Tra gender gap e pandemia di covid c’è una relazione. E tra le conseguenze della crisi sanitaria ed economica mondiale c’è anche il fatto che per raggiungere la parità di genere su scala mondiale serviranno almeno 135 anni, anziché i 99 (un tempo già lunghissimo) precedentemente stimati. Questa la previsione contenuta nel 15esimo rapporto annuale “Global Gender Gap Report” del World Economic Forum e portata all’attenzione recentemente da Cristiana Compagno, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese dell’Università degli Studi di Udine (nota anche per essere stata una delle prime rettrici di ateneo in Italia (sempre a Udine, dal 2008 al 2013). Intervenuta al Festival Vicino/Lontano della città friulana, Compagno ha sottolineato il drammatico impatto della pandemia di covid-19 su uno scenario già grave: “Il covid si è mangiato la parità di genere: a livello globale il gender gap sulla base di 157 Paesi del mondo si assesta intorno al 68% e questo significa che dal 2021 in avanti serviranno almeno 135,6 anni per raggiungere il 100%, ovvero la parità di genere, mentre nel 2020 ne sarebbero bastati 99”, riporta Ansa.
Dal report del World Economic Forum (che si affianca a quello, altrettanto esteso, dell’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere) emergono evidenze che suggeriscono come il covid abbia avuto sull’universo femminile un impatto ancor più devastante di quanto non abbia avuto sugli uomini, riaprendo parzialmente alcuni gap che erano stati sanati. Questa è un’osservazione che abbiamo letto e sentito dire molte volte nell’ultimo anno, ma il “Global Gender Gap Report 2021” la sostanzia con dati di fatto, derivando un indice dall’analisi e dal confronto di 156 Paesi. La metodologia è rimasta la medesima dal 2006, anno della prima edizione, e prevede una valutazione di alcune variabili con un punteggio compreso da zero a cento.
Su scala mondiale, nel 2021 il percorso che punta alla parità di genere risulta completato al 68%: un passo indietro di 0,6 punti percentuali rispetto al 2020. Bisogna però distinguere tra quattro tipi di disparità di genere: di partecipazione alla politica, di opportunità economiche e lavorative, di istruzione e di speranza di vita e accesso alle cure sanitarie.
I quattro divari di genere da colmare
Il primo dei quattro era e rimane il divario più drammatico, dato che il percorso di risanamento del gap nel 2020 era completo solo al 24,4% e dopo la pandemia è regredito fino al 22%. Servirà quasi un secolo e mezzo (145,5 anni) per completarlo. Nei 156 Paesi esaminati, le donne rappresentano appena il 26,1% dei seggi parlamentari e solo il 22,6% dei ministri al governo. In 81 nazioni risultava, a inizio 2021, che non ci fosse mai stata una donna capo di Stato al potere. Va detto che alcune grandi nazioni contribuiscono al cattivo risultato di questo indice, mentre numerosi Paesi di piccole dimensioni hanno fatto progressi: complessivamente, nell’ultimo anno, il numero di parlamentari donne è aumentato.
Il divario di genere economico e lavorativo è il secondo più grave dei quattro: il percorso è completato al 58%. Se guardiamo, però, alle prospettive future, qui la situazione è ancor più desolante, perché il Wef prevede serviranno oltre 250 anni per azzerare completamente ogni disparità di genere su questo fronte. Negli ultimi anni i progressi sono stati minimali e segnati da una dinamica contraddittoria: da un lato, sul totale dei professionisti con competenze elevate la percentuale di donne è cresciuta; dall’altro, le disparità salariali persistono, così come c’è una significativa carenza di componente femminile nei ruoli di comando in azienda. Tra le figure manageriali, le donne sono appena il 27%.
Il Wef fa notare che i dati già disponibili, su cui è stato realizzato il report, non riflettono ancora pienamente l’impatto della pandemia. E le stime elaborate su un numero limitato di nazioni mostrano che i gender gap della sfera lavorativa ed economica si sono allargati. “Su scala globale”, si legge nel report, “il divario di genere economico potrebbe essere tra l’1% e il 4% più ampio di quanto riportato”. Dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (agenzia delle Nazioni Unite) suggeriscono che a causa della pandemia abbia perso il lavoro il 5% delle donne, contro il 3,9% degli uomini. Statistiche di LinkedIn mostrano un declino nelle assunzioni di professioniste per ruoli di leadership. A tutto questo si aggiungono i dati di Ipsos, che mostrano come siano state le donne, più degli uomini, a risentire dei lockdown: la chiusura delle scuole e l’interruzione di alcuni servizi sanitari hanno contribuito a causare ansia, stress e precarietà lavorativa per le madri di famiglia.
Siamo più vicini al traguardo della parità di genere per quanto riguarda l’istruzione e la salute. Nel primo dei due ambiti il percorso è arrivato al 95% su scala globale (e 37 nazioni lo hanno già completato), tuttavia l’ultimo miglio sta procedendo a rilento e potrebbero servire 14 anni prima di arrivare alla meta. Nel campo della salute e della speranza di vita, invece, la chiusura del divario è arrivata al 96% ma non è possibile stimare una tempistica per il raggiungimento del 100%.
Il gender gap nelle professioni tecnologiche
Non è un mistero che la componente femminile sia minoritaria negli ambiti di studio e lavorativi Stem, e le nuove professioni altamente tecnologiche e innovative potranno accentuare ulteriormente il divario. Tra le otto categorie di “lavori del futuro”, soltanto due hanno raggiunto la parità di genere, ovvero il settore delle risorse umane e quello della produzione dei contenuti (marketing e giornalismo). Nei settori che richiedono competenze tecnologiche siamo agli antipodi: nell’ambito del cloud computing le donne sono appena il 14% della forza lavoro, nelle discipline ingegneristiche sono il 20%, nel campo dei dati e dell’intelligenza artificiale. In questi contesti i progressi per colmare il gender gap stanno procedendo molto a rilento, di pochi decimi percentuali tra un anno e l’altro, o addirittura si osservano regressi.
Il gender gap e il rilancio dell’economia italiana
Nella classifica generale sulla parità di genere del World Economic Forum, l’Italia è solo al 63esimo posto, dopo il Perù, e molto lontana dal podio dominato da Islanda, Finlandia e Norvegia. In negativo spicca, fra le altre cose, una presenza femminile di appena il 21% sul totale delle figure manageriali (mentre le donne sono il 56,5% della forza lavoro nazionale). Con il suo 61,9% di percorso completato, lo Stivale è la nazione dell’europa occidentale peggio posizionata sull’indicatore del gender gap economico e lavorativo.
“La pandemia”, ha sottolineato Cristiana Compagno nel suo intervento a Udine, “ha allungato di una generazione in tutto il mondo il traguardo delle pari opportunità nell’accesso all’istruzione, al mercato del lavoro, alla leadership politica e al trattamento sanitario”. Il tema della disparità di genere non è marginale all’interno del progetto di ripresa economica italiano. A detta dell’economista, è necessario affrontare questo tema “in modo estremamente operativo per non mettere a rischio il successo del Pnrr e la allocazione efficiente delle risorse del Recovery Fund”. Che cosa significa, nel concreto? Per esempio, adottare tutte le possibili misure utili per accelerare il progresso sociale e culturale, dalla decontribuzione alle quote di genere, “che non sono illiberali, come qualcuno sostiene”, ha rimarcato l’economista. “Illiberale è non consentire a tutti di partire dallo stesso piano e consentire che ci siano piani sconnessi e soffitti di cristallo”.
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