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Banking Summit 2016: servizi bancari non banche

simona_macellariA cura di Simona Macellari, Associate Partner, The Innovation Group

Il mercato e il sistema bancario europeo ed Italiano sono in grande sofferenza e l’ultimo anno ha visto grandi cambiamenti: l’entrata in vigore del bail-in, il salvataggio di alcune banche locali e regionali, l’approvazione della nuova legge sulle banche popolari e sulle banche di credito cooperativo, che avvierà  un nuovo consolidamento  tra gli istituti bancari, la creazione del fondo Atlante per la gestione di una parte dei “Non Performing Loans”, circa 200 Miliardi, la continua pressione dell’andamento delle quotazioni, la vigilanza europea sempre più stringente, le nuove direttive in arrivo: sono le principali cause che possono portare a un cambiamento di paradigma. A questo quadro del sistema bancario si contrappone un’euforia, razionale o irrazionale, ce lo dirà il mercato nei prossimi anni, nelle aziende Fintech che sviluppano tecnologie applicate al sistema bancario: gli investimenti da parte del capitale di rischio nelle Fintech crescono in modo esponenziale e interessano tutti i segmenti dell’attività bancaria, dai pagamenti ai prestiti, dal credito al risk management, includendo l’advisory finanziario, la regolamentazione e la finanza alternativa.

Partendo da queste considerazioni, allo scorso Banking Summit 2016 i relatori si sono interrogati su come si possa riconfigurare il modello operativo e di business delle banche, “oppresse” da una trasformazione digitale che non riescono a gestire, e che subiscono, da un contesto economico che impone altri costi operativi, una situazione di “disruption” da parte di società tecnologiche che erodono le quote di mercato e i margini delle tradizionali aree di business delle istituzioni bancarie. Dal 2008 le banche,  invece di finanziare aziende ed erogare prestiti ai privati (cioè fare le banche), hanno spesso preferito depositare i propri capitali presso la Banca Centrale Europea, perché stimavano che il ritorno da quei depositi fosse superiore all’attività creditizia verso le imprese private. Questo ovviamente è stato un fattore che ha contribuito ad ingessare ulteriormente l’economia, a bloccare gli investimenti delle aziende e ad incrementare la stagnazione. Pertanto, le banche centrali hanno deciso di passare a tassi d’interesse negativi, chiedendo alle banche di pagare per depositare i soldi e uscire dall’empasse costringendo le banche ad erogare prestiti, abbassando, al contempo, il costo dei prestiti per i privati e quindi aumentare gli investimenti e la crescita economica.

Ad oggi questa strategia ha dato pochi frutti e ha determinato un ulteriore deterioramento della profittabilità bancaria come sottolineato al convegno; il ritorno alla crescita dei prestiti alle società non finanziarie è atteso nella seconda metà del 2017 ma comunque resterà sotto tono, soprattutto per fattori legati alla domanda, tra cui la debolezza della ripresa economica, il deleveraging delle imprese. Il fatturato bancario inoltre si contrae per l’imporsi di nuovi giocatori, le Fintech, soprattutto tecnologici, che nascono con un DNA transazionale, sono incentrati su uno sviluppo agile delle soluzioni, riescono ad istaurare un dialogo bidirezionale con i clienti, hanno un minore “cost & time serve” e riescono ad abbracciare e anticipare l’innovazione digitale.

Queste nuove realtà cambiano lo scenario del mercato di riferimento: aziende come Satispay, Moneyfarm, la borsadelcredito sono destinate a rimanere e stanno velocemente acquisendo quote di mercato; la supremazia della tecnologia esce dal dipartimento ICT e pervade tutta la banca; ciò si vede anche nella tipologia di personale di addetti all’interno delle banche: per esempio il 30% dei dipendenti (cioè circa 9 mila persone) della banca d’affari Goldam Sachs  è costituito da ingegneri e programmatori. Più o meno la stessa quota di Facebook!

A seguito del mutato contesto di mercato ed economico le banche devono cambiare modello di business, perché il modello di banca tradizionale, “Savings e Loans” basato principalmente su attività di raccolta e impieghi, non produce profitti. Lo scenario a tendere è quello  di “low interest rates forever or at least for longer”, per cui la raccolta sotto forma di deposito non genera più redditività poichè la “trasformazione delle scadenze tra raccolta  “a breve” e impieghi (a medio lungo termine) è meno redditizia a causa dell’appiattimento delle curve dei tassi di interesse”. Per quanto riguarda il contesto tecnologico che corre molto velocemente le banche, nei principali segmenti di mercato, devono ripensare i propri processi per trasformarli digitalmente, ma scontano la zavorra, culturale/manageriale/organizzativa, degli ambienti “legacy”.

La trasformazione digitale è indispensabile, ma è complesso inglobare la capacità innovativa della tecnologia: le banche sperimentano hackathon, per comprare cervelli, che spesso finiscono purtroppo per non essere utilizzati, piuttosto che l’open innovation, nelle sue più diverse sfumature, per trarre nuova forza vitale. Conseguentemente le Fintech che fino a poco fa erano considerate negativamente, ora hanno la possibilità di traghettare le banche dall’analogico al digitale, e quindi queste aprono la loro R&D a queste aziende, per trovare insieme nuovi modelli e servizi, nella consapevolezza che sempre più frequentemente  i clienti sono interessati ai servizi bancari e non a chi li eroga. Sta cambiando il modo di fare banca: Le Fintech sono spesso dei partner, il braccio armato o canale di vendita degli istituti finanziari su un determinato segmento, poiché risultano più efficaci ed efficienti; a loro volta le banche rimangono depositarie del “trust” e garantiscono alle Fintech l’accesso a un numero elevato di clienti.

E’ innegabile che, come ha recentemente affermato Mario Draghi, presidente della BCE, “le  banche europee sono troppe, costano troppo e sono poco efficienti. Devono diventare moderne, e sono lontane dall’esserlo”, giudizio che è in parte originato anche dallo sviluppo della capacità innovativa della tecnologia, che ha contribuito a modificare il paradigma.

E’ innegabile che  oltre ad aggregarsi, ridisegnare processi e razionalizzare il personale c’è anche un’inadeguatezza strutturale e che la profittabilità sostenibile potrebbe derivare da una relazione “plug and play” con le Fintech: ciò significa porsi al centro di un ecosistema di servizi digitali via API(Application Programming Interfaces), che selezioni partner erogatori di servizi. A questo proposito è utile ricordare la direttiva UE 2015/2366 del 25 novembre 2015, che dovrà essere recepita entro il 13 Gennaio 2018 dagli stati membri, che cambierà il flusso dei pagamenti per le banche e per i merchant e che imporrà di disporre ed esporre API che garantiscono  una connettività sicura tra i conti dei clienti e i vari fornitori di servizi di pagamento; indubbiamente questa potrebbe essere un’occasione importante per affrontare i problemi di cui sopra.

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