N. Giugno
a cura di Ezio Viola
Managing Director, The Innovation Group
Alcune volte, quando si deve scegliere cosa commentare e analizzare tra gli avvenimenti e le notizie di cui solitamente tratta questa Newsletter, ci si può trovare di fronte a diverse opzioni: a volte la scelta è obbligata o molto semplice, perchè sono pochi i fatti e le notizie che davvero sono rilevanti e non si ha difficoltà a sceglierne una; altre volte capita che le possibilità siano molteplici, di notizie interessanti ce ne possano essere diverse, ma non ne emerge chiaramente nessuna ed è difficile trovare un filo rosso meno generico e banale di quello della continua evoluzione e del cambiamento che il mercato digitale e i suoi giocatori provocano. Questo è il caso suscitato da due temi forse minori trattati anche al recente G7.
Il primo è il caso di “Wannacry”, sia per l’impatto e la risonanza che per la dimensione dell’attacco e la velocità in cui è stato diffuso, dove viene mostrato, ancora una volta, come la minaccia alla sicurezza di paesi, infrastutture critiche, imprese e individui può fare un salto di qualità e contemporaneamente mettere in luce come i “basics” della sicurezza (in questo caso avere dei sistemi operativi aggiornati) siano ancora poco rispettati. D’altro canto, se è vero che la cybersecurity è stata uno dei punti all’ordine del giorno del recente G7 e che il risultato su altri argomenti più strategici sia stato un freno all’ apertura dei Paesi, le premesse per affrontare la cybersecurity, che si fonda sul rafforzamento della collaborazione tra enti e paesi, sono ancora molto deboli.
Sempre durante il G7, è stato affrontato il tema della tassazione dei giganti del Web.
Su questo punto, in Italia è stato annunciato il recente accordo dove anche Google, dopo Apple, deve pagare al fisco qualche centinaio di milioni di euro ( circa 300) per sistemare la propria reputazione e dare “una mancia” allo Stato, cosa che fa sempre bene di questi tempi.
Questo tema si lega allo strapotere che i giganti del Web ormai hanno acquisito e rimanda alla mancanza di un sistema di regole comuni e alla necessità di sistemi fiscali omogenei tra i diversi Paesi, in primis in Europa, la cui attuazione è al di là da venire. Sappiamo che gli stra-conosciuti giganti del web (notizia recente: Uber riprende il servizio anche in Italia), si basano sul modello di business a piattaforma, ossia sull’implementazione dei modelli economici dei mercati multilaterali basati sull’effetto rete e resi oggi più velocemente scalabili e globali dal digitale.
Collegato al ruolo sempre più da “oligopolio” di queste aziende, è il tema della nascente e crescente nuova economia dei dati: il nuovo petrolio e carburante del futuro delle economie. Lo posizione del potere e dei profitti, si sposterà sempre più verso chi saprà estrarre valore dai dati, attraverso tecnologie avanzate degli Analytics e in prospettiva di tutto l’armamentario tecnologico messo a disposizione da Cognitive Computing e Intelligenza Artificiale.
L’annuncio recente della disponibilità dei servizi di pagamento di Apple-Pay anche in Italia è l’ultima dimostrazione di come, chi possiede i dati può entrare facilmente in mercati complementari. In questo scenario le autorità regolatorie, non ultima la Consob, hanno alzato la loro voce, sbagliando bersaglio, sul possibile Far West che si potrebbe scatenare se non si regola l’innovazione tecnologica che riguarda il mondo Fintech.
Le economie di scala aumentano significativamente il valore delle aziende piattaforma globali. Questo è dovuto al potere economico insito nello sfruttamento dell’”effetto rete” che aumenta al crescere del numero dei partecipanti. Ciò si combina anche con l’”effetto Big Data”, cioè con l’avere sempre più dati a disposizione, che agisce a sua volta sui partecipanti generando ancora più dati. Non per nulla, i giganti della rete hanno profitti stratosferici (25B$ solo nel primo trimestre 2017). In un sistema competitivo ora sbilanciato verso lo strapotere dei giganti del web, non si deve però fermare l’innovazione dei piccoli, ma occorre prevedere le regole… Il dominio crescente di queste aziende però non può essere limitato con l’approccio che le autorità regolatorie hanno adottato in passato, ad esempio con la minaccia di break-up, perché non funzionerebbe: non siamo ai tempi del petrolio… e in una economia di dati le catene del valore sono più “fungibili e liquide” e facilmente rigenerabili.
In questo contesto di grandi temi, e sempre richiamando fatti recenti, risultano un po’ “patetici” sia la recente dichiarazione di pentimento del co-fondatore di Twitter, che ha lamentato che“Internet si è rotta”, accorgendosi che il mondo non è diventato automaticamente migliore attraverso la libertà di utilizzo della rete, sia le iniziative di Facebook per bloccare il dilagare di fake news e minacce sul web.
Questi fatti recenti, ci inducono a una considerazione: se non sappiamo prevedere tutti gli eventi che ci aspettano e che possono arrivare dall’evoluzione della tecnologia, abbiamo forse più ampio margine per prevederne le conseguenze, se questi si realizzeranno. Alla base però della nostra comprensione deve stare la conoscenza dell’uomo e dell’animo umano. Infatti se guardiamo questo video assolutamente straordinario disponibile su http://www.ina.fr/video/I10257139 e girato nel 1947, troviamo molte innovazioni arrivate 60-70 anni dopo: internet mobile, schermi ovunque – soprattutto a uso di intrattenimento e informazione – televisione in 3D… In questo filmato colpisce non tanto la tecnologia mostrata, quanto I comportamenti che essa provoca: una volta accettata una possibile previsione, se ne possono immaginare le conseguenze. Oggi questa capacità di pensare il futuro della tecnologia, è possibile ma le sue conseguenze potrebbero essere negative in quanto potremmo accorgerci di essere incapaci di gestirla.
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