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Il futuro dell’outsourcing la Sibilla cumana e i fondi del thè

A cura di Camilla BelliniAnalyst, The Innovation Group

L’esternalizzazione, o outsourcing, è l’insieme delle pratiche, che le aziende adottano per ricorrere a servizi offerti da altre imprese nello svolgimento di alcune fasi dei propri processi produttivi e di supporto. Questa pratica, già presente negli anni ‘70, si è diffusa poi negli anni ’90, benché nel mercato italiano delle aziende medio- grandi abbia avuto sorti controverse.
Gli economisti, spinti dall’evidenza degli accadimenti, si sono interrogati spesso sulle motivazioni che conducono le imprese ad esternalizzare le proprie attività: in estrema sintesi la riduzione dei costi di produzione e, per altri versi, la flessibilità produttiva sembrano essere stati i principali elementi trainanti, attribuendo di fatto una natura prevalentemente finanziaria a questa tipologia di operazioni.
In realtà, l’esternalizzazione dovrebbe essere affrontata come una scelta di tipo strategico dell’azienda, in quanto permette alle organizzazioni di rifocalizzarsi sulle proprie competenze core, anche grazie all’esternalizzazione delle attività “collaterali”, non strettamente legate all’attività caratteristica di ciascuna impresa. In questa prospettiva, pertanto, l’outsourcing non è una pratica riservata alle imprese in difficoltà o che sono in ristrutturazione economico- finanziaria, ma dovrebbe essere praticata più diffusamente anche dalle imprese con performance positive, in utile o che operano in settori maturi (le cosiddette “cash cow”), che in questo modo possono disporre di risorse economiche da utilizzare, ad esempio, per investire in innovazione di processo o di prodotto.
In Italia, invece, le ragioni che hanno sostenuto i pochi grandi deal degli ultimi 24-36 mesi sono state guidate, come risulta dalle informazioni riportate sulla stampa, da esigenze economico finanziare, e in particolare dal bisogno di rendere variabili i costi fissi e di ridurre le risorse operative. Questo approccio risulta totalmente distonico rispetto agli obiettivi sopra indicati, cioè alla focalizzazione sullo sviluppo della capacità effettiva di dominare le competenze necessarie all’impresa e sulla capacità di sostenere il loro continuo trend evolutivo, a maggior ragione in questi ultimi anni in cui è sempre più rapido e complesso mantenersi allineati alle esigenze di business.
La capacità di coniugare la visione di breve, come la ristrutturazione economico finanziaria, con una visione strategica di medio lungo periodo potrebbe condurre ad un circolo virtuoso in cui l’equilibrio di risorse operative e innovative sarebbe ben bilanciato, contrariamente a quanto avviene secondo la concezione di outsourcing corrente. Tuttavia la domanda che le aziende utenti si pongono continuamente, come alibi per non agire e non come reale motivazione, è quella relativa alla capacità dei fornitori di essere o meno in grado, nel tempo, di migliorare contemporaneamente i servizi erogati e le competenze dei propri collaboratori; questo farebbe in modo che tali servizi risultassero giustificabili sia sotto il profilo del vantaggio economico sia dell’efficacia dei processi. In questo scenario, le vere operazioni strategiche restano “dormienti” in un limbo decisionale, a meno che non siano rese necessarie da vincoli di tipo economico e/o finanziario dell’azienda stessa.
Quello che manca quindi nel panorama manageriale italiano è la capacità di inserire la scelta dell’outsourcing in una visione realmente strategica: l’outsourcing, al pari dell’M&A, consente di trasformare rapidamente l’azienda sia sotto il profilo finanziario che del business, aumentare il valore prodotto e ottenere consensi dagli azionisti. Come nel caso delle operazioni di M&A, gli atteggiamenti dei diversi stakeholder rispetto all’outsourcing sono spesso incoerenti e contradditori; d’altra parte, quando la scelta viene fatta correttamente, questo consente alle aziende di investire le risorse così recuperate sull’innovazione anziché sulle infrastrutture di sviluppo e produzione che sono già presenti e attive.
La trasformazione rapida e l’innovazione consentirebbero a settori, quali il settore farmaceutico, chimico e finanziario, di uscire dalla routine in cui si trovano. Tuttavia, una certa mancanza di “coraggio”, endemica nel tessuto manageriale italiano, rende molto difficoltoso affrontare correttamente questi temi.
Per chi si occupa di analisi di mercato quindi, il futuro del mercato dell’outsourcing risulta incerto, le previsioni, come le foglie di palma della Sibilla, sono distorte dal vento e quindi sibilline, non resta che la tasseomanzia e l’analisi della distanza delle foglie di the dal bordo della tazza…

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