A cura di Camilla Bellini, Senior Analyst, The Innovation Group
Per il 2017 il mercato digitale in Italia è previsto in crescita, soprattutto nelle sue componenti più “innovative”: cloud computing, mobile, analyitics. Certo è che paiono ancora lontani i trend di ripresa e la nascita di nuovi mercati, raccontati oggi da analisti e ricercatori: Internet of Things, AR e VR (ovvero realtà aumentata e realtà virtuale), intelligenza artificiale (AI) sono solo alcuni dei mercati che, benché iperesposti ad analisi e riflessioni anche in Italia, paiono ad una più attenta analisi ancora lontani dalle aziende e dai mercati italiani. A questo riguardo, diventa urgente domandarsi se sia veramente un hype infondato quello che ormai annualmente si genera intorno al digitale, o se siano altre le ragioni che paiono distaccare gli output delle analisi di mercato dagli effettivi trend del mercato italiano.
A mio avviso, la risposta sta, oltre che ad un più generale provincialismo, nel modo di fare ricerca e nelle sue fonti: anche a fronte di continui tagli da parte delle aziende in ricerche di mercato e la più generale tendenza delle branch italiane di multinazionali ad avvalersi di informazioni, report e numeri provenienti dalle case madri, sempre meno le fonti delle analisi e dei trend paiono essere le aziende italiane, con le loro peculiarità e specificità. Gli effetti sono molteplici e i rischi tanti: si corre il rischio, soprattutto, di parlare ad una velocità molto superiore alla reale capacità di assorbimento delle tecnologie da parte delle aziende italiane; mentre le aziende e le PMI cercano di comprendere e interpretare in chiave italiana paradigmi come quello del Cloud o il significato evolutivo degli analytics rispetto ad una più “tradizionale” BI o ancora quando si comincia a chiarire il ruolo e le possibilità di strumenti quali i social media nelle attività di aziende e imprese, già analisti e giornalisti parlano di cognitive computing, di realtà aumentata, di ecommerce spinto tramite visori, di blockchain, ecc. Paradigmi che oltre oceano le grandi aziende e multinazionali stanno affrontando con progetti- pilota e business case e che, di conseguenza, la ricerca “nazionale” registra come in atto, ma che al contrario in Italia rimangono appesi ai titoli dei giornali e a ricerche astratte di un mercato che non è il nostro. Certo che, in questo senso, il lavoro dell’analista italiano diventa più interessante, e forse nuovo all’interno del contesto digitale: oggi si parla di dual speed IT, ma forse in questo caso occorre cominciare a parlare di Dual Speed Analysis, ovvero di una ricerca che sappia parlare alle aziende italiane, rappresentandole, sapendo poi calibrare i messaggi e tradurre i trend internazionali in logiche effettive e sostanziali per le nostre aziende. L’analista serve infatti in primo luogo per comprendere i fenomeni e generare chiarezza, non a “spaventare” e a generare confusione: occorre infatti una nuova lucidità, anche da parte di chi fa analisi, per affrontare la rincorsa del digitale.
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