Due studi recenti hanno fornito indicazioni interessanti sul rapporto che esiste oggi fra le aziende italiane e l’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale a disposizione.
Da un lato, il Centro di ricerca in Leadership, Innovazione e Organizzazione Clio dell’Università Luiss Guido Carli ha messo in evidenza quanto lunga sia ancora la strada da fare per sfruttare il potenziale di queste nuove applicazioni. L’analisi dei dati raccolti da oltre 500 realtà ha messo in evidenza come solo il 22% disponga di un piano di sviluppo sull’AI, coerente con le strategie aziendali.
Traspare dallo studio (realizzato in collaborazione con Minsait) come ci sia una certa consapevolezza sull’importanza del momento storico, dato che il 52% delle aziende intervistate ha già lanciato progetti sull’AI con l’obiettivo di guidare le iniziative correlate per evolvere verso modelli data based. