I TRE PROBLEMI DELLE BANCHE ITALIANE
I tre problemi delle banche italiane

Franco ViglianoA cura di Franco Vigliano, Associate Consultant, The Innovation Group

I problemi maggiori per le banche italiane, oggi, sono sostanzialmente tre:

La scarsa qualità del credito;
Le dimensioni ancora troppo piccole della maggior parte degli Istituti;
Un portafoglio zeppo di titoli di stato di un paese con un debito pubblico molto alto: l’Italia.

La scarsa qualità del credito

La sofferenze bancarie pare siano la madre di tutti i problemi. Il rischio è percepito da tutti: dal Governo, che ha bisogno di banche solide per rilanciare lo sviluppo; dall’Europa, preoccupata che vengano usati soldi pubblici per salvare le banche in difficoltà; dai dipendenti, correntisti e risparmiatori, che vedono a rischio il proprio posto di lavoro o i loro depositi.

Le sofferenze bancarie, ossia quei crediti che le banche hanno praticamente la certezza di non incassare mai più, hanno toccato quota 201 miliardi di euro (fonte Banca d’Italia), che rappresentano più del 10% dei 1.830 miliardi prestati dalle banche nel corso del 2015, mentre erano solo il 2,8% nel 2008. Non solo: il problema è diffuso, e ne soffrono le piccole come le grandi banche.

Ovviamente quanto è successo è una conseguenza diretta della crisi, dal momento che le banche hanno continuato anche in questi anni a fare il loro mestiere, ossia a finanziare privati ed imprese, anche se coperte di critiche per l’eccessiva cautela, se non addirittura per la mancata volontà di continuare a farlo. E molte dei soggetti a cui sono stati prestati soldi oggi si trovano in oggettiva difficoltà a restituirli.

Ma c’è sicuramente anche un tema legato al modo di fare banca, alla carente conoscenza del tessuto sociale in cui sono immerse, alla costosa preparazione del personale preposto all’erogazione del credito, alla carenza di strumenti nuovi e completi, che vadano ben oltre la disponibilità di inquiry sulla Centrale Rischi o i database di categoria.

La soluzione che viene proposta, soprattutto per sanare il passato, ruota intorno alla possibilità di costituire dei contenitori, le bad bank, in cui concentrare i non performing loans, per poi venderli a Società specializzate nel recupero crediti. Ed era inevitabile che la percorribilità di questa soluzione dovesse passare allo stretto vaglio dell’Unione Europea. Ma questo è solo un aspetto del problema: l’altro pezzo di soluzione sta, per il futuro, nella necessità di erogare del “buon” credito.

Le dimensioni delle nostre banche

Che tante banche italiane siano piccole non è certo una novità: le dimensioni riflettevano il fatto che esse erano funzionali a tutte quelle piccole e medie imprese che hanno costituito nel secolo scorso l’ossatura del capitalismo italiano, insieme alle grandi imprese a carattere familiare e quelle di Stato.

Oggi non è più così: il mercato si è globalizzato; le aziende, magari ancora piccole ma innovative, devono competere a livello mondiale e vanno accompagnate sul mercato da banche che siano solide, altrettanto innovative ed in grado di fornire ogni tipo di servizio finanziario.

Ora, nella classifica delle prime 22 banche europee per capitalizzazione, compaiono solo due banche italiane, rispettivamente al sesto ed al ventesimo posto [figura 1].

Questi sono i motivi per cui si parla di una seconda stagione del cosiddetto “risiko bancario”, che, oltre a consolidare le banche di credito cooperativo in un’unica Holding, potrebbe portare al matrimonio Istituti come Banca Popolare di Milano, Banco Popolare, UBI, Monte dei Paschi.

Senza contare infine che le grandi fusioni hanno sempre portato anche ad una revisione e razionalizzazione dei costi operativi, che rappresentano ancora, per molte delle nostre banche, una ottimizzazione da perseguire.

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Figura 1 – Classifica delle Banche per capitalizzazione di mercato (Fonte Bloomberg, listini del 29/01/2016)

                [Dati in miliardi di euro – in rosso le banche dell’area euro]

 

Le banche ed il debito pubblico italiano

Il terzo problema riguarda un parametro guardato con grande attenzione dagli analisti del settore del credito al momento di valutare il rating di una banca e l’outlook nell’andamento del titolo azionario: la composizione del portafoglio di proprietà. Ebbene, nel caso delle banche di casa nostra, la presenza di titoli di Stato italiani è ancora molto importante e questo espone le banche ad un rischio-paese, che, nel caso Italia, è tuttora presente per via del secondo debito pubblico per valore in area euro [figura 2], e che non è stato ancora superato dal varo delle riforme strutturali o dalla (tiepida) ripresa in corso.

Il motivo, poi, per cui le banche abbiano deciso di mettere nel loro portafoglio un così grande numero di titoli di Stato è dipeso da un insieme di fattori diversi. Certamente motivi nobili: la fiducia che l’Italia non sarebbe andata in default e il senso di responsabilità nel finanziare il debito pubblico, nel momento in cui il rischio di lasciare quei titoli invenduti faceva aumentare continuamente lo spread. Ma sicuramente anche gli alti rendimenti garantiti nel tempo, che l’Italia “too big to fail” avrebbe continuato ad onorare!

Oggi la scommessa in parte è stata vinta, e la possibilità di godere oggi di quei rendimenti e di poter cominciare a diversificare il proprio portafoglio di proprietà (sembra incredibile dirlo così nei confronti delle banche, quando sono loro per primi a consigliarlo ai loro clienti), dovrebbe portare ad un progressivo superamento del problema.

 

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Figura 2 – Il rapporto debito pubblico/PIL dei paesi area euro (Fonte Corriere della Sera)

                [Dati in percentuale – anno 2014]