A cura di Ezio Viola, Managing Director, The Innovation Group
E’ usuale alla fine dell’anno guardare a quanto è accaduto negli ultimi 12 mesi e cercare di individuare gli avvenimenti più significativi, in particolare nell’industria del digitale. Nel corso del 2015 si sono raggiunti alcuni record: il takeover di EMC da parte di DELL per circa 67B$ è il più grande finora annunciato nel nostro settore, il record per fusioni ed acqusizioni ma è stato anche l’anno delle separazioni consensuali di aziende come HP e Symantec o di Paypal da eBay per cercare di fare aumentare il loro valore. Anche Facebook ha raggiunto un nuovo record quando, nello stesso giorno, si sono collegati al social network un miliardo di persone. Su un altro fronte industriale, un altro tipo di record, ma negativo, è lo scandalo che costringe alle dimissioni il consiglio d’amministrazione di una multinazionale come Volkswagen: lo scandalo sulle emissioni truccate, utilizzando un banale software installato sui motori, ha minato la fiducia dei consumatori, ha indebolito il marchio, ha visto ridursi del 40% il valore delle azioni e segnato forse l’inizio di un declino inarrestabile per i motori diesel. Un’app come Uber viene dichiarata illegale, ma continuano a utilizzarla 8 milioni di utenti, ha oltre un milione di conducenti registrati ed un valore di 50 miliardi di dollari. La prova che il cambiamento non chiede il permesso: s’annuncia, e qualcuno raccoglie la sfida. Mentre i tribunali discutono e i taxisti protestano, le iscrizioni in Italia aumentano del 30%: se un servizio risponde ai nostri bisogni, non c’è legge che possa fermarlo.
Il 2015 e stato forse l’anno in cui si è imposta nei diversi paesi, in modo sempre più urgente, la necessità di capire l’impatto, potenzialmente dirompente, dei modelli di business realizzati dalle aziende della nuova economia della condivisione e della collaborazione. Questo riguarda non solo realtà famose come Uber e Airbnb ma altre in molti settori, dalla finanza ai servizi, e tocca non solo la loro straordinaria valutazione finanziaria (sono chiamate “unicorni” ) ma, molto di più, i risvolti sull’occupazione, sulla necessità di liberalizzare alcuni mercati oggi ancora protetti, sugli aspetti fiscali e, in generale, pone il problema di nuove politiche per incentivare l’innovazione introdotta dal digitale. Le nuove aziende offrono servizi per rispondere a bisogni con modalità non previste dalla legge ed è la prova di come il cambiamento sta arrivando dentro la società e nel lavoro: non per legge, ma per forza propria e non aspettano certo il via libera di parlamenti, assemblee polverose e consigli di amministrazioni che resistono.
Un’altra istantanea delle resistenze in corso: nelle settimane in cui tra #blackfriday e shopping natalizio l’abbinata e-commerce e smartphone rivoluziona le regole degli acquisti globali, in Italia si lanciano battaglie di retroguardia sugli orari di apertura dei negozi. Il mondo corre a mille all’ora e dalla mobilità alle vacanze, dallo shopping alla musica, dalla politica al sindacato, dalla televisione alle news, la tecnologia, la Rete, la disintermediazione e la condivisione aggrediscono i settori tradizionali, per smontarli e rimontarli con regole proprie. Nell’innovazione tecnologica non vale più, da tempo, la nostra idea di sviluppo lineare e se vi sono stati fenomeni evolutivi con andamenti esponenziali, li si è potuto governare, perché il loro impatto era, malgrado tutto, molto meno veloce e con minori implicazioni: ora non è più così!
In questo 2015 che fotografa una velocità di cambiamento sempre più alta, l’Industria ICT nazionale da solamente piccoli segni di ripresa ma si mostra lenta nel capire l’innovazione e i suoi impatti e la politica si affaccia timidamente a cercare di comprendere un po’ di più l’accelerazione in corso dei fenomeni che ci circondano: è comunque facilmente prevedibile che è sempre più urgente far nascere una leadership che sappia interpretare il cambiamento in atto e agire corentemente.
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