La risposta del SSN e degli altri sistemi sanitari durante l’emergenza coronavirus

La crisi attuale pone una sfida globale senza precedenti con un significativo impatto sanitario, economico, sociale e geopolitico. Inoltre, la pandemia ha messo in discussione una parte degli equilibri della quotidianità a livello individuale e di sistema Paese. E’ evidente che la sfida sta mettendo a dura prova, oltre che l’efficacia e l’accessibilità della sanità pubblica, soprattutto la sua resilienza, intesa come la capacità di un sistema di adattarsi ad uno shock improvviso, una caratteristica indispensabile per sostenere un’emergenza che potrebbe prolungarsi nel tempo o ripetersi nel futuro.

Cosa hanno fatto i Paesi (inclusa l’Italia) per affrontare questa sfida? Ogni Paese ha assunto delle proprie scelte, adottando una serie di misure nel tentativo di combattere questa minaccia senza precedenti. Le  caratteristiche specifiche e l’organizzazione dei sistemi sanitari abbiano svolto un ruolo importante sulla capacità di ciascuna realtà nel fronteggiare la sfida.

Man mano che l’emergenza si è diffusa nel mondo i sistemi sanitari hanno affrontato l’assetto emergenziale su due piani paralleli, occupandosi, da una parte, di gestire i pazienti colpiti dal Covid19 e, dall’altra, continuando a rispondere ai bisogni sanitari non collegati alla pandemia. Impegnati in questo stress test senza precedenti i sistemi sanitari hanno addotato una serie di misure per affrontare la pandemia (capacità di potenziare il personale, i posti letto, programmazioni territoriali per gestire a domicilio le persone, le scorte di presidi sanitari, ecc…), riflettendo altresì su come ripristinare i livelli di qualità e quantità delle prestazioni per i pazienti non Covid.

In questo contesto globale, l’Italia sta costruendo la sua storia, in quanto primo Paese europeo chiamato a fronteggiare la sfida: se per tutti i Paesi in Europa e nel mondo il Covid19 è stato una stress test, l’impatto per l’Italia è stato maggiore poiché ha dovuto assumere delle scelte prima di chiunque altro, senza alcun elemento di confronto con altri contesti e soprattutto in un periodo in cui la conoscenza del virus era ancora molto limitata. Questa situazione ha posto l’Italia al centro del panorama internazionale e non sono mancate critiche: ad esempio, la prestigiosa rivista Harvard Business Review dell’Università di Harvard ha riportato l’esperienza italiana per mettere in evidenza gli effetti indesiderati, i limiti e gli errori della risposta di un Paese alla crisi, errori, secondo quanto riportato, ricondotti ad alcune caratteristiche specifiche del contesto italiano, del Servizio Sanitario Nazionale, oltre che del contesto politico e culturale.

Senz’altro dall’esperienza italiana (come in molti altri contesti europei ed internazionali) sono emersi degli errori (inevitabili data la portata di quest’emergenza, oltretutto inattesa), ma non bisogna valutare la bontà di un servizio sanitario esclusivamente dalla capacità di fronteggiare una sfida del genere. Ad ogni modo dall’esperienza vissuta è possibile trarre alcune riflessioni che fungeranno da insegnamento per il futuro.

Innanzitutto, questa pandemia ha reso evidente come il sistema sanitario rappresenti la base della società di qualsiasi Paese, una verità innegabile, in precedenza a volte messa in discussione. Tuttavia, per quanto ovvio possa sembrare, porre la salute della popolazione e gli investimenti nei sistemi sanitari al centro dell’azione dei governi, in realtà non lo è. Inogni Paese le risorse per la salute e la sanità dipendono da una serie di complessi processi decisionali derivanti dall’interazione tra vari fattori istituzionali e sociali, economici ma anche da valori politici e culturali. Al riguardo, si consideri come negli ultimi anni affrontando anche le sfide del cost containment e dell’austerity, l’Italia (così come anche altri Paesi europei) hanno ridotto il finanziamento per i sistemi sanitari, portando la spesa intorno ai 3.500 € pro capite, un valore ben lontano da, ad esempio, i 6.000 € pro capite spesi in Germania. Tale trend si osserva anche con riferimento al numero di posti letto presenti negli ospedali che negli ultimi anni sono stati ridotti di più del 30% e al numero di operatori sanitari che negli ultimi anni si è contratto in maniera significativa, più di 40.000 unità.

In questo scenario, caratterizzato da anni di riduzione della spesa nel settore sanitario, l’arrivo della pandemia ha, dunque, impattato su un sistema con delle capacità già al limite. Il sistema ha dovuto fare affidamento sulla sua risorsa principale, ovvero le persone: i professionisti della sanità a tutti i livelli, insieme ad uno straordinario esercito di volontari, sono scesi in una battaglia senza precedenti nel nome di valori quali universalismo, uguaglianza, equità territoriale, da sempre alla base del Servizio Sanitario Nazionale.

