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Gender pay gap, un problema anche nel settore terziario

Il gender pay gap, cioè il divario retributivo che separa uomini e donne dipendenti d’azienda, in Italia anziché ridursi continua ad allargarsi. E la colpa, ancora una volta, è della pandemia. Da una ricerca realizzata da Doxa sull’evoluzione del mercato del lavoro nel settore terziario è emerso che le restrizioni dei lockdown hanno spinto molte donne verso il part-time, con una conseguente riduzione dello stipendio da una media di 1.300 euro a 850 euro. E i due terzi degli impiegati che non fanno giornata intera sono donne.

Va detto che l’indagine di Doxa è estesa per campione, tempistiche e temi affrontati. Avviata nel 2020, ha coinvolto ben 407.929 lavoratori dipendenti, dei quali 172.316 impiegati a tempo pieno, 225.870 impiegati a tempo parziale e 9.743 quadri. Il gender pay gap è stato solo uno degli aspetti indagati, accanto a tematiche come la trasformazione digitale del settore retail (e i suoi effetti sui dipendenti) e il bisogno di nuove competenze. Lo studio è stato commissionato all’ente statistico da Quadrifor, Istituto per lo sviluppo della formazione dei quadri del Terziario, e da Ebinter, Ente bilaterale nazionale del Terziario.

Sebbene la scelta di chiedere un contratto part-time possa derivare da innumerevoli motivi, la netta prevalenza di donne (quattro dipendenti su sei) in questo sottogruppo fa riflettere e rimanda a una società in cui, specie durante i lockdown, sono state soprattutto le donne a farsi carico della cura di bambini e anziani tra le pareti domestiche. E non siamo noi a dirlo: è un’indicazione che negli ultimi due anni è emersa da numerose ricerche demografiche, non solo italiane. Purtroppo, quel che è peggio, un divario in busta paga tra uomini e donne esiste anche a parità di ore di lavoro previste da contratto. O meglio, mentre nei contratti part-time non si evidenziano particolari differenze (o addirittura sono le donne a guadagnare meglio), è invece significativo in quelli a tempo pieno e per professionisti con elevato titolo di studio.

Le variabili del gender pay gap in Italia


Il divario retributivo è ancor più marcato all’interno dei contratti quadri: qui, per le donne la crescita retributiva si arresta nell’intervallo tra i 35 e i 44 anni, mentre per gli uomini raggiunge l’apice tra i 45 e i 54 anni. Per le professioniste si delinea un rapporto diretto tra retribuzione e titolo di studio, mentre per gli uomini questi due elementi non sono direttamente collegati. Il gender pay gap, inoltre, è maggiore all’interno dei contratti inquadrati nel Contratto collettivo nazionale di lavoro  di Federdistribuzione e minore all’interno del CCNL di Confcommercio. C’è poi una variabile geografica: le donne impiegate nel terziario guadagnano più degli uomini in Val d’Aosta e Basilicata, ma molto meno nella Provincia autonoma di Bolzano. 

In generale, nelle regioni del Centro-Nord il lavoro a tempo pieno per addetti (uomini) del settore terziario viene pagato meglio rispetto al Meridione. Il divario geografico si accentua nell’ambito dei servizi e tra coloro che aderiscono ai Contratti collettivi nazionali di lavoro di Confcommercio e Federdistribuzione. 

“La ricerca evidenzia un gap salariale a danno delle donne ancora significativo, sebbene nel terziario distributivo sia leggermente inferiore a quel che caratterizza altri settori dell’economia”, ha commentato Marco Marroni, presidente di Ebinter. “Bisogna superare lo stereotipo femminile che caratterizza alcune professioni e impedire che le donne cadano nella cosiddetta ‘segregazione occupazionale’, spinte da un modello culturale che attribuisce solo a loro la cura dei figli, dei genitori anziani, della casa e di tutta la famiglia. È una battaglia culturale prima ancora che politica che anche le parti sociali devono affrontare insieme”.

Le nuove competenze digitali necessarie sul mercato del lavoro

Interrogando quasi diecimila impiegati di livello quadro del settore terziario, Doxa ha rilevato un’opinione sostanzialmente unanime sulle competenze digitali: oggi, più che in passato, è necessario possederle. La pandemia, come noto, ha accelerato la digitalizzazione delle aziende e in alcuni settori in particolare ha favorito un cambiamento del modello di business. Dallo studio è emerso, per esempio, che il 66% delle aziende ha reagito alle restrizioni puntando sull’e-commerce.

La corsa allo smart working, che almeno inizialmente è stata una scelta obbligata per la maggior parte delle aziende italiane, ha portato con sé alcuni problemi. Gli addetti quadri intervistati da Doxa hanno segnalato difficoltà nella gestione della motivazione dei collaboratori (34,3% delle risposte), difficoltà del personale e management nel comunicare con i colleghi in modo efficace e continuativo (32,3%), senso di isolamento manifestato dai collaboratori (31,3%) e percepito in prima persona (28,3%). Per quanto riguarda nello specifico la tecnologia, sono emerse lacune di competenze nell’utilizzo degli strumenti informatici necessari per il lavoro remoto (20,3%), limitazioni legate alla connessione Internet e/o telefonica domestica (19,7%) e limitazioni legate alla disponibilità di strumenti per il lavoro da remoto (14%).

La pandemia ha comunque rappresentato uno stimolo al cambiamento, anche in positivo. La metà del campione intervistato (50,3%) ha visto nelle limitazioni imposte dalla pandemia un’occasione per adottare dei cambiamenti, come per esempio l’avvio o il potenziamento delle vendite in e-commerce, sia tramite siti Web dedicati sia tramite social network. Il problema della carenza di competenze è stato affrontato da poco meno di un’azienda su due (47% delle imprese in cui lavorano i quadri intervistati) con corsi di formazione incentrati su marketing, vendite, customer care e gestione dei social media. Negli ultimi due anni il 68,3% dei quadri intervistati ha seguito i corsi di formazione da remoto.

“Digitalizzazione, innovazione e competitività sono le sfide comuni che stanno coinvolgendo tutte le aziende, chiamate a ripensare competenze e capacità dei propri dipendenti e quadri”, ha commentato Rosetta Raso, presidente di Quadrifor. “I cambiamenti in atto impongono a chi come noi osserva il sistema di approfondire le implicazioni lavorative, professionali e umane di questa trasformazione e di individuare i correttivi da apportare e le azioni da intraprendere, per accompagnare al meglio i lavoratori in questo percorso di auspicata ripartenza del Paese, unitamente alle aziende del settore”.

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