Per il comparto manifatturiero italiano, la fine dei lockdown doveva essere il momento del rilancio. Invece la situazione geopolitica ha costretto tutti a rivedere le prospettive, con uno scenario di incertezza che probabilmente cambierà per sempre le politiche e le strategie industriali. Scarsità di risorse e fine della globalizzazione sono i due elementi più importanti che imprenditori e manager dovranno tenere in considerazione
Doveva essere il “grande reset” dell’industria manifatturiera italiana. Due anni di pandemia che, per molti segmenti del manifatturiero (ci sono eccezioni, pensiamo al farmaceutico ad alcuni comparti dell’alimentare) hanno rappresentato da una parte una specie di “tempo sospeso”, tra interruzioni della produzione a causa dei lockdown e scarsità della domanda per il crollo delle vendite di molti prodotti, dall’altra un momento di relativa tranquillità per pianificare investimenti e ammodernamenti.
Non è un mistero, ne hanno parlato anche i principali media nazionali, che gli imprenditori e i manager illuminati abbiano approfittato di questa pausa di riflessione proprio per accelerare la trasformazione digitale nell’ottica delle fabbriche smart, investendo di più invece che tirando i remi in barca.
L’obiettivo era farsi trovare pronti alla fine della pandemia (che per la verità non ci ha ancora definitivamente lasciati) con aziende e filiere ancora più competitive e “veloci” di prima.
Come purtroppo è noto, a febbraio lo scenario, che nel frattempo aveva visto un incremento dei costi energetici solo in parte giustificato dalle condizioni macro-economiche, è imprevedibilmente cambiato di nuovo, trascinando molte economie europee e mondiali in una vera e propria condizione di guerra, riflesso della vera guerra in Ucraina.
Così, l’energia, le materie prime dell’industria delle lavorazioni meccaniche e anche le materie prime dell’industria alimentare hanno avuto un’ulteriore contrazione in termini di disponibilità, inaugurando un probabilmente lungo periodo di scarsità che gli imprenditori del manifatturiero ora devono affrontare, senza contare l’effetto psicologico sui mercati, tutti i mercati a parte l’industria bellica, di clienti e consumatori spaventati dal rischio di un allargamento del conflitto.
La nuova scarsità farà emergere nuove opportunità?
Se la possibilità concreta che vengano bloccate completamente le importazioni di gas dalla Russia causerebbe il fermo di molte imprese, già il rincaro dei costi energetici sta provocando oggi l’interruzione a singhiozzo della produzione, che in alcuni casi risulta ormai antieconomica.
Come dice Carlo Alberto Carnevale Maffè, Associate Professor of Practice di Strategy and Entrepreneurship presso la SDA Bocconi School of Management: “Siamo entrati nell’epoca delle nuove scarsità (di materie prime, di energia e di capitale umano), un’epoca dove è facile che la domanda superi l’offerta, e in cui quindi le imprese manifatturiere siano costrette ad affrontare uno scenario completamente diverso da quello pre-pandemia”.
“È un momento in cui più che la resilienza conta l’anti-fragilità”, gli fa eco Michele Mariella, CIO di Marie Tecnimont, “e in cui le imprese devono imparare a guidare il caos, non potendo più evitarlo. Le risorse culturali e organizzative per gestire questo cambio di paradigma però secondo me ci sono; vanno fatti alcuni passi nella direzione dell’open innovation, cioè le imprese italiane devono imparare a condividere meglio e di più le soluzioni e le best practice utili per governare i nuovi scenari”.
“Spesso le turbolenze e le incertezze”, aggiunge Marco Taisch, Professore di Digital Manufacturing alla School of Management del Politecnico di Milano, “creano opportunità. Anche io vedo questo momento difficile come un’occasione: il ridisegno delle fabbriche, il maufacturing-as-a-service, l’industrial smart working, la sostenibilità e la creazione rapida di nuove competenze potrebbero ovviare alla grande e probabilmente strutturale incertezza dei nuovi scenari, provocata dalla fine della globalizzazione e dall’ingresso delle variabili geo-politiche anche nell’industria manifatturiera”.
“Ci vuole una politica industriale energetica seria, pragmatica e non demagogica”, dice infine Flavio Tonelli, Professore Ordinario di Sostenibilità Industriale e Industria Digitale presso l’Università di Genova, “un piano che richiede molte risorse economiche, oggi disponibili, e almeno un decennio per abilitare una transizione sostenibile dell’industria. Una transizione che passa dalla centralità della produzione di energia (sia costante sia rinnovabile) da parte delle stesse aziende e dalla diffusione del re-manufacturing, che è uno degli abilitatori dell’economia circolare”.
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