N. Settembre 2021
a cura di Valentina Bernocco
Giornalista, Technopolis e IctBusiness
La Strategia Cloud Italia dovrà servire a modernizzare i servizi delle amministrazioni centrali e locali, ma anche a garantire quella sicurezza che oggi manca.
Anche la Pubblica Amministrazione italiana dovrà essere “cloud first”. Un’espressione cara ai fornitori di tecnologie, che la usano e la pubblicizzano abbondantemente. Nella Strategia Cloud Italia, annunciata a settembre dal ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, si cita questa espressione spiegando che gli strumenti e le tecnologie di tipo cloud beneficeranno di una “adozione prioritaria” da parte degli enti della PA ogni qual volta si debbano sviluppare nuovi servizi o utilizzare un nuovo software. Verrebbe da dire che il governo ha finalmente aperto gli occhi, perché il destino tecnologico del mondo va inevitabilmente in questa direzione. Secondo le stime di MarketsandMarkets Research, nel 2020 il mercato dei servizi di infrastruttura, piattaforma e software in cloud valeva 371,4 miliardi di dollari, mentre nel 2025 supererà gli 832 miliardi. L’osservazione (ovvia) che nasce spontanea è che oggi, nel mondo post pandemia, della “nuvola” non possiamo proprio fare a meno: come individui, cittadini, aziende, siamo tutti sempre più dipendenti dalla necessità di vivere e lavorare connessi alla Rete. I lockdown del 2020 non hanno fatto che accentuare la tendenza globale alla migrazione in cloud già in atto. E in effetti anche nel settore pubblico italiano ci sono stati esempi virtuosi di adozione rapida dello smart working di massa, come il Ministero del Lavoro e Istat. Ma c’è stato anche l’episodio non edificante del collasso del portale dell’Inps, che nel click day del 1° aprile 2020 non ha retto il peso del traffico in entrata.
Questo squarcio sulle magagne dell’IT della Pubblica Amministrazione, d’altra parte, è un po’ il segreto di Pulcinella. Il censimento 2018-2019 di AgID, l’Agenzia per l’Italia digitale, ha evidenziato carenze nei requisiti minimi di sicurezza per il 95% dei data center della Pubblica Amministrazione sui 1.252 analizzati. Ora le risorse non ci mancano: per il piano Strategia Cloud Italia ci saranno a disposizione 6,7 miliardi di euro del Pnrr, che dovranno servire a realizzare una “casa moderna per i dati degli italiani”, per citare le parole di Colao. Ovvero a modernizzare e riqualificare i data center della Pubblica Amministrazione, a garantire interoperabilità dei servizi, portabilità dei dati, oltre a sovranità digitale, controllo e protezione dei dati nel rispetto dei valori europei del Gdpr, resilienza, scalabilità, reversibilità. Gli enti pubblici che attualmente non soddisfano i requisiti minimi di sicurezza definiti dall’AgID dovranno migrare verso “soluzioni cloud qualificate” dall’agenzia o verso il Polo Strategico Nazionale, cioè l’infrastruttura ad alta affidabilità promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per cui si prevedono almeno quattro data center da realizzare entro il 2022. Inoltre, sarà adottata una nuova classificazione dei dati e servizi della PA, che saranno suddivisi fra “strategici” (cioè di impatto diretto sulla sicurezza nazionale, come il bilancio dello Stato), “critici” (rilevanti per la società, per esempio quelli relativi a salute dei cittadini e al benessere economico e sociale) e “ordinari” (se vengono a mancare, non causano l’interruzione di servizi essenziali). Ora si attende la pubblicazione, entro la fine dell’anno, del bando di gara per la realizzazione del Polo Strategico Nazionale. Secondo i piani, la migrazione di dati e servizi della PA dovrà essere completata entro il 2025. La “casa moderna” annunciata da Colao dovrà essere “una casa flessibile, con stanze diverse, ma tutte con lo stesso livello di sicurezza”: per costruirla serviranno le giuste tecnologie, per proteggerla e mantenerla solida nel tempo serviranno le competenze. Le due grandi questioni sul piatto. Il ministro per l’Innovazione ha promesso che la scelta dei fornitori sarà fatta valutando gli “opportuni requisiti tecnico-organizzativi” e non sarà una scelta politica. Ed è quello che tutti ci auguriamo, immaginando un’Italia diversa in tutti i sensi e non solo dal punto di vista della tecnologia.
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