N. Febbraio 2021
a cura di Ezio Viola
Co-Fondatore, The Innovation Group
Transizione digitale e transizione ecologica non sono disgiunti e la seconda sarà paragonabile alla rivoluzione tecnologica degli ultimi venti anni.
Digitale e sostenibilità sono diventati i due termini più usati e diffusi nella narrazione quotidiana perché dettate dagli investimenti previsti dal NGeu e che il PNRR ha recepito ma dovrà meglio dettagliare e governare con l’aiuto dei neonominati Ministri dedicati. Del digitale come leva di trasformazione della vita e dell’economia ci occupiamo ogni giorno, così come il contributo che il digitale può dare nella direzione della trasformazione sostenibile di settori di industria, della mobilità sostenibile, come forte abilitatore dell’economia circolare.
Un po’ meno conosciuto è come il digitale stesso sia un fattore di produzione che ha un impatto ambientale e che deve avere una strategia di sostenibilità che riguarda non solo le aziende produttrici di prodotti e servizi del settore ma anche chi lo utilizza. Occorre creare consapevolezza e maturità che la crescita esponenziale del suo utilizzo sta diventando un fattore di impatto negativo sulla sostenibilità dell’economia globale.
Al riguardo è da leggere con attenzione il contributo del neoministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani in un recente articolo.
In esso ci avverte che non dobbiamo rinunciare alla tecnologia ma è bene sapere che ogni azione digitale ha una conseguenza sull’ambiente e chiederci quanto è verde il digitale.
“La tecnologia digitale è considerata un motore di sviluppo sostenibile perché consente di dematerializzare molte attività (per esempio ridurre l’uso della carta), ridurre gli spostamenti fisici (riducendo i consumi di carburante e l’inquinamento) e migliorare i processi manifatturieri (ridurre uso di energia e materie prime). Come per tutte le tecnologie il suo uso deve essere intelligente ed equilibrato: nessuna tecnologia è “gratis” e l’uso smodato delle piattaforme digitali rischia di vanificare i vantaggi intrinseci della transizione digitale“.
Viene detto anche che l’impronta energetica del digitale aumenta del 9% all’anno e fa degli esempi: “una email di 1 MegaByte produce la stessa quantità di CO2 prodotta da una lampadina da 60 W accesa per circa mezz’ora, …l’aumento del traffico digitale fra il 2013 e il 2018 abbia contribuito per circa 450 milioni di tonnellate di CO2 all’effetto serra globale“. Proprio in periodo di pandemia Covid-19 “queste tecnologie ci hanno consentito di andare avanti, ma hanno un costo energetico e ambientale importante: guardare un video in cloud per 10 minuti richiede la stessa energia necessaria ad alimentare 1500 telefonini per lo stesso tempo”
I fattori principali dell’impronta ambientale del digitale evidenziati sono: tutti i network di telecomunicazioni, i Data Centre, che sono in vertiginoso aumento per soddisfare la domanda di storage per cloud e analisi Big Data, i dispositivi connessi, che includono Computer, tablet, smartphone, smart Tv, smart watch che hanno raggiunto circa 8 miliardi, l’infrastruttura di Internet of Things , cioè il complesso di tecnologie che utilizza, robot, intelligenza artificiale, reti di sensori per automatizzare le linee di produzione e che oggi ha raggiunto circa 7 miliardi e mezzo di interfacce di comunicazione. Cingolani conclude che “Con l’attuale tasso di crescita del traffico digitale c’è quindi il rischio che nei prossimi anni l’emissione complessiva di gas serra dovuta alle tecnologie digitali vada a cancellare il 20% dei miglioramenti globali faticosamente ottenuti attraverso le policy di decarbonizzazione sviluppate nell’ambito degli accordi internazionali”
Detto ciò, dobbiamo guardare avanti e capire che similmente alla rivoluzione digitale, la rivoluzione della sostenibilità può cambiare ogni cosa e costituire la maggiore trasformazione socioeconomica dei prossimi anni. Come per il digitale, il grado di cambiamento e il suo impatto radicale sarà diverso per ogni settore. Tuttavia, il trend è irreversibile e sta raggiungendo per alcuni settori il punto di non ritorno (si pensi al settore energetico, dei trasporti e dell’automotive). Un mondo ed una economia «sostenibile» sono quanto oggi tutti dichiarano di desiderare ma occorre abbandonare la diffusa narrazione a volte utilizzata per fini di marketing e far migrare le aziende verso vere e proprie strategie ESG (Enviromental, Social, Governance), come la risultante dei diversi vettori che riorienterà i modelli di business (e di società).
Così come per il digitale, la sostenibilità può spostare quote di ricavi ma anche di profitto tra settori e/o aprire nuovi settori alla luce anche della velocità di crescita dei cambiamenti di consumo verso prodotti e servizi che riducono l’impatto ambientale. Nell’ultimo anno almeno 1.500 grandi aziende mondiali hanno annunciato il target di emissioni zero di lungo periodo ma poche hanno anche reso noto un piano dettagliato per il raggiungimento di quell’obiettivo. Per la maggior parte dei settori si tratterà di ragionare in termine di evoluzione e curva di rendimento ecologico, considerando la strada al cambiamento climatico come un investimento (e non un costo) e adottando un piano di transizione preciso e misurabile. La misurazione dell’impatto ambientale va condotta in modo integrato, sia a monte lungo la catena di fornitura, sia a valle lungo quella di distribuzione e consumo. Le conseguenze negative dei comportamenti e delle attività delle aziende saranno sempre più visibili, misurate e messe sotto la lente dei vari stakeholder, in primis gli investitori e i clienti. Tutto questo ricorda molto la storia dell’introduzione e diffusione delle tecnologie digitali nell’organizzazione nei passati vent’anni. Secondo alcune stime, se il prezzo delle emissioni di biossido di carbonio venisse triplicato a 100 dollari per tonnellata, la redditività media delle principali aziende di alcuni settori (energia, utilities, acciaio, chimica, cemento) verrebbe dimezzata. La rivoluzione della sostenibilità non si potrà fermare e anche la crisi in corso sta imprimendo un’accelerazione in questa direzione. Deve essere ben gestita sia per quanto riguarda gli investimenti del NGeu sia per le innovazioni che le aziende possono intercettare e azionare nei loro modelli di business, perché rappresentano un’enorme fonte di opportunità: nuovi mercati e segmenti di consumo, rivisitazione dei modelli operativi, nuova finanza. Occorre una visione di medio lungo termine per ripensare i loro processi operativi, il portafoglio di prodotti e servizi e le partnership in particolare per quelle necessarie all’utilizzo delle capabilities digitali fondamentali per la transizione verso la sostenibilità ambientale e sociale. Occorre quindi un vero cambio di paradigma nelle attitudini e nei comportamenti a cominciare dalla governance della strategia ESG sia all’interno delle aziende che delle organizzazioni pubbliche e delle politiche governative che saranno necessarie e attuate.
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