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La certificazione di genere fa bene ai dipendenti e anche all’azienda

Che cos’è la certificazione di genere, quali vantaggi può consentire di ottenere e come realizzarla? Si tratta di una pratica ancora poco conosciuta nelle aziende, anche perché di inclusione e parità di genere nel campo lavorativo si parla da relativamente poco tempo. Oggi, per fortuna, queste tematiche sono ben presenti non solo nel dibattito mediatico ma anche nei consigli di amministrazione e nelle discussioni dei team manageriali. Inoltre in Italia ci sono alcune interessanti novità legislative, che è bene conoscere per cogliere le opportunità collegate. Abbiamo approfondito il discorso con Alice Palumbo, socia amministratrice e fondatrice di IN-Genere, un’azienda benefit che si rivolge a Pmi, enti e associazioni, sviluppando progetti tesi alla creazione di ambienti di lavoro inclusivi.

Quanto è diffuso, tra le aziende italiane, l’interesse sulle certificazioni e i bilanci di genere?

È vero che la Legge n. 162/2021 interviene in materia di pari opportunità nel contesto lavorativo rafforzando la tutela già offerta dal D.lgs. n. 198/2006 (c.d. Codice delle Pari Opportunità), il concetto di certificazione invece è abbastanza recente. La legge n. 162/2021, in materia di parità di genere, estende ai datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti dell’obbligo di trasmissione al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del rapporto di parità; istituisce una nuova certificazione di parità, al cui rilascio corrisponderà la possibilità di applicare un esonero dei contributi a carico dell’impresa nella misura massima dell’1% e sino all’importo di 50.000 euro su base annua da riparametrare e applicare su base mensile.
La prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 è la linea guida che consente la certificazione della parità di genere alle imprese. È stata attuata dal decreto del ministro Bonetti dell’1 luglio 2022. I certificatori sono stati individuati (4 luglio) dopo l’introduzione della certificazione (16 marzo).
Negli scorsi mesi i quotidiani nazionali ne hanno parlato, i più sensibili al tema hanno seguito passo passo. Ho riscontrato molto interesse da parte delle aziende, degli enti e delle associazioni di categoria, sono certa che nelle prossime settimane creeranno momenti di approfondimenti utili a conoscerne i vantaggi.


Quali vantaggi si possono ottenere attraverso una politica aziendale di parità di genere, e quali vantaggi in particolare dalle certificazioni?

Programmi di leadership inclusiva, definizione di politiche e procedure aziendali orientate alla diversità e all’equità di genere, nonché il rafforzamento di meccanismi positivi legati al confronto costruttivo dovrebbero rappresentare la normalità. È il modo giusto per stare insieme e fare meglio. La certificazione è la validazione da parte di un esterno del fatto che un luogo di lavoro rispetta determinati standard, quindi è una garanzia per chi desidera andare a lavorarci o per le realtà che si trovano a dover scegliere tra un’azienda e un’altra in mercati ultracompetitivi.

Come è nata l’idea di IN-Genere? Quali difficoltà ha incontrato nel lancio del progetto e come è stato accolto in questi primi mesi?

Ho cominciato a fare impresa — prima generazione — nel 2012 in un settore diverso, sempre a contatto con le aziende. Credo molto nel networking e ho sempre dedicato molto tempo a progettualità all’interno di associazioni di categoria e focalizzate all’empowerment femminile, penso a LE Imprenditrici di Confindustria Brescia, a Ewmd (European Women’s Management Development), e più di recente con il Lions Club Capitolium, composto da sole donne. Sono molto grata alle reti di donne proattive che ho incontrato e con le quali ho vissuto un decennio di esperienze arricchenti. L’obiettivo nelle associazioni femminili che frequento non è mai pensare o coordinare un progetto, è collaborare con altre donne con il vantaggio di imparare l’una dall’altra nel percorso. Sono palestre di genere.
Personalmente ritengo che ogni centimetro di strada percorsa insieme fin qui abbia plasmato la mia vita e rafforzato il mio impegno verso l’inclusione. In più l’amore per l’autoimprenditorialità, la voglia di costruire team che possano fare la differenza, crescere e prosperare senza dimenticare il beneficio comune. Non è un caso che la neonata IN-Genere sia un società benefit.
Sicuramente l’attesa del decreto attuativo e della nomina dei certificatori ci ha rallentati, guardo al bicchiere mezzo pieno e penso che forse così abbiamo avuto più tempo per prepararci. Sono linee nuove per tutti, anche per chi fa già consulenza magari su altre certificazioni sarà nuovo. Noi abbiamo avuto mesi per concentrarci solo sulla ISO dedicata all’inclusione della diversità e sulla UNI per l’equità di genere. Incontriamo quotidianamente aziende interessate e cominciamo a costruire le prime proposte, per lo più sono aziende tra i cinquanta-sessanta dipendenti e i mille che hanno già politiche attive random da incrementare e trasformare in prassi da valorizzare.


Alice Palumbo, fondatrice di In-Genere
Alice Palumbo, fondatrice e socia amministratrice di In-Genere


Tipicamente, qual è l’iter previsto per una certificazione?

Come in tutti i progetti c’è la fase analitica (indagine sulla cultura della diversità, dell’equità e dell’inclusione nell’ambiente di lavoro con benchmark su settori analoghi), quella strategica (proposte di intervento personalizzate per colmare eventuali divari rispetto al desiderato, che possono essere attività di apprendimento e sviluppo come di revisione di interi processi interni e progettualità specifiche) e quella operativa, il momento attuativo. Non è necessario certificarsi per costruire un percorso di crescita su questi temi, qualche azienda potrebbe volersi mettere al passo senza necessariamente poi procedere con audit esterno. Coloro che invece desiderano certificarsi devono necessariamente, una volta pronti, chiamare un certificatore per essere verificati sul campo.

Quali azioni, secondo lei, sono più efficaci per promuovere nelle aziende una cultura dell’inclusione?

Credo che i processi HR e in particolare la selezione rappresentino un nodo strategico che influisce sul futuro gettando solide basi nel presente. Come identificare i migliori talenti senza discriminare alcun gruppo? Alcune ricerche spiegano ad esempio come la personalità sia un forte predittore delle prestazioni senza produrre differenze significative di sottogruppi. Ho trovato sensate le parole di Hogan in un articolo che ho letto tempo fa sulla rete, in cui si affermava che “le persone che sono ottimiste, perspicaci, calorose, coscienziose, tolleranti, di mentalità aperta, non difensive, fiduciose, modeste, umili, oneste, comprensive e preoccupate di aiutare gli altri lavoreranno per promuovere un ambiente di inclusività, indipendentemente dalla razza, dall’età, dal sesso, dal background e dalle idee.

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