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Cosa cambia con la MIFID 2 e come evolve l’industria dell’Asset & Wealth Management

N.  Aprile 2019
        

a cura di Carmen Camarca 
Analyst, The Innovation Group 

 

Come già più volte affermato, la Mifid 2 è stata l’ultima di una serie di cambiamenti che negli ultimi anni hanno impattato i mercati finanziari nazionali e internazionali.

La nuova normativa sulla cost trasparency, entrata in vigore ormai un anno fa, esprime, inoltre, i suoi principali effetti in un momento non particolarmente favorevole per i mercati finanziari, soprattutto per quello italiano, caratterizzato da andamenti negativi, prospettive economiche poco favorevoli e crescita lenta. Delle novità introdotte dalle nuove disposizioni e di quali iniziative concrete sono state avviate per farne fronte si è discusso lo scorso 27 febbraio al Digital Investment Management, primo workshop organizzato da The Innovation Group all’interno del Banking Program 2019 e volto a valutare gli impatti delle nuove disposizioni soprattutto per gli asset manager e per le reti distributive.

 

A un anno dall’entrata in vigore della MIFID 2 si può, dunque, affermare che essa ha:

  • richiesto a tutte le aziende del settore (sia manufacturing che distributrici) di dedicarsi molto di più agli aspetti burocratici a scapito del cliente. È bene, dunque, che il mercato torni a focalizzarsi sulle esigenze dei clienti, non sottovalutando l’importanza dei rapporti e dell’interazione con gli stessi;
  • reso più complessi i processi di product governance con conseguente deterioramento del modello dell’open architecture nell’offerta dei prodotti di risparmio gestito;
  • creato elevate pressioni sui costi, soprattutto per le asset class meno redditizie.

 

In questo contesto per gli asset manager si viene a creare la necessità di:

  • intensificare l’utilizzo dell’Artificial Intelligence (in particolar modo degli strumenti di analisi e raccolta dati);
  • ridisegnare la value proposition e diversificare il portfolio d’offerta (investimenti alternativi come private equity, fondi immobiliari, affiancati anche a fondi di nicchia come le commodity), correlandolo a specifici target di clientela;
  • dimostrare capacità di transformation, ovvero di affrontare e realizzare il cambiamento.

 

Le reti distributive, invece, dovranno:

  • estendere la value proposition a tutto il patrimonio complessivo dei clienti, non occupandosi, quindi, di gestire solo la ricchezza finanziaria;
  • evolvere le logiche di asset allocation, a fronte di un’offerta di prodotti (siano essi attivi, passivi, alternativi) più complessa;
  • affrontare la digitalizzazione a fronte dell’evoluzione dei comportamenti dei clienti e del fenomeno del passaggio intergenerazionale (i clienti del futuro saranno, infatti, i Millenials);
  • ridurre la complessità della product governance e promuovere maggiore interazione e dialogo tra produttori e distributori per sviluppare modelli di apertura e condivisione con gli altri operatori.

 

Se, tuttavia, da un lato l’introduzione della MIFID II ha reso più complesse le dinamiche di erogazione e gestione dei prodotti e dei servizi, dall’altro lo sviluppo e l’applicazione del digitale mette a disposizione dei consulenti diverse opportunità per efficientare i processi e migliorare le relazioni con i clienti, anche se il mercato italiano a tal proposito è da considerarsi ad uno stadio ancora iniziale.

Finora, infatti, il settore dell’Asset & Wealth Management italiano è stato caratterizzato da elevate barriere all’ingresso e da una forte resistenza al cambiamento, ma per il futuro la principale raccomandazione sarà quella di accettare i nuovi trend, adeguandovisi.  Si tratta di evoluzioni di una rilevanza tale da rimescolare tutte le carte dei modelli di business: sebbene gli interrogativi siano ancora molti e manchi un business model di validità universale, nei prossimi anni il successo e la ricchezza di ogni Paese saranno determinati dall’aver saputo dare risposte efficaci ai cambiamenti in atto sul mercato.

A fronte di queste trasformazioni, per l’industria finanziaria italiana potrà essere utile anche iniziare a sperimentare modalità di collaborazione con altri player (bancari e non), adottando modelli operativi volti all’open banking: le dinamiche e le strutture su cui si fonda l’attuale industria finanziaria italiana non saranno in grado, da sole, di recepire i nuovi stimoli del mercato. In questo contesto potrebbe rivelarsi strategica la cooperazione con attori che pur esulando dal contesto bancario e finanziario svolgono attività di banking: si pensi, ad esempio, al mondo retail e ai due giganti dell’e-commerce Amazon ed Alibaba e ai loro servizi di pagamento Amazon Pay e Alipay o agli altri “big” come Apple, Google, Facebook e Microsoft. Questi temi verranno trattati il prossimo 15 maggio nell’ambito dell’evento “Open Banking- Sarà questo il futuro del banking e delle banche?”, organizzato da The Innovation Group nell’ambito del Banking Program 2019 e volto ad analizzare gli effetti della PSD2, un’altra normativa che ha impattato in maniera significativa i diversi operatori dell’ecosistema finanziario, promuovendo una nuova stagione di partnership e collaborazioni tecnologiche.

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