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Imprese e ICT: luci ed ombre nonostante la spinta dovuta al Covid-19

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Cresce il livello di adozione di soluzioni digitali da parte delle imprese italiane, ma l’interesse è solo verso le soluzioni che hanno permesso di affrontare in maniera adeguata la crisi pandemica e le sue conseguenze. Lo riporta l’Istat nella sua ultima indagine “Imprese e ICT”.

Nel 2020 è cresciuto il numero di aziende che forniscono informazioni sui prodotti offerti tramite i propri siti web (raggiungendo la quota del 55,5% contro il 33,9% nel 2019) e di quelle che utilizzano servizi cloud (dal 23% del 2018 al 59% del 2020). A rilevarlo è l’indagine Istat “Imprese e ICT”, effettuata tra i mesi di giugno e agosto 2020[1] e basata su 12 parametri che contribuiscono alla definizione dell’indicatore denominato Digital intensity index utilizzato per identificare le aree nelle quali le imprese italiane incontrano maggiori difficoltà. Dall’analisi emerge, altresì, come il 97,5% delle imprese con almeno 10 addetti faccia ricorso a connessioni in banda larga fissa o mobile mentre rimane stabile (62,6% contro 62,4% del 2019) la quota di imprese che fornisce ai propri addetti dispositivi portatili (ad es. computer portatili, smartphone, tablet, iPad).

In particolare, con riferimento alle imprese connesse a Internet tramite banda larga fissa, si rileva come la velocità massima di connessione cresca in parallelo alla dimensione aziendale, senza particolari differenze territoriali; piuttosto a livello regionale si evidenzia una performance positiva delle imprese del Mezzogiorno: si consideri che Sicilia, Basilicata e Campania rientrano tra le prime cinque regioni per quota di imprese connesse a Internet a velocità di download pari ad almeno 100 Mbps. Con riferimento, invece, alla quota di imprese connesse con almeno 30 Mbps questa è pari a circa il 76% nel Mezzogiorno e nel Nord d’Italia mentre si attesta al 73,2% nelle regioni del Centro, dati che confermano, del resto, la resilienza della rete durante il lockdown che ha continuato a mantenere elevate le proprie performance nonostante lo stress test subito.

Lo scenario fin qui delineato mostra, dunque, la grande accelerazione digitale avvenuta all’interno delle imprese italiane, sebbene tale fenomeno sia frutto di una reazione alle difficoltà indotte dall’emergenza sanitaria, piuttosto che rappresentare un primo passo verso un più ampio percorso di trasformazione digitale. A confermare tale ipotesi è il fatto che tale trend ha riguardato soltanto le soluzioni e gli strumenti tecnologici (soprattutto dal punto di vista infrastrutturale) volti ad affrontare in maniera adeguata la situazione emergenziale, tralasciandone altre, ritenute non prioritarie (si pensi, ad esempio, al ricorso a soluzioni di IoT o stampa 3D che come si vedrà in seguito è ancora limitato).

Spostando l’analisi al 2019 e, con riferimento alle attività relative alle innovazioni tecnologiche più avanzate (quali, ad esempio, robotica, analisi di Big Data e ricorso a soluzioni di Internet of Things), emerge come queste vengano sviluppate principalmente dalle imprese che hanno già alti livelli di digitalizzazione in altri settori, e quindi sono già ad uno stadio più avanzato del proprio percorso di innovazione digitale.

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Fonte: Istat, 2020

In generale, circa l’82% delle imprese con almeno 10 addetti si colloca a un livello di adozione dell’ICT “basso” o “molto basso” (un valore che sale all’87,1% con riferimento al Mezzogiorno), non essendo coinvolte in più di 6 attività tra quelle considerate: in particolare, si rileva una limitazione all’utilizzo delle applicazioni digitali più evolute soprattutto tra le PMI (dal momento che circa l’8% dichiara di avvalersi di almeno due dispositivi smart o sistemi interconnessi, di robotica e analisi di Big Data e solo il 4,5% utilizza stampanti 3D nei processi di produzione).

Applicazione delle soluzioni di Intelligenza Artificiale per l’analisi dei dati

Soltanto l’8,6% delle imprese con almeno 10 addetti dichiara di aver svolto attività di analisi di dati nel 2019, precisando come si tratti principalmente di analisi di dati interni (7,4%, derivanti perlopiù da social media e da informazioni di geolocalizzazione provenienti da dispositivi portatili) contro il 2,8% che esternalizza i servizi di analisi; l’attività ha riguardato principalmente le grandi imprese.

Nel dettaglio, l’utilizzo di Big Data varia in relazione all’utilità di impiego delle analisi per la specifica attività

dell’impresa: infatti, tra le imprese che analizzano i dati internamente, le informazioni di geolocalizzazione assumono valore soprattutto nei settori del trasporto e magazzinaggio (93,7%), dei servizi postali e attività di corriere (76,7%), delle costruzioni (72,5%), mentre i Big Data derivanti da dispositivi intelligenti o sensori assumono rilevanza nei settori del manufacturing, quali, ad esempio, fabbricazione di computer (85,3%), metallurgia (69,1%) e industrie tessili (69%). Infine, l’analisi di dati derivanti dai social media avviene soprattutto nelle imprese che si occupano di ristorazione (99,2%), commercio di autoveicoli (86,9%) e servizi ricettivi (85,0%).

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Fonte: Istat, 2020

Ancora marginale, inoltre, il ricorso all’Internet of Things: nel 2020 soltanto il 23,1% del campione ha affermato di aver utilizzato tali soluzioni. In particolare, tra le imprese che hanno fatto ricorso a dispositivi Iot, vi rientrano quelle che utilizzano dispositivi, sensori intelligenti o telecamere controllate da Internet per migliorare il servizio clienti (35,7%) e per ottimizzare il consumo di energia nei locali delle imprese (32,5%).

Tali strumenti sono utilizzati soprattutto nel settore dell’energia (35,8%), in ambito manufacturing (come, ad esempio, nella fabbricazione di computer e prodotti di elettronica – 34,9%) e nelle industrie alimentari (27,0%), mentre nel settore dei servizi sono diffusi maggiormente nei servizi postali (39,0%), nelle telecomunicazioni (32,0%) e nel trasporto e magazzinaggio (29,5%). Infine, solo il 4,7% delle imprese dichiara di aver adottato la stampa 3D nei processi produttivi: anche in questo caso tale tecnologia viene utilizzata soprattutto nelle imprese di maggiori dimensioni (14,7% contro il 3,9% delle imprese più piccole) operanti in ambito manufacturing (40% delle imprese della fabbricazione di computer e prodotti di elettronica, 27,6% di quelle della fabbricazione di mezzi di trasporto e 15,4% della fabbricazione di apparecchiature elettriche per uso domestico).

Lo stato dell’e-commerce

L’analisi mostra come nel 2019 la percentuale di imprese con almeno 10 addetti che hanno offerto i propri prodotti sul canale online abbia continuato ad essere contenuta (16,3%) sebbene si sia registrato un incremento di due punti percentuali rispetto all’anno precedente, una crescita che ha riguardato le imprese con almeno 250 addetti. Dal punto di vista economico, la quota di fatturato da vendite derivanti da ordini ricevuti online sul fatturato totale passa al 12,7% dall’11,5% del 2018: si tratta principalmente di imprese con 100 addetti e oltre (circa il 17% contro il 5,6% di quelle di minore dimensione).

In relazione alle vendite online, va specificato come i dati non facciano riferimento al periodo pre Covid-19, non riflettendo, dunque, il forte ricorso al canale e-commerce rilevato nell’ultimo periodo. Al riguardo sono diverse le analisi che mostrano la maggiore presenza online delle imprese: di seguito se ne citano alcune.

Secondo i dati raccolti da Unioncamere attraverso l’osservatorio dei Punti Impresa Digitale (PID) delle Camere di Commercio sono state più di 3.600 le aziende di questo settore che hanno aperto un canale di vendita online tra aprile e ottobre 2020, facendo registrare una crescita del 15,5% (erano complessivamente 23.386 unità a marzo 2020 contro 27.007 ad ottobre 2020). Nel dettaglio, dopo la prima fase di lockdown, da maggio a settembre 2020, sono aumentate di 4 punti percentuali le PMI che si sono dotate di strumenti per l’e-commerce (il 27% contro il 23% dello stesso periodo del 2019) e di +5 punti percentuali quelle che si sono equipaggiate per l’e-payment (il 36% contro il 31%).

Del resto, anche dal punto di vista del cliente si nota un sempre maggiore apprezzamento verso il digital banking, un interesse spinto appunto dalla pandemia e dai conseguenti lockdown che hanno portato sempre più persone a considerare e adottare nuove soluzioni bancarie digitali. A rilevarlo è la ricerca 2020 European Evolution of Banking di Mastercard, che ha analizzato nel mese di settembre le tendenze del digital banking in 12 mercati europei, tra cui appunto l’Italia e da cui è emerso che il 46% del campione italiano si mostra positivo verso il digital banking e il 41% ha dichiarato di condurre transazioni finanziarie online e tramite app più frequentemente rispetto al periodo pre-pandemia. Inoltre, l’utilizzo delle app bancarie (52%) ha superato quello delle app dei social media (48%).

Tra i principali benefici ottenuti dal digital banking, si citano innanzitutto il risparmio di tempo (57%) e la semplicità di utilizzo (45%), aspetti ritenuti fondamentali nel «New normal». Ad ogni modo il Paese conferma la propria fiducia negli istituti tradizionali, con oltre la metà degli intervistati (61%) che considera la propria banca il punto di riferimento più importante per la gestione delle proprie finanze e l’88% che si dichiara convinto che le filiali degli istituti finanziari continueranno ad esistere nel prossimo decennio, ritenendole capaci di adattarsi ad un cambiamento che sarà sempre più necessario, nonché in grado di offrire sempre più soluzioni digitali, aumentando il livello di fidelizzazione dei propri clienti.


[1] Va chiarito, tuttavia, che alcuni quesiti (quali quelli relativi alle vendite online, fatturazione elettronica, analisi di Big Data, stampa 3D, formazione e assunzione di specialisti ICT) sono riferiti all’anno 2019.