Nelle aziende italiane cresce la consapevolezza di dover garantire ai clienti la migliore esperienza possibile. Motivazioni e strumenti tecnologici ci sono, ma non mancano gli ostacoli.
Il cliente forse non ha sempre ragione, ma di certo ha sempre di più l’aspettativa di sentirsi considerato, seguito, riconosciuto come singolo individuo e non come parte di una massa indifferenziata. Oggi per scontentare i clienti non basta dar loro ragione: le aziende devono soprattutto pensare a offrire esperienze personalizzate e coerenti sui diversi canali. Le espressioni customer journey e omnicanalità, per quanto abusate, sottendono un’esigenza di trasformazione reale. I clienti vogliono sentir riconosciuta la loro unicità e la dimensione online è un invito a parlare (bene o male), a condividere la loro esperienza con una platea immensa. Più le nostre vite diventano digitali e più, presumibilmente, le aziende dovranno preoccuparsi di costruirsi una buona reputazione anziché puntare al profitto con pure logiche di marketing e di vendita. Per questo i clienti vanno resi contenti, e non solamente accontentati.
L’espressione customer experience e la consapevolezza della sua centralità non sono certo cosa nuova ma negli ultimi due anni – considerando come spartiacque il terremoto della pandemia e dei primi drastici lockdown – questi concetti sono saliti alla ribalta come mai prima d’ora. Questo, almeno, è ciò che raccontano gli analisti, i report e le persone del marketing di aziende un po’ di ogni settore. La nuova, rafforzata centralità della customer experience (CX) trova conferma in alcuni dati emersi dalla “Digital Business Transformation Survey 2022”, l’ultima edizione dell’annuale indagine condotta da The Innovation Group su un campione di 213 aziende e organizzazioni pubbliche italiane. Innanzitutto, la quota di aziende che considerano il miglioramento dell’esperienza dei clienti come una priorità per il 2022 è intorno al 24%, un dato non altissimo ma in forte crescita (+71%) rispetto a quanto emerso nell’edizione precedente della ricerca. Inoltre la seconda priorità più citata (dal 39% degli intervistati), cioè il lancio di nuovi prodotti o servizi, è un tema indirettamente legato alla customer experience.
A che punto siamo, oggi, in Italia nelle strategie aziendali di CX? Domina l’idea di una certa maturità, reale o percepita che sia: il 65% del campione ritiene che la propria società od organizzazione abbia già un’elevata competenza in ambito di customer experience, mentre il 27% rientra nella categoria dei “principianti” e appena l’8% in quella dei completi “inesperti”. Non stupisce troppo scoprire che le aziende del settore dell’Ict e dei servizi si posizionano nella parte alta della scale, mentre all’opposto ci sono gli enti pubblici. Da questa edizione della ricerca, così come dalla precedente è emersa l’immagine di una Pubblica Amministrazione italiana poco attenta all’esperienza degli utenti, nonostante i progressi (importanti e necessari) nell’adozione di servizi digitali come il sistema di autenticazione di Spid e la piattaforma PagoPA.
Ed è interessante notare un altro fatto, suggerito dalle interviste: gli specifici obiettivi di customer experience cambiano a seconda del grado di maturità. Le aziende con una competenza più elevata sono più orientate a offrire ai clienti una eccellente esperienza di acquisto o fruizione e a migliorare la customer satisfaction, mentre quelle meno mature puntano direttamente all’aumento delle vendite e all’acquisizione di nuovi clienti (senza però preoccuparsi troppo di fidelizzarli o di trasformarli in portavoce del loro brand). A tendere, possiamo prevedere che ci sarà un graduale spostamento di aziende ed enti pubblici verso una maggiore maturità in ambito CX, ma non sarà un percorso privo di ostacoli. I principali sono la scarsa collaborazione fra l’IT e il business, la difficoltà nell’integrare i diversi touchpoint (cioè i “punti di contatto” tra l’utente e l’azienda o marchio), i costi troppo elevati degli investimenti che andrebbero fatti, e ancora il basso grado di adozione di tecnologie adeguate, l’assenza di una strategia chiara, la mancanza di competenze e il fatto che non venga percepito il valore della customer experience.
Se questi sono gli ostacoli, d’altra parte non mancano gli strumenti che aiutano a condurre attività di CX sempre più evolute. Il primo, fondamentale, è il Crm (customer relationship management), a cui fa ricorso il 61% delle organizzazioni del campione d’indagine. Seguono i software che permettono di analizzare il grado di soddisfazione degli utenti (28%), quelli di analytics di tipo Big Data (24%), le piattaforme di gestione dei dati (data management platform, 19%) e nell’ambito del customer service gli strumenti automatizzati come i chatbot (14%), le applicazioni di chiamata e videochiamata (13%) e l’Internet of Things (11%). Solo il 2% già utilizza applicazioni di realtà aumentata rivolte ai clienti, ma questa è una frontiera promettente e che inizia a prendere piede in ambiti come l’immobiliare, l’arredamento e il makeup.
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