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Combattere gli stereotipi di genere con la cultura (e la letteratura)

Esistono ancora gli stereotipi di genere, e quali conseguenze creano sulla nostra società? Maria Grazia Anatra, docente liceale, si occupa da anni di progettazione formativa su tematiche differenziate (intercultura, orientamento di genere, percorsi di eccellenza, eccetera), collaborando con soggetti istituzionali nazionali (Ansas) e regionali (Ufficio Scolastico regionale toscano.) Si è specializzata sui temi della certificazione di qualità nella Pubblica Amministrazione, della formazione come tutor on line e di politiche di genere. Ha tenuto corsi di formazione per conto della casa editrice Piemme Junior e laboratori didattici rivolti ai più giovani. 

È autrice di testi per l’infanzia e ha pubblicato studi e ricerche sui temi del genere. Inoltre è presidente dell’associazione di promozione sociale Woman to be, nella quale ha ideato e realizzato numerosi progetti finalizzati all’orientamento di genere, alla cultura di genere, al sostegno all’imprenditoria femminile. A lei si deve l’ideazione, nel 2012, del Premio di Letteratura per l’Infanzia Narrating Equality, che dal 2019 ha assunto una dimensione internazionale.

Vi proponiamo una sua originale riflessione su due temi solo apparentemente lontani fra loro: la trasformazione digitale e l’universo dei bambini… anzi, in particolare quello delle bambine.

Digital Transformation: Marta, sorriso di latta, ossia partire dalle… bambine! 

Il titolo sibillino può lasciare di stucco e porre una domanda: che cosa c’entrano le bambine con la tanto auspicata Digital Transformation? Le bambine c’entrano eccome, anzi appaiono proprio i soggetti da cui partire… per chi è convinto che i processi innovativi tanto invocati prevedano un legittimo equilibrio di genere tra chi si assumerà il compito storico di “traghettare” il sistema Italia verso irrinunciabili traguardi. Traguardi quali digital healthcare ed emergenza covid-19, mobilità sostenibile, infrastrutture e trasporto pubblico locale; cybersecurity, smart city e turismo, e ancora ecosistema 5G.

Ci chiediamo perché affidare ad una componente prevalentemente maschile, come quella costituta da professionisti competenti che lavorano nel settore della information technology, una sfida di così grande valore e portata storica per il cambiamento di cui beneficeranno le giovani generazioni, fatte di ragazze e ragazzi. La risposta giustificativa che di solito si dà in queste occasioni è il numero veramente esiguo di donne competenti in tali ambiti. Nella realtà i dati confermano non tanto la poca competenza femminile negli ambiti specifici, quanto una condizione formativa di partenza svantaggiata e squilibrata del genere femminile che si ripercuote nella presenza attiva di donne in tali ambiti professionali.

Nel nostro paese le bambine, poi ragazze, poi donne sembrano rifuggire come “il diavolo e l’acqua santa” i percorsi di studio che si addentrano nei meandri della scienza informatica e tecnologica sin dalla scelta della scuola superiore, per non parlare poi dei percorsi universitari successivi. In Italia dunque il divario di genere nelle materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) è ancora molto elevato.

È quello che emerge da un’indagine recente condotta da Save The Children ed elaborati dall’Istat, presentati in occasione della sesta Giornata delle donne e delle ragazze nella scienza, l’11 febbraio scorso (un’iniziativa istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2015). In particolare, sono ancora sotto il 20% le ragazze che decidono di intraprendere una carriera scientifica, contro il 37% dei maschi.

Dai dati riferibili all’anno scolastico 2018/19, solo una ragazza su otto si aspetta di lavorare come ingegnere o in professioni scientifiche, a fronte del rapporto di uno su quattro tra i maschi. Tra i diplomati nei licei i ragazzi sono più presenti in quelli a indirizzo scientifico (il 26% di tutti i diplomati rispetto al 19% delle ragazze), mentre solo il 22% delle ragazze si diploma in istituti tecnici, quasi la metà rispetto ai maschi (42%).

