Nella lotta al coronavirus il vero alleato è quello tecnologico: shopping online, Smart Working, campagne di fundraising sono solo alcune delle attività portate avanti in questi giorni e rese possibili dagli strumenti digitali. Ma non basta: si può fare di più, ma a che prezzo?
Si è conclusa ieri la call lanciata martedì 24 marzo dal Mise e dai Ministeri dell’Istruzione e per l’Innovazione tecnologica con l’obiettivo di individuare i migliori progetti per sviluppare app di telemedicina e monitoraggio degli spostamenti dei cittadini per contrastare il coronavirus. In particolare, come emerge dal bando, obiettivo dell’iniziativa è individuare le migliori soluzioni tecnologiche (app, siti web, chatbot, ecc..) già realizzate da aziende/startup operanti nei seguenti ambiti:
– produzione e reperimento di tecnologie per la creazione di materiali e strumenti volti a facilitare la cura e l’assistenza dei pazienti;
– sviluppo di servizi di teleassistenza e telemonitoraggio per controllare da remoto i pazienti;
– sviluppo di tecnologie per il tracciamento/controllo degli spostamenti dei cittadini per gestire meglio l’emergenza sanitaria.
La call rientra nella più ampia iniziativa “Innova per l’Italia”, una vera e propria chiamata alle armi per enti pubblici e privati che, attraverso le proprie attività di ricerca/produzione di tecnologie, possano contribuire a contrastare la diffusione del virus. Si tratta di progetti che, pur essendo stati sviluppati per fronteggiare una situazione di emergenza, potrebbero rilevarsi di estrema utilità anche in futuro: in modo particolare il monitoraggio da remoto dei pazienti potrebbe essere applicato su pazienti che soffrono di qualsiasi patologia grave.
La forte attenzione che il governo sta dedicando al digitale per contrastare l’emergenza coronavirus è ben presente anche nel decreto “Cura Italia” che in molte delle sue parti contiene ampi riferimenti al digitale (dalle diverse disposizioni inserite relative allo Smart Working alla volontà di intensificare le attività di elaborazione/analisi dei dati anche una volta terminata l’emergenza). Allo stesso modo, il Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione e Agid hanno lanciato la piattaforma Solidarietà digitale in cui vengono offerti al cittadino servizi per facilitare lo Smart Working, nell’ambito della connettività, dell’ e-learning e dell’informazione/intrattenimento (quotidiani online, e-reading, streaming musicale, ecc…). la piattaforma ha permesso anche di supportare le campagne #iorestoacasa ed #ioleggoacasa che stanno circolando in questi giorni sui canali social.
Il contact tracking potrà salvarci, ma quali implicazioni per la privacy dei cittadini?
Secondo l‘Organizzazione Mondiale della Sanità per combattere il virus bisogna «trovare il contagiato, isolarlo, testarlo, trattare ogni caso e tracciare ogni contatto». Affinché ciò avvenga velocemente, le autorità possono richiedere agli operatori mobili di condividere i dati dei propri utenti, così da tracciarne gli spostamenti e risalire rapidamente ai contatti di eventuali contagiati. Ad analizzare la questione in modo dettagliato è stata anche una recente inchiesta pubblicata sulla rubrica di data journalism “Dataroom”, a cura di Milena Gabanelli che sottolinea come, appunto, si tratterebbe di attività che vengono già svolte da diverse piattaforme social e di delivery (Facebook, Google, Mytaxi, Deliveroo) che si basano proprio sulla geolocalizzazione degli utenti. Monitorare gli spostamenti dei cittadini permetterebbe, inoltre, di controllare eventuali violazioni delle misure attualmente in atto (spostamenti non giustificati o, nei casi più gravi, mancato rispetto della quarantena obbligatoria), andando così a intensificare gli attuali controlli.
Simili misure, tuttora in vigore, sono state già adottate in Corea del Sud dove il governo ha creato l’app “Corona100m” che informa gli utenti della presenza di persone contagiate nel raggio di 100 metri e dei relativi luoghi frequentati. Certo, quello coreano è un contesto del tutto diverso da quello italiano ma le disposizioni adottate hanno permesso di arginare la diffusione del virus in pochi giorni.
Fonte: Dataroom, 2020
In Italia i dubbi sull’effettiva legittimità costituzionale del ricorso a strumenti tecnologici per rilevare e tracciare i dati sensibili sono molteplici. La possibilità di sacrificare il diritto alla privacy in favore di quello alla vita è una questione spinosa su cui in Italia più volte è stata posta l’attenzione, ma il nostro Paese ha già dimostrato di saper fare di necessità virtù: in un’emergenza senza pari come quella causata dal Covid-19 il ricorso all’arma tecnologica ha permesso in molte circostanze soltanto un rallentamento dell’attività produttiva (scongiurandone un blocco definitivo).
La call lanciata dal governo e la possibilità di sviluppare servizi di telemedicina/telemonitoraggio possono realmente garantire una nuova tipologia di welfare per i cittadini italiani, ma a che prezzo? Quelli sanitari sono considerati come alcuni dei dati più sensibili da trattare, le autorità come dovranno muoversi?
In un’intervista a La Repubblica, il Garante della Privacy Antonello Soro ha rassicurato che «verranno adottati strumenti efficaci di contenimento del contagio ma sempre nel rispetto dei diritti dei cittadini». Secondo il Garante «bisogna evitare il rischio dello scivolamento inconsapevole dal modello coreano a quello cinese, scambiando per efficienza la rinuncia a ogni libertà e la delega cieca all’algoritmo per la soluzione salvifica. Così, una volta cessata l’emergenza, avremo anche forse imparato a rapportarci alla tecnologia in modo meno fideistico e più efficace, mettendola davvero al servizio dell’uomo». Non dimentichiamoci che si tratta di due tematiche dalla stessa valenza etica, da un lato c’è in gioco la libertà delle persone, dall’altro la loro vita.