitato o visita solitamente un negozio tradizionale per esaminare i prodotti prima di acquistarli online. Interessante, e forse frutto della pandemia, è un dato: tra gli over-65, l’anno scorso l’attività di comparazione prezzi è cresciuta del 68,8% in più rispetto al 2019.
Oltre la metà delle aziende oggi ha sviluppato un approccio operativo teso alla sostenibilità, ma meno di una su cinque è dotata di una strategia IT sostenibile ad ampio spettro. Mentre sono proprio le organizzazioni che hanno studiato una roadmap completa per accelerare l’implementazione di un IT sostenibile ad ottenere una maggiore customer satisfaction (56%), un risparmio in termini di imposte (44%), ma soprattutto… i punteggi migliori in ambito Esg (61%). È quanto emerge dal report Sustainable IT: Why it’s Time for a Green Revolution for your Organization’s IT del Capgemini Research Institute.
Sono state intervistate 1.000 organizzazioni con un fatturato annuo di oltre 1 miliardo di dollari per comprendere le loro prospettive in tema di IT sostenibile ed hanno partecipato aziende appartenenti ai settori assicurativo, retail, dei prodotti di consumo, banking, energy e utility, life sciences e sanità, automotive, telco, manifatturiero, dei servizi tecnologici, e il settore pubblico.
L’analisi mostra, inoltre, come solo il 22% del campione stima di ridurre di oltre un quarto la propria impronta di carbonio attraverso l’IT sostenibile nei prossimi tre anni. Da una parte quindi la sostenibilità è effettivamente nell’agenda dei “to do” aziendali, dall’altra non è ancora del tutto chiaro che anche l’IT aziendale debba essere sostenibile per garantire all’azienda di esserlo.
Una grande corsa mondiale al “nuovo oro televisivo”, con processi di concentrazione e alleanze trasversali senza precedenti. Uno squilibrio tra globale e locale scatenato dall’irrompere sul mercato dei giganti OTT. E, contestualmente, favorito dalle nuove tecnologie di accesso e dalla crescita esponenziale degli schermi, un grande cambiamento sul fronte dei consumi TV: nuovi fruitori (Millennials e Generazione Z), nuovi comportamenti di fruizione, nuove abitudini di visione. Con una forte crescita della cosiddetta “TV fuori dal televisore”, ovvero della visione di contenuti televisivi, live e on demand, su smartphone, tablet e personal computer. È questa la sintesi della Relazione al Parlamento 2021 che il Presidente di Auditel, Andrea Imperiali, ha tenuto al Senato illustrando l’andamento del mercato televisivo.
Imperiali ha detto che “il 2020 sarà ricordato come l’anno in cui la popolazione italiana, segregata dal Covid-19, ha giocoforza compiuto un gigantesco balzo sul fronte della digitalizzazione. Si è dotata, infatti, di nuovi collegamenti internet e di nuovi device; ha imparato velocemente a governarli; ha avviato una fruizione più consapevole dei contenuti multimediali”. Ma il Presidente di Auditel non ha mancato di sottolineare “una inquietante zona d’ombra: 3,5 milioni di famiglie italiane ancora non dispongono di una connessione alla rete; famiglie che rischiano, nel nuovo contesto, di essere totalmente emarginate dalle dinamiche sociali in atto”. Imperiali ha poi messo l’accento sulla crescente concentrazione del mercato TV dovuta “all’irrompere di soggetti con dimensioni di scala globali e che sfuggono a ogni forma di regolamentazione e controllo” con “un aumento della pressione competitiva sugli operatori tradizionali”.
La combinazione di questi fattori sta radicalmente ridisegnando l’industria televisiva, ma, avverte il Presidente di Auditel, “non è un level playing field”. Non stiamo assistendo, cioè, a una normale e normata competizione. Semmai, vediamo consolidarsi, giorno dopo giorno, condizioni di concorrenza asimmetriche e sempre meno eque ed uniformi. Accresciute da uno squilibrio crescente tra la dimensione globale e quella locale degli operatori europei. “Non è esagerato dire – ha aggiunto – che, se non interverranno correttivi quanto mai urgenti, la cosiddetta democrazia digitale rischia di essere inghiottita da una oligarchia dispotica”.
***Cloud Computing, Infrastrutture e data center***
E’ stato annunciato il lancio dell’hub italiano di Gaia-X, l’iniziativa europea per la creazione di un sistema di cloud basato su criteri e standard comuni di gestione dei dati e dei servizi, che ha come finalità lo sviluppo della “data economy”. Il progetto Gaia-X, lanciato circa un anno fa da Francia e Germania per poi coinvolgere altri paesi europei, punta a favorire l’interoperabilità e la portabilità nell’ambito del cloud, che sono oggi l’ostacolo principale alla diffusione dell’uso del cloud in Europa, come spiegato dal presidente di Gaia-X, Hubert Tardieu.
I paesi europei aderenti all’iniziativa costituiscono un hub nazionale, che funge da punto di contatto per le organizzazioni e le imprese interessate a partecipare al progetto. “E’ importante che l’Italia entri ufficialmente nel progetto perché è un momento di collaborazione tra imprese e pubblica amministrazione ma anche perché si tratta di un progetto europeo di autonomia strategica digitale”, ha spiegato il ministro all’Innovazione Vittorio Colao.
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Il Polo Strategico Nazionale, ovvero il centro che avrà a disposizione un certo numero di data center nazionali su cui convogliare tutte le infrastrutture che oggi gestiscono i servizi strategici delle PA, “speriamo di poterlo lanciare già a fine giugno”. Ad affermalo è stato Stefano Firpo, Capo Gabinetto del Ministero dell’Innovazione Tecnologica e la transizione digitale.
[USA & CINA]
Fuori dalla lista nera voluta dall’Amministrazione Trump, in cui restano la rivale Huawei e Zte, confermate a marzo. La big tech cinese Xiaomi, terzo produttore mondiale di smartphone (secondo in Europa) e ormai dichiaratamente un nuovo attore nell’affollata arena della corsa all’auto elettrica, ha registrato un balzo del titolo al Nasdaq dopo avere annunciato che un tribunale degli Stati Uniti le ha tolto di dosso il marchio di Compagnia militare cinese comunista (CCMC). Sono state revocate tutte le restrizioni sui cittadini statunitensi che acquistano o detengono le sue azioni.