In questo senso, dunque, l’esperienza italiana, ma anche quella di altri contesti europei, ha mostrato come tutte le istituzioni economiche e sociali dipendano pienamente dall’ attività umana, evidenziando il ruolo fondamentale delle persone: mentre sempre più persone nel mondo venivano messe in quarantena l’attività economica certamente si fermava settore dopo settore per cui senza persone, la società e l’economia non possono funzionare.

Un Paese non dovrebbe essere costretto a scegliere tra la salute pubblica e l’economia, poiché si tratta di elementi strettamente collegati tra loro: si spera che tale consapevolezza rappresenterà anche uno degli input delle linee guida nell’allocazione delle risorse europee nel prossimo futuro.

Un’ulteriore riflessione che si vuole porre, specifica del contesto italiano e di tutti quelli che hanno la divisione del potere decisionale a vari livelli di governo, è che l’efficacia dei sistemi sanitari decentrati nelle situazioni di emergenza. L’efficacia della risposta può essere misurata dalla prontezza della determinazione del coordinatore nel creare le condizioni (dal punto di vista delle infrastrutture, forniture, sistemi informativi, ecc..) per affrontare l’emergenza, nonché nella capacità da parte degli attori locali di mettere in pratica in modo efficiente le linee guida nazionali. E’ un equilibrio essenziale che il Covid-19 ha fatto vacillare, non soltanto in Italia, ma anche in altri Paesi in cui i livelli decisionali sono condivisi tra il governo centrale, le regioni e i contesti locali. Il modello è stato messo a dura prova anche perché all’inizio la pandemia ha impattato le diverse regioni in maniera differente, con alcune regioni che, considerando la risposta del governo centrale troppo lenta ed inefficace, hanno risposto in maniera autonoma all’emergenza.

Un altro aspetto da considerare riguarda, inoltre, la necessità di ripensare la sanità di comunità: uno dei principali errori che sono stati attribuiti ad alcune regioni italiane (ma anche all’estero) è stata la capacità nell’organizzazione dell’assistenza primaria e delle modalità di coordinamento tra assistenza primaria e specialistica; in quest’ambito gli strumenti a disposizione sono diversi e l’innovazione digitale può avere un ruolo di rilievo.

Infine, si dedica attenzione al tema delle competenze, facendo riferimento soprattutto a quelle manageriali all’interno del servizio sanitario nazionale. In modo particolare nell’ultimo periodo, è stato compreso come all’interno delle aziende erogatrici dei servizi sanitari (Asl e ospedali) sia di estrema rilevanza la capacità del top management di mostrarsi flessibile ed organizzare le attività anche in presenza dei vincoli di una situazione sconosciuta. Durante l’emergenza la comunità silenziosa di professionisti e manager della sanità ha agito con forza, imprimendo un nuovo orientamento all’organizzazione delle aziende sanitarie.

Come è stato detto credo che, in realtà il Covid-19 non ha creato nuovi problemi, piuttosto ha mostrato in maniera violenta molte delle sfide che da tempo incombono nei servizi sanitari (e non solo quello italiano), per tali ragioni bisogna partire da quanto appreso negli ultimi mesi e tracciare nuove linee guida per il futuro.

Alla luce di quanto riportato finora, dunque, in quali strumenti innovativi bisognerà indirizzare le risorse attese con il Piano Next Generation EU? Senz’altro assumerà un ruolo di rilievo l’utilizzo delle piattaforme di raccolta dati a cui i ricercatori, e non solo, potranno accedervi e generare le evidenze utili ad assumere le scelte migliori. Un ulteriore ambito in cui si auspicano investimenti è quello dell’utilizzo di strumenti tecnologici a supporto della comunità. Al centro di tutti questi item rimane la sfida principale che è quella delle competenze, a partire da quelle delle persone a vari livelli di governo, anche la capacità reale di utilizzare le evidenze e i dati per fare una programmazione strategica in linea con i bisogni della popolazione.

 

CONTRIBUTI

I contributi di questa sezione comprendono documenti, relazioni e sintesi di interventi effettuati dai Relatori delle Web Conferences, degli Eventi Territoriali e del DIGITAL ITALY SUMMIT promosso da The Innovation Group.

Essi possono includere, inoltre, articoli e Paper che abbiamo ritenuto di particolare interesse per aprire o contribuire al dibattito sulle politiche industriali e sull’impatto dell’innovazione tecnologica sul mercato e sull’industria del digitale sull’organizzazione delle imprese, della Pubblica Amministrazione, del Terzo Settore e del lavoro.


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