24.02.2025

In un mondo “frammentato”, la tecnologia non può più essere neutrale

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Mentre il 20 gennaio Donald Trump celebrava il suo ritorno alla Casa Bianca, circondato da una corte di Ceo delle Big Tech un tempo nemici (con Elon Musk a Mark Zuckerberg in primo piano), lontano da Washington D.C., al World Economic Forum di Davos, si tornava a parlare di cambiamento climatico, innovazione tecnologica, geopolitica e lavoro ed economia. Grandi temi, sempre più intrecciati, che saranno probabilmente influenzati nei prossimi anni dal nuovo corso repubblicano degli Stati Uniti ma anche dal protagonismo della Cina, dalla corsa dell’India per diventare la quarta economia mondiale e dai tentativi dell’Europa di recuperare il ritardo nella produzione di tecnologie e servizi, dai semiconduttori al cloud computing. L’edizione del Wef di quest’anno sarà forse ricordata soprattutto per questa coincidenza di calendario, mentre ai 2750 delegati presenti a Davos veniva offerta l’opportunità di guardare a  distanza la cerimonia di insediamento di Trump, in quello che Reuters ha definito come il più esclusivo watch party dedicato all’evento.  

Come sottolineato nella nuova edizione del “Global Risks Report” del Wef, il 2025 presenta uno “scenario globale sempre più frammentato” e segnato da una escalation di tensioni geopolitiche, ambientali, sociali e tecnologiche: sono tutte “sfide che minacciano la stabilità e il progresso”. Dalle interviste condotte su 900 rappresentanti del mondo imprenditoriale, governativo, accademico e della società civile emerge, da un lato, che  

i rischi legati all’economia rimangono un fattore di preoccupazione, ma meno preminente rispetto agli anni passati. C’è qualcosa di più spaventoso nella mente di queste 900 “persone che contano”: la guerra viene identificata come il più pressante e immediato rischio globale nel breve termine (indicata al primo posto da circa un quarto degli intervistati), seguita dalla disinformazione, dagli eventi climatici estremi, dalla polarizzazione della società, dal cyberspionaggio e dalla guerra cibernetica

Le principali minacce percepite per il lungo termine (da qui a dieci anni) riguardano, invece, l’ambiente: eventi climatici estremi, perdita di biodiversità, collasso degli ecosistemi, esaurimento di risorse naturali, inquinamento e conseguenti impatti sulla salute. Ma che ruolo può avere la tecnologia in questo fosco scenario? Non solo positivo, purtroppo: tra i rischi a lungo termine, dopo quelli ambientali e sanitari, ci sono la disinformazione e gli esiti avversi dell’intelligenza artificiale. 

Interessante è l’infografica che, nel report, evidenzia le interconnessioni tra questi temi e sottotemi e anche il ruolo della tecnologia. Come si nota, la disinformazione ha relazioni dirette con alcuni pericoli sociali, come la polarizzazione (da cui le ineguaglianze) e l’erosione dei diritti umani e della libertà, ma anche con il rischio di conflitti armati, mentre le attività malevole online e il cyberspionaggio si legano al crimine “tradizionale”.  
 

Altri spunti di riflessione sul tema arrivano dal “Global Cybersecurity Outlook” del Wef: in quasi il 60% delle aziende le strategie di sicurezza informatica sono cambiate a causa delle tensioni geopolitiche mondiali. Gli amministratori delegati temono soprattutto il furto di informazioni sensibili o proprietà intellettuale, mentre i responsabili della cybersicurezza sono più preoccupati dalle interruzioni di operatività. Il 66% delle aziende si aspetta che l’intelligenza artificiale sarà il principale fattore di impatto sulla cybersicurezza nel breve periodo (12 mesi), supportando sia gli attaccanti sia la difesa. 

Come ampiamente discusso in questi ultimi anni, l’evoluzione digitale impatta anche sull’occupazione e, a un livello più profondo, sulla natura stessa del lavoro e delle professioni. NelFuture of Jobs Report 2025 presentato quest’anno a Davos si stima che le nuove tecnologie (tra cui l’intelligenza artificiale, ma non solo) da qui al 2030 eroderanno 92 milioni di posti di lavoro ma ne creeranno 170 milioni. Il saldo è nettamente positivo, forse troppo rispetto ad altre non così ottimistiche previsioni recenti (nel 2023 Goldman Sachs stimava che la sola AI generativa possa cancellare nel medio periodo 300 milioni di posti di lavoro).  
 
In ogni caso sarà necessaria un’evoluzione delle competenze per evitare, in futuro, un divario ancor più ampio tra le professioni considerate rilevanti e quelli che il report chiama “ruoli in declino”. Ma l’aggiornamento delle competenze è una necessità più generale, che riguarda quasi il 60% dei lavoratori: ogni cento posizioni lavorative attuali, 59 dovrebbero ricevere formazione per non scomparire prima della fine del decennio. Si legge ancora nel report che le soft skill più richieste sul mercato del lavoro saranno resilienza, flessibilità, capacità di gestione delle risorse e controllo qualità, e contemporaneamente non si potrà evitare di avere un’alfabetizzazione informatica. Nel settore Ict, i ruoli più in ascesa sono oggi quelli legati all’intelligenza artificiale, ai Big Data, alle reti e alla cybersicurezza. Ben due aziende su tre pianificano di assumere nuovo personale con competenze specifiche sull’intelligenza artificiale e il 40% pensa di poter tagliare almeno alcune posizioni usando l’AI per automatizzare alcune attività.  
 
Insomma, non è facile trarre le somme dalla vasta collezione di dati e spunti del World Economic Forum. Di certo emerge il ritratto di un mondo in cui la tecnologia non è semplicemente “amica o nemica” dell’uomo bensì è diventata potenzialmente la migliore amica e la peggior nemica della pace e del benessere sociale, a seconda di come viene utilizzata. Per dirla con uno slogan, la tecnologia non potrà più essere neutrale ma dovrà schierarsi di volta in volta con i buoni e con i cattivi (ammesso che sia sempre possibile identificare i due fronti). Inoltre, come suggerito da molti osservatori (tra cui Gartner), nei prossimi anni la sostenibilità del digitale resterà un tema critico di scala planetaria, già centrale nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ed è un bene che nel “Global Risks Report” del Wef le preoccupazioni per i rischi ambientali siano in primo piano. Visti i suoi trascorsi da negazionista del cambiamento climatico, sarà interessante vedere come e se Donald Trump si allineerà a questa visione condivisa.  

 

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