Le criptovalute, ad oggi 1.506, sono state al centro dell’attenzione del mondo finanziario nel corso del 2017, con il valore di Bitcoin, la principale e più nota fra queste, che è arrivato a toccare 19.511 dollari il 18 dicembre 2017; il 2018, al contrario, si è aperto con nuovi fenomeni che vedono la reazione degli stati nazionali al proliferarsi di queste nuove forme di valuta digitali spesso paragonate ai tulipani dell’Olanda del 1600.
In aggiunta a Bangladesh e Bolivia, dove qualunque forma di cryptovaluta è proibita e punibile dalla legge, per prima è sta la Cina, a fine 2017, a vietare le ICO (acronimo di Initial Coin Offering, l’equivalente “crypto” delle IPOs) definendo le cryptovalute “una minaccia seria per l’ordine economico e finanziario”. A seguire ha incalzato la Corea del Sud (rappresentante il terzo mercato mondiale per le cryptocurrency) che, a gennaio 2018, ha annunciato (ma ha ritrattato poco dopo) di voler vietare lo scambio di cryptovalure sul mercato nazionale, causando un ulteriore calo in borsa per le cryptovalute.
Anche la banca centrale europea (BCE) si è espressa negativamente in materia: in passato un membro del suo consiglio direttivo ha definito Bitcoin “non una valuta” e, più recentemente, Draghi ha allertato le banche europee invitandole a considerare Bitcoin e le altre cryptovalute come asset molto rischiosi in quanto non soggette a regole. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha segnalato come le nuove valute digitali potrebbero essere utilizzate per riciclaggio di denaro, finanziamento di attività illegali e frodi fiscali. A questo proposito, seppur strettamente sotto controllo da parte delle autorità nazionali e inter-nazionali, vi sono stati esempi di alcuni utilizzi “alla luce del sole” di cryptomonete: uno dei casi più eclatanti è avvenuto in Turchia, il tesserino di un giocatore di calcio è stato pagato interamente con Bitcoin.
Strette sono arrivate anche dal mondo privato: infatti, molte banche statunitensi hanno informato la clientela sulla pericolosità degli investmenti in criptovalute e posto dei vincoli all’acquisto di criptovalute con carte di credito, ad esempio bloccando i pagamenti a favore delle società di exchange tra cui COINDESK; in aggiunta, anche Markus Mueller, Global Head of Chief Investment Office di Deutsche Bank, ha messo in guardia gli investitori sconsigliando esplicitamente un investimento in cryptovalute in questi frangenti; ancor più schietta è stata la “Austria’s Financial Planners Association”, che ha paragonato l’effettuare degli investimenti in cryptovalute a fare una “puntata al casinò”.
Inoltre, la notizia che Facebook bloccherà ogni tipo di advertising a favore di cryptovalute non ha fatto che favorire quel processo di perdita di fiducia; sempre in America, la SEC (l’equivalente della nostra Consob) ha bloccato una ICO di una banca texana volta a raccogliere fondi per lanciare la propria cryptovaluta; inoltre, recenti indiscrezioni parlano di come la SEC sia pronta a breve termine a promulgare regolamentazioni per il controllo a livello federale delle piattaforme per il commercio delle cryptovalute.
A tutte queste reazioni nazionali si sono aggiunte una serie di problematiche in termini di cybersecurity: è infatti successo più volte che diverse piattaforme exchange di queste valute digitali venissero attaccate da hacker. Meno di un mese fa Coincheck, principale piattaforma di scambio delle cryptovalute digitali, ha subito un cyber furto da 500 milioni di dollari in NEM (XEM), una cryptovaluta lanciata nel 2015; pochi mesi prima, era stato il turno di EtherDelta, piattaforma per lo scambio di Ethereum. I cyberfurti delle cryptovalute non hanno risparmiato neanche l’Italia: ad inizio febbraio infatti sono stati trafugati 17 milioni di Nano (equivalenti a circa 195 milioni di dollari) dalla piattaforma di scambio italiana Bitgrail Srl.
Tuttavia, vi sono anche una serie di nazioni che si stanno muovendo in un clima più disteso nei confronti delle cryptovalute e stanno creando una legislazione atta a governare le ICO: ad esempio, l’Australia è stato uno dei primi paesi a regolamentare le ICO tramite l’Australian Securities and Investment Commission (ASIC), decretando l’obbligo di aderenza al Corporations Act, di tenere il conto delle azioni (se le ICO emette quote) e di emettere uno statuto informativo ed acquisire una licenza di servizi finanziari se l’ICO offre consulenza finanziaria ai clienti. A livello europeo, è la Svizzera la nazione più “friendly” nei confronti delle valute digitali: sono state infatti stabilite diverse regole di governance per facilitare la diffusione e la gestione del Bitcoin in quella che mira a diventare, secondo il ministro dell’economia del paese, una “crypto-nazione” . In aggiunta all’applicazione della normativa antiriciclaggio in caso di criptovaluta e della necessità di ottenere una licenza bancaria, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari svizzera (FINMA) ha infatti decretato delle linee guida per le ICO dichiarando che, a seconda del caso, i token possono essere uguagliati a prodotti finanziari.
A livello italiano, la Banca d’Italia ha emesso anche lei dei “warnings”, sebbene ne abbia sancito la possibilità di utlizzo; recentamente ha anche aperto una consultazione pubblica avendo deciso che tutti gli operatori in criptovaluta (exchange o esercenti) dovranno essere iscritti ad un apposito registro. Nel frattempo, sono stati installati diversi ATM (7 nel nostro territorio) per la compravendita di bitcoin e ci sono addirittura zone geografiche in cui tutti (o quasi) gli esercizi commerciali accettano la criptovaluta .
Tutto questo è “oro digitale” o si sta andando verso lo scoppio di una bolla? Solo il tempo lo dirà; intanto godiamoci l’andamento ondivago dove, a turno, vengono accontentati tutti, entusiasti e scettici!