N. Maggio 2021
a cura di Carmen Camarca
Analyst, The Innovation Group
Secondo le stime più aggiornate di The Innovation Group nel 2021 il mercato del digital advertising subirà una crescita del 6,7% per un valore totale di poco più di 7 miliardi di euro, dopo aver registrato nel 2020 una perdita del 3,4% rispetto al 2019 (6,6 miliardi di euro in valore assoluto).
Fonte: The Innovation Group, 2021
Come risaputo, la contrazione del 2020 è da condurre alla performance negativa che il mercato ha subito nella prima parte dell’anno quando, a seguito dell’applicazione in tutto il Paese delle misure restrittive, molti publisher ed inserzionisti pubblicitari hanno cancellato o rimandato la maggior parte delle campagne pubblicitarie già pianificate: ciò è avvenuto soprattutto in quei settori (quali ad esempio food, travel e turismo) maggiormente impattati dalle disposizioni in atto e generalmente quelli più interessati a raggiungere clienti o potenziali tali con massicce campagne pubblicitarie.
Nelle sue consuete attività di analisi The Innovation Group aveva già discusso il fenomeno evidenziando come la contrazione del budget aziendale dedicato agli investimenti pubblicitari fosse accompagnata da un aumento del consumo mediale (Internet, TV e radio) da parte degli utenti, un fenomeno che si ritiene abbia continuato a caratterizzare il mercato per tutto il 2020 e che in parte persista, spinto dal prolungamento delle diverse restrizioni.
Entrando nel dettaglio del modello di mercato di The Innovation Group sul digital advertising, nel 2021 a farla da padrone sarà la pubblicità online che cresce del 10,5% sul 2020 (arrivando a valere 3,1 miliardi di euro), dopo il calo del 4% dello scorso anno. La maggiore crescita sarà del segmento del mobile advertising che aumenterà del 10,8% rispetto al 2020 (per un valore totale di 410 milioni di euro).
Crescite più contenute sono previste, invece, per la pubblicità televisiva (+3,4%, valore totale di poco più di 3 miliardi di euro) e per quella radio (+1,3%, 468 milioni di euro).
La ripresa del mercato viene confermata anche dai risultati finanziari relativi al primo trimestre 2021 di Google, Facebook ed Amazon che insieme rappresentano la quasi totalità del mercato del digital advertising mondiale e circa l’80% degli investimenti pubblicitari digitali italiani.
Analizzando le rispettive trimestrali emerge che, con riferimento a Facebook e Google, il digital advertising (core business delle due aziende) abbia trainato l’andamento positivo delle performance finanziarie. Nel dettaglio, all’interno di Facebook il forte aumento dei ricavi (pari al 44% su base annua per un valore totale di 26,17 miliardi di dollari) è stato attribuito all’aumento del 30% (su base annua) del prezzo medio per annuncio pubblicitario e del 12% del numero di annunci venduti, facendo aumentare complessivamente i ricavi da advertising del 46%, arrivando a quota 25,4 miliardi di dollari. Anche per quanto riguarda Alphabet (la casa madre di Google), le vendite record registrate nei primi tre mesi del 2021 (55,3 miliardi di dollari) sono state ricondotte ai ricavi pubblicitari di Google e YouTube, saliti rispettivamente del 32% (a 44,6 miliardi di dollari) e del 49% (a 6 miliardi di dollari). Infine, per quanto riguarda Amazon, anche se il digital advertising non rappresenta il business principale dell’azienda facendo parte di un ecosistema di prodotti e servizi sempre più apprezzati, si ritiene che il segmento abbia comunque riportato una performance positiva (l’azienda non rileva il dettaglio delle entrate pubblicitarie incluse nella categoria “Altro” che ha registrato ricavi in crescita del 77% per un valore totale di 6,9 miliardi di dollari).
Se dunque nel 2021 il mercato del digital advertising recupera in parte le perdite del 2020 (complice anche la ripresa dei consumi, la crescita attesa dell’economia del Paese e la campagna di vaccinazione che inevitabilmente porterà al rallentamento delle misure restrittive), per il 2022 rimangono ancora molte incognite.
In particolare, a gravare sul mercato è la decisione di Google di non raccogliere più i dati di terze parti (i cookie che vengono attivati da server diversi da quelli che ospitano le pagine web che si stanno visitando e seguono gli internauti di sito in sito, a differenza dei cookie proprietari che vengono creati dai siti visitati) a partire proprio dal 2022. La decisione, giustificata dall’azienda con la volontà di adottare un nuovo approccio in relazione alla privacy e al trattamento delle informazioni di chi naviga sul web (ambiti in cui l’azienda è stata più volte criticata) e di migliorare la propria reputazione al riguardo, rischia in realtà di creare profondi cambiamenti.
Negli ultimi anni il digital advertising è cresciuto in maniera notevole grazie soprattutto al fatto che la grande mole di dati a disposizione delle piattaforme online offre la possibilità di creare pubblicità personalizzate, un’attività che non sarebbe possibile in nessuno dei sistemi pubblicitari tradizionali ma in realtà, secondo esperti del settore, paradossalmente è con il digital advertising che il web è uno spazio “democratico”: senza pubblicità tutti i contenuti del web sarebbero a pagamento ed internet sarebbe meno accessibile. Inoltre, non va dimenticato che la pubblicità offre un servizio ai consumatori, mostrando loro contenuti mirati ed effettivamente in linea con le loro esigenze.
Bisogna, altresì, considerare che la novità potrebbe colpire poco Google (in quanto i dati che raccoglierà tramite Chrome – primo browser al mondo in termini di utilizzo, essendo utilizzato da due utenti su tre – non sono sottoposti a limiti) ma piuttosto impattare in maniera significativa sulle agenzie o i piccoli inserzionisti che sull’analisi e il tracciamento dei third party cookies hanno sviluppato i propri business.
Il rischio è, dunque, che quello che il Wall Street Journal ha definito un “tripolio” (ovvero un mercato composto quasi esclusivamente da tre attori: Google, Facebook e Amazon) rischi di diventare un monopolio considerato che i dati sugli utenti non raccolti più da terze parti o saranno raccolti direttamente sui singoli canali (di aziende, agenzie, ecc..) nel rispetto delle norme sulla privacy o dovranno essere acquistati dalla stessa Google.
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