Le aziende sono oggi fortemente impegnate sul fronte di una più ampia digitalizzazione di attività e processi, per tenere il passo con una competizione sempre più agguerrita presente sui canali digitali: come rilevato da The Innovation Group con la Digital Business Transformation survey 2019, in questi percorsi di cambiamento, che hanno forti impatti in moltissimi settori, permangono molte aree critiche e gap da superare.
Oltre a mancanza di competenze e investimenti, resistenza interna delle persone e difficoltà nel modificare la “macchina dell’IT”, integrando tra loro ambienti tradizionali e nuovi sviluppi, un punto molto importante è che ad oggi il cambiamento, fortemente voluto da alcune aree del business (pensiamo al marketing, alle vendite) non trova l’IT abbastanza preparata e reattiva nel fornire soluzioni e modificare il proprio approccio per venire incontro a nuove esigenze di time-to-market, flessibilità, agilità.
La maturità digitale delle aziende trova così dei forti freni in aspetti come la capacità di collaborare internamente, di ridisegnare processi ed attività in chiave digital, l’integrazione e la gestione ottimale dei dati.
Come realizzare un’Agile Enterprise e un migliore allineamento tra Business e IT?
Il tema, molto attuale e stimolante (a cui sarà dedicato il Webinar organizzato da Mega International e The Innovation Group per il prossimo martedì 25 giugno) ha delle implicazioni organizzative evidenti. Affrontiamo queste problematiche, anticipando alcuni dei contenuti del Webinar, con i Relatori Mauro Biscotti, CEO, Immaterialvalue, e Paolo De Paolis, Business Developer – Enterprise Architecture, Governance, Risk & Compliance, MEGA International.
TIG. Oggi molti individuano in Agile il paradigma, non deterministico ma reattivo a continui cambiamenti interni ed esterni, con cui rispondere alle sfide di una crescente digitalizzazione e di un’attività innovativa che deve permeare tutta l’azienda. Dal tuo punto di vista quali sono però i principali vincoli all’introduzione di Agile in azienda?
Mauro Biscotti. Molte aziende, anche di grandi dimensioni, manifestano operatività di tipo “adattivo” nella gestione delle tecnologie. “Adattivo” non significa “agile”, ma descrive una gestione che si affida alla capacità dei responsabili di gestire le attività mediante controllo diretto, usando meccanismi di delega personale o dinamiche di costruzione del consenso per gestire il lavoro, di fatto non seguendo un modello operativo e di governo preciso, ma “adattandosi” di volta in volta alle esigenze contingenti. Questi approcci possono anche essere molto performanti, nel momento in cui questi “capi” sono capaci, competenti (e spesso è così) e riescono a controllare e “micro-ottimizzare” bene il funzionamento delle proprie unità. Ma quando la complessità aumenta (e nel contesto della trasformazione digitale la complessità cresce esponenzialmente), l’approccio “adattivo” cessa di funzionare bene. Il capo non ce la fa più a gestire tutto. Le cose che gli sfuggono (per gap di competenza o limiti “fisici”, materiali nel livello di presenza e nelle ore lavorabili) sono sempre più. A questo punto l’organizzazione deve necessariamente scegliere di darsi struttura, e lo può fare seguendo un modello per processi/progetti (waterfall), o adottando modelli più “agili”. Il problema è che in molte realtà (soprattutto quelle in cui si opera in modo “adattivo”), il modello “agile” non è compreso bene, e lo si tende a considerare una soluzione capace di dare risultati importanti, facile e rapida da conseguire perché abilitata da aspetti di cultura e di metodo.
Non è così. Cultura e metodo sono importanti, ma il modello “agile” richiede disciplina e meccanismi di governo forti e ben definiti, impone vincoli e non è adatto a interpretare tutti le situazioni operative e tutte le esigenze di business. La transizione che ne risulta ha prerequisiti che spesso risultano onerosi da soddisfare, e soprattutto non può essere realizzata in modo parziale.
TIG. L’approccio Agile promette una maggiore rapidità di risposta alle richieste delle linee di business, una riduzione dei tempi di esecuzione, una maggiore flessibilità alle richieste di modifiche. Operare con logiche Agile richiede però dei compromessi?
Mauro Biscotti. Non parlerei di compromessi. L’incremento importante di velocità e flessibilità che si ottiene con gli approcci di tipo “agile” è ottenuto «rimuovendo alcuni elementi di vincolo e struttura» nell’operatività di dettaglio ed “alleggerendo” o piuttosto cambiando alcuni meccanismi di governo. Ma come detto non è “gratuito”: è una scelta che ha dei prerequisiti precisi, quali ad esempio la disponibilità (anche a livello operativo) di risorse esperte, capaci di autonomia e disponibili ad assumersi rischi e responsabilità di risultato. E delle implicazioni da accettare, quali ad esempio un fattore di rischio intrinsecamente maggiore. Non è quindi una scelta sempre possibile o conveniente. Il modello “agile” va adottato quando opportuno, ed in azienda è normale ci siano contemporaneamente ambiti in cui il modello “agile” può essere adottato con profitto, ed altri che invece è sensato siano gestiti con processi rigidi/ progetti waterfall. Non si tratta di compromessi quindi, ma di un “trade off” tra due modelli diversi, ognuno dei quali ha vantaggi e svantaggi. Applicare il modello “agile” dove esso non serve può risultare in costi e rischi maggiori a cui non corrisponderanno adeguati benefici. In molti casi ritengo sia inevitabile dover gestire ambedue i modelli contemporaneamente, facendoli convivere. È la famosa “bimodalità”, che tuttavia inevitabilmente aumenta l’articolazione organizzativa e di governo dell’azienda. Ma la scelta peggiore in assoluto è cercare di implementare “vie di mezzo”, modelli “agili” incompleti, privi di una loro fondamentale coerenza operativa.
TIG. Se questa è la situazione, come ricondurre tutta la complessità entro un framework in grado di governarla?
Paolo De Paolis. Sicuramente non esiste “IL” framework. Esistono degli strumenti metodologici e delle attenzioni da riporre affinché le diverse progettualità non portino alla deriva gli investimenti aziendali. Il SAFe Framework definisce ruoli, attività, risorse ed il flusso di lavoro ottimale per conciliare le diverse spinte, affinché il Release Train corra ma all’interno di binari e percorsi architetturali ben monitorati. Il Framework può effettivamente vivere se si condividono dei principi basilari di Agile Architecting in grado di assicurare che tutti i team abbiano un obiettivo finale parallelo, costituente, rispetto all’obiettivo di delivery.
TIG. Come far rientrare in questo discorso anche l’esigenza di maggiore collaborazione tra tutte le parti, indispensabile per i requisiti odierni di agilità e produttività?
Paolo De Paolis. Le modalità di collaboration diventano a questo punto il vero cardine del successo dell’Agile in azienda. La collaboration extra “tribù” agile diventa importante tanto quanto quella al suo interno. Specie per quanto concerne l’evoluzione delle architetture, l’emergere di nuove tecnologie e l’adozione di nuove modalità, senza le quali l’innovazione non può entrare effettivamente a far parte del percorso architetturale da seguire. Collaboration significa workflow, rilasci approvati, quality, essere costantemente indirizzati verso l’obiettivo. Se non si risolve il tema organizzativo, l’innovazione diventa o molto più rischiosa o impossibile.
Spiegare come governare l’introduzione di Agile in azienda, spesso in modalità Bimodale, è l’obiettivo del Webinar “Realizzare un’Agile Enterprise, ripensando l’allineamento tra Business e IT” organizzato da Mega International e The Innovation Group il prossimo martedì 25 giugno, dalle ore 11.30 alle ore 12.30.
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