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Cryptovalute e mercati digitali: la bufera di oggi passerà

 

Da diversi giorni sui media la fanno da padrone le analisi relative all’andamento negativo delle quotazioni del Bitcoin e in generale delle principali crypto-attività, accentuate da alcuni episodi eclatanti e importanti tra cui ultimi il collasso della stablecoin Terra-Luna, il caso di Celsius che hanno causato perdite significative a investitori e messo in discussione e allarme i regolatori sui rischi dell’espandersi della finanza decentralizzata. La capitalizzazione di tutte le cripto attività è crollata dai massimi di novembre di più di 2700 miliardi di doillari e meno di 1000 Miliardi.

Queste analisi generalmente hanno 2 principali orientamenti la prima è che ci troviamo di fronte a un fisiologico ripulisti di realtà fragili e in alcuni casi anche truffaldine in un mercato quello crypto ancora in divenire e che quindi ciò che sta accadendo può avere anche effetti positivi e si fa diverse volte riferimento a quanto è accaduto più di 20 anni fa agli albori di internet e del web 2.0. La seconda valutazione invece è che quanto sta accadendo sia la ulteriore testimonianza che la finanza decentralizzata è un terreno di colture “selvaggio”  e che deve essere fortemente regolamentato se non rallentato e fermato.

Come spesso capita probabilmente una analisi più accurata è necessaria per non fare di tutto un’erba un fascio e buttare via il bambino con l’acqua sporca. Occorre fare dei distinguo nel mondo della cryptoeconomia che è complesso e composito.

Riprendendo quanto dichiarato in diversi contesti da Corrado Passera per individuare una logica di intervento dobbiamo distinguere tra piattaforme di mercato di scambio basate su infrastrutture tecnologiche  su cui la finanza decentralizzata è nata basate su DLT e BLOCKCHAIN, le crypto attività e  le cripto-currencies/valute digitali.

Le piattaforme digitali di scambio di nuova generazione (basate su tecnologie blockchain e DLT’s sono nate con il mondo crypto, ma attraverso il meccanismo di tokenizzazione (i NFT’s, i Non Fungible Tocken)  possono diventare piattaforme in grado di scambiare praticamente qualsiasi tipologia di asset (da beni immobili, a crediti, a opere d’arte, a contratti di qualsiasi genere). Rappresentano un’opportunità straordinaria perché mettono a disposizione degli utenti funzionalità non disponibili sugli attuali sistemi di trading elettronici (come smart contract, programmabilità degli asset, ecc.).  Le applicazioni che possono essere sviluppate su queste piattaforme sono sostanzialmente infinite. Molti settori, e tra questi quello bancario, saranno profondamente condizionati e si apriranno inedite nuovi spazi per  l’offerta di nuovi servizi. Queste piattaforme sono ad oggi, molto energivore e ancora piuttosto complicate nel loro utilizzo (tokens, wallets, exchanges, ecc.) e, spesso, molto onerose in termini di costi di transaione per l’utilizzatore. Il più serio punto di attenzione è però un altro. C’è infatti un enorme rischio sistemico legato al fatto che queste piattaforme possono realizzare scambi in forma, di fatto, anonima. Si sa da quale nodo parte uno scambio e a quale nodo arriva, ma nel caso di piattaforme del tutto aperte, è certamente possibile celare l’identità di chi sta dietro al nodo di partenza e a quello di arrivo. Non sfugge a nessuno l’interesse che la criminalità può avere per meccanismi di scambio e di trasferimento che evitino i controlli di Anti Money Laundering, e delle implicazioni fiscali.

Dei crypto assets, cioè gli attivi digitali di investimento (usati talvolta anche come mezzi di scambio e di pagamento) ne esistono migliaia ( più di 12000 a febbraio 2022) e ne nascono ogni giorno. Il Bitcoin è la principale di queste. Esse incontrano il favore di un largo pubblico anche retail per la promessa di facili guadagni.  La “mannaia” regolatoria deve essere usata però coscienziosamente perché non sono certamente i primi asset virtuali in circolazione, basti pensare a molti derivati, futures, ecc. In quanto tali, non c’è probabilmente ragione di limitarne la circolazione, quanto meno nel mondo degli operatori professionali. Un investitore deve essere adeguatamente informato ma deve essere libero di investire i suoi soldi in attivi di sua scelta con un chiaro livello di rischio ma occorre segnalare alcuni oggettivi rischi che questa categoria di assets porta con sé, soprattutto poiché molti di questi assets – basti pensare a talune ICO’s (Initial Coin Offering)  si sono dimostrate delle vere e proprie truffe. Gli investitori retail devono essere resi consapevoli  del fatto che si tratta di assets virtuali (non convertibili cioè automaticamente in valute legali), estremamente volatili e certamente manipolabili (la cui proprietà spesso è concentrata in poche mani). In buona sostanza gli investitori retail devono essere messi in guardia anche dagli intermediari dal rischio di considerare questi assets come vere e proprie valute utilizzabili come mezzi di pagamento o comunque automaticamente liquidabili.  Recentemente Banca D’Italia ha pubblicato una comunicazione al riguardo in cui richiama fortemente la responsabilità degli interemdiari e media in tal senso.

C’è poi un aspetto che potrebbe apparire secondario, ma che secondario non è: il cosiddetto mining di Bitcoin è energivoro e sta diventando una vera industria in mano di pochi   – si parla di consumi di elettricità pari a quelli di grandi paesi – e promuovere tecniche di questo genere in una fase storica come l’attuale nella quale viene richiesta a tutti maggiore responsabilità per ridurre lo spreco di energia, appare quanto meno irresponsabile. 

Il terzo pilastro riguarda quello delle crypto currencies come strumento di pagamento (Digital Money).  In questa categoria rientrano sia le Stable Coins  che le CBDC-Central Bank Digital Currencies. In questa ultima categoria troviamo ovviamente, l’Euro Digitale. 

Le Stable Coins, sono crypto assets che vengono presentate come convertibili in monete a corso legale, Esse oggi rappresentano la componente del mondo crypto più opaca. Anche se molti emittenti dicono di essere convertibili in valute legali, è ampiamente dimostrato , come nei  casi citati recentemente, le stable coins non tutte garantiscono la convertibilità in valute legali,  in quanto le riserve detenute a garanzia della loro convertibilità  sono ridottissime  rispetto alle masse di stable coins emesse. Se fossero riconosciute come convertibili in monete legali, gli emittenti di  stable coins diventerebbero di fatto delle crypto banks in un contesto di vero e proprio free banking. Si creerebbe cioè, una nuova categoria di banche in grado di produrre base monetaria, ma fuori da qualsiasi controllo delle banche centrali. Ciò farebbe perdere alle autorità il controllo della base monetaria e quindi, potenzialmente, dell’intera economia. Infineoggi le Stable Coins si qualificano come campioni della Finanza Decentralizata (DEFI Decentralized Finance) e si vogliono costruire un’aura di democrazia in alternativa alle autorità monetarie. Esiste, invece, il grande rischio che diventino strumento di ulteriori concentrazioni di potere e potrebbero infatti diventare le Company Coins delle Big Tech (es. Diem di FaceBook che però è morta di fatto). Certamente molti mega operatori che già sanno tutto di noi (dove siamo, cosa compriamo, cosa pensiamo, ecc.) sarebbero felici di conoscere anche il contenuto del nostro portafoglio e poterne addirittura determinare il valore. Nel metaverso sicuramente si darà per scontato l’uso di monete virtuali.  E’ necessario quindi intervenire prima che le stable coins diventino “ too big to stop.” In questa categoria delle digital currencies troviamo anche l’Euro Digitale e le CBDC’s – Central Bank Digital Currencies. Sono come le attuali monete a corso legale con una caratteristica in più, quella di poter “viaggiare” anche su reti digitali di nuova generazione (Blockchain e DLT) gestite dalle Autorità Monetarie. E qui sta la differenza rispetto alle stable coins: le CBDC’s sono strumenti capaci di tenere il passo della modernità garantendo al contempo un quadro di legalità che altrimenti rischiamo di perdere per sempre. Avranno sostanzialmente i vantaggi prospettati da molte banche centrali e dal sistema bancario? Esse permetteranno  di godere di tutte le più innovative funzionalità delle piattaforme digitali di scambio (es. smart contracts), potranno aprire spazi di innovazione nel mondo dei servizi finanziari e bancari (dal credito al wealth management alle stesse operations degli intermediari finanziari), potranno garantire tutte le tutele giuridiche delle monete a corso legale e  il rispetto delle regole dell’Anti Money Laundering in quanto tutti i nodi sarebbero parte di una rete controllata dalle Autorità e condivisa con gli intermediari regolamentati. Le autorità preposte potrebbero sempre sapere da chi partono le transazioni e a chi arrivano e verrebbe evitato il rischio di introdurre sistemi di transazioni anonime al servizio delle attività illegali. Tutte queste tematiche saranno al centro dell’agenda del prossimo Banking Summit di The Innovation group il 22-23 Settembre prossimi.

L’Euro Digitale non sarebbe solo un acceleratore di innovazione e uno strumento indispensabile per difendere la nostra sovranità monetaria, ma avrebbe anche forti e positive implicazioni geopolitiche.   Non a caso la Cina lavora al Renmimbi  Digitale almeno da 5 anni e lo presenterà fra pochi mesi alle Olimpiadi Invernali. Il primato della Cina, che sta già consolidandosi in molti settori dell’economia , potrebbe ricevere un ulteriore boost  e la sua  presa su molti paesi già ad essa legati aumenterebbe ulteriormente. Gli Stati Uniti seguiranno certamente a breve e potrebbero avvalersi della forza di talune Big Tech americane e delle enormi nuove infrastrutture digitali che si stanno costruendo nel loro Paese. L’Euro non deve rimanere indietro e deve accelerare se non vuole perdere peso nella scena globale e se vuole rimanere tra le principali valute mondiali utilizzate per transazioni e riserve. Se l’Euro rimanesse l’unica grande valuta non digitale  sarebbe a rischio il suo valore  e il ruolo della stessa Unione Europea”

I detrattori dell’Euro Digitale paventano il rischio di disintermediazione delle banche commerciali e una concentrazione di potere informativo eccessivo nelle mani della BCE. Il rischio di disintermediazione delle banche commerciali  che taluni sollevano è del tutto gestibile perché è escluso che la banca centrale voglia mettersi a gestire in proprio i rapporti con consumatori e imprese diventando una specie di Grande Fratello della finanza. La BCE continuerebbe a regolare l’emissione dell’Euro – per via fisica, per via bancaria e per via digitale – e a garantire il rispetto delle regole da parte degli intermediari. I rapporti con consumatori e imprese rimarrebbero in capo agli intermediari che continuerebbero a farsi concorrenza sul mercato sviluppando le migliori applicazioni anche grazie alle nuove piattaforme digitali  di scambio.

Il fattore tempo può essere cruciale: lasciare crescere troppo e disordinatamente il mondo crypto delle valute digitali e lasciare troppo vantaggio al renminbi e al dollaro digitale, potrebbe costare molto caro ai cittadini e alle imprese europee, oltre che all’Europa nel suo insieme.

 

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