Una cultura conservatrice e discriminatoria

C’è da domandarsi se ci sia ancora qualcuno disposto a credere in una connaturata vocazione umanistica delle ragazze che le vede portate alle professioni comunicative o di cura in senso allargato (maestre, professoresse, farmaciste, mediche, logopediste) e molto meno in quelle dove la razionalità e la logica fanno da padrone. Oppure se l’evidenza delle cifre, così marcatamente squilibrate, non confermi una realtà delle cose assai più complessa e sfaccettata, legata a mentalità e culture ancora conservatrici e maschiliste: il sistema Italia e la crisi economica che ormai perdura da anni e che la pandemia rischia di peggiorare hanno rafforzato la tendenza a consolidare la posizione delle donne in ruoli riproduttivi, allontanandole spesso dal lavoro per mancanza di un welfare di sostegno alla maternità. Mentre quelle inserite professionalmente ancora faticano a fare carriera nelle organizzazioni più significative, mentre le vediamo pochissimo rappresentate nei Consigli di Amministrazione cioè in ruoli di potere in generale e anche nei settori della trasformazione digitale che più di altri vedranno allocare ingenti risorse economiche.

Dopo l’exploit dovuto alla legge Golfo-Mosca 120/2011 sulle quote di genere nelle società quotate in Borsa, la crescita si è fermata e “l’effetto trascinamento” che ci si attendeva sulle non quotate è visibile in parte solo nelle grandi realtà, dove però gli amministratori delegato donna sono appena l’8,4%. Dunque le quote non possono sostituire un cambiamento culturale… il solo che può davvero trasformare consuetudini e modelli culturali.

Gli stereotipi di genere nascono a scuola (mani di bambina con tablet)

Fare leva su un’educazione rispettosa dei generi e delle identità

Il meccanismo esistente infatti è funzionale a un sistema di potere che si autoregge su competenze forti, definite e considerate prevalentemente maschili, a cui le donne vengono scoraggiate ad accedere sin da bambine. Le ragazzine lo interiorizzano con il latte materno che il loro posto e il loro ruolo è già tracciato su un orizzonte assai limitato e circoscritto, pena l’essere considerate un poco… diverse, maschiacci, eccezioni che confermano la regola, strane tipe insomma. Sul versante opposto, ragazzini o adolescenti che volessero addentrarsi nelle professioni di cura, tipicamente femminili, sono ancora oggi molto più che scoraggiati, quasi derisi a partire dalla stessa comunità dei pari.

Questa è la realtà di una cultura ancora arcaica e discriminatoria. Ecco allora le positive azioni che da qualche anno Ministre come Elena Bonetti, alle Pari Opportunità e alla Famiglia, hanno messo in campo finanziando con somme significative (tre milioni di euro nel 2020) su progetti Stem cioè azioni educative prevalentemente rivolte a un pubblico femminile dalle scuole dell’infanzia al superiore, affinchè anche il genere femminile sia incoraggiato e avvicinato a questi ambiti così importanti per le tante trasformazioni che ci attendono.

Sono gocce nel mare,tuttavia… Quello che occorre incentivare sono azioni ricorsive e continuative nel tempo. Esistono anche iniziative diverse che partono dal basso, dalla società civile, e che tentano di trasformare una cultura della disparità imperante nella società italiana che mantiene granitici gli stereotipi legati al genere. Ne è un esempio il Premio di Letteratura per l’infanzia nato in Italia ma diventato internazionale Narrating Equality, da me ideato nel 2012, che seleziona e pubblica in lingue diverse ( italiano, inglese e spagnolo) e fa circolare in Paesi e continenti diversi testi narrativi rivolti a bambine e bambini dai tre agli otto anni, liberi da stereotipi sessisti.

La sfida proposta a chi partecipa al premio è quella di creare storie che offrano modelli alternativi di femminilità e mascolinità, improntati all’interscambiabilità dei ruoli, favorendo con ciò nuove e più equilibrate relazioni di genere. Nell’ultima edizione, una delle storie finaliste, scritta da una giovane informatica, Sonia Montegiove, ci parla di una bambina” tecnologica” che grazie al suo fiuto riuscirà a far ripartire la robottina “Marta, sorriso di latta”. È anche questo uno dei modi per trasformare l’immaginario di tante bambine e bambini che abiteranno con le loro sensibilità e i loro sogni il nuovo millennio. Largo allora alle tante bambine che vorranno immaginarsi di diventare… Samantha Cristoforetti o Rita Levi Montalcini o tanto altro ancora.

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