La nuova dottrina Trump per l’AI
L'Editoriale di


A fine gennaio, tra le primissime iniziative dopo l’insediamento, l’amministrazione Trump ha delineato una nuova strategia per gli Stati Uniti riguardo all’intelligenza artificiale. Una virata stretta rispetto alla linea tenuta da Biden, con una minore attenzione ai rischi (diretti e indiretti) e un focus sul consolidamento della supremazia digitale degli Stati Uniti, concretizzato attraverso una più stretta sinergia con le grandi aziende tecnologiche e un massiccio investimento di 500 miliardi di dollari. L’obiettivo non è certo arduo da desumere: rafforzare la posizione (già dominante) del paese, promuovendo lo sviluppo tecnologico e l’innovazione attraverso partnership pubblico-private e in una sinergia tra governo, accademia e imprese, così da contenere in modo efficace la concorrenza e le novità che arrivano anzitutto dalla Cina e – in misura minore – dall’Europa.
Il progetto Stargate
Il fulcro della dottrina Trump per l’IA è senz’altro (per ora) il progetto Stargate, un’iniziativa ambiziosa che prevede la costruzione sul territorio statunitense di una ventina di data center avanzati. Questi centri saranno fondamentali per supportare lo sviluppo di sistemi di IA di nuova generazione: il piano coinvolge colossi come OpenAI, SoftBank e Oracle, e la stima è che possa creare oltre 100mila posti di lavoro negli Stati Uniti. In senso più ampio, l’iniziativa si concentra su cinque aree chiave: promuovere la ricerca e lo sviluppo, incrementare l’accesso a risorse e dati federali, stabilire standard tecnici per sistemi affidabili, formare una forza lavoro adeguata alle esigenze emergenti e – almeno stando agli annunci – proteggere i “valori americani” come la privacy e le libertà civili.
Parallelamente, l’amministrazione ha posto una forte enfasi sul rafforzamento della produzione nazionale di semiconduttori. Trump ha proposto modifiche al CHIPS Act, tra cui l’imposizione di tariffe sulle importazioni di semiconduttori, con l’intento di incentivare la produzione interna e ridurre la dipendenza da fornitori stranieri. Per assurdo però, come hanno fatto notare alcuni osservatori, simili misure potrebbero aumentare i costi per i consumatori e rallentare i progressi nell’IA, dunque avere un effetto controproducente.
Deregulation e collaborazione con le aziende tech
Parallelamente agli investimenti infrastrutturali, la nuova amministrazione statunitense ha adottato misure per ridurre le regolamentazioni nel settore dell’IA. Uno dei primi atti del presidente è stata la già citata abrogazione di un ordine esecutivo del 2023, firmato dall’allora titolare della Casa Bianca Joe Biden, che richiedeva agli sviluppatori di sistemi IA potenzialmente rischiosi di condividere i risultati dei test di sicurezza con il governo federale prima del loro rilascio pubblico. Questa mossa di Trump è stata interpretata come un tentativo di accelerare lo sviluppo e l’implementazione dell’IA sul mercato, riducendo al contempo le restrizioni normative.
La stretta collaborazione tra l’amministrazione Trump e le grandi aziende tecnologiche è evidente già a partire da elementi simbolici e mediatici: leader del settore come Tim Cook, Jeff Bezos, Sundar Pichai e Mark Zuckerberg (oltre a Elon Musk, ça va sans dire) hanno partecipato alla cerimonia di inaugurazione del mandato presidenziale, seduti in prima fila in Campidoglio. E Musk è stato nominato a capo del nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa, con l’obiettivo di ridurre la spesa federale. D’altra parte, le big tech hanno potenzialmente molto da guadagnarci, a partire da una regolamentazione più favorevole con un approccio meno restrittivo su privacy, antitrust e moderazione dei contenuti (nella direzione di una “maggiore libertà di espressione”), e la possibilità di accaparrarsi generosi contratti federali, incentivi e agevolazioni fiscali per lo sviluppo di AI, cloud computing e cybersecurity. Tra gli altri verosimili benefici, un allentamento delle normative sulle responsabilità delle piattaforme per i contenuti pubblicati dagli utenti, e magari un ammorbidimento della politica industriale basata sui dazi, che se troppo rigida finirebbe per danneggiare le filiere globali di approvvigionamento delle aziende tecnologiche stesse.
Critiche e reazioni
Tuttavia, anche al di là degli interrogativi sull’impatto a lungo termine di questa strategia e sulla sua sostenibilità (in senso sistemico, poiché dal punto di vista ecologico la posizione di Trump è piuttosto netta), non mancano le critiche a questa nuova dottrina. Organizzazioni come l’American Civil Liberties Union (ACLU) hanno espresso preoccupazione per la rapida eliminazione delle protezioni legate all’IA, sottolineando i potenziali rischi per i diritti civili e la sicurezza pubblica derivanti dall’adozione di tecnologie non adeguatamente regolamentate.
Inoltre, lo stesso progetto Stargate ha suscitato tensioni tra Trump ed Musk, che ha criticato pubblicamente il progetto mettendo in dubbio la reale disponibilità dei fondi promessi e sottolineando che alcuni investitori chiave, come SoftBank, dispongano di risorse inferiori a quanto dichiarato. Nulla di tutto ciò, comunque, pare poter compromettere la sostanza del piano d’azione.
La timida risposta europea
Nel contesto internazionale, il vertice sull’intelligenza artificiale organizzato Parigi il 10 e 11 febbraio scorsi ha evidenziato le divergenze – in materia di IA – tra le politiche statunitensi e quelle di buona parte del resto del mondo. Il summit, co-presieduto dal presidente francese Emmanuel Macron e dal primo ministro indiano Narendra Modi, ha riunito oltre 100 paesi e i rappresentanti di organizzazioni internazionali e aziende per discutere lo sviluppo e la regolamentazione dell’IA, anzitutto in risposta a tre settimane di forte discontinuità determinate dai provvedimenti Oltreoceano.
Durante il vertice 61 paesi tra cui Italia, Francia e Germania, e soprattutto Cina, Giappone e India, hanno firmato la Dichiarazione su un’intelligenza artificiale inclusiva e sostenibile per le persone e il pianeta. Il documento promuove principi come l’accessibilità, la trasparenza, l’etica e la sostenibilità nell’IA, in assonanza con la linea più attenta e regolamentata già condivisa in Unione Europea. Tuttavia, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno rifiutato di firmare la dichiarazione, sostenendo che l’accordo internazionale non affrontasse adeguatamente la governance globale dell’IA e le preoccupazioni relative alla sicurezza nazionale. Si tratta dell’ennesimo atto che mette in luce le tensioni tra l’approccio regolatorio dell’UE e la posizione più liberale degli Stati Uniti: a firmare la dichiarazione è stata anche la Cina, a dimostrazione di come gli equilibri di uno scenario geopolitico frammentato siano in una fase quantomai dinamica. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato durante il vertice l’iniziativa InvestAI, con l’obiettivo di mobilitare 200 miliardi di euro di investimenti in intelligenza artificiale. L’iniziativa prevede anche un fondo europeo di 20 miliardi di euro per le gigafactory dell’IA, strutture destinate a svilupparne una versione europea competitiva. Intanto, il premio Nobel italiano Giorgio Parisi ha ribadito più volte che per guardare al futuro su solide basi l’Europa avrebbe bisogno di un analogo del Cern di Ginevra focalizzato sull’IA. Nel nord America, però, Trump è già passato dalle parole ai fatti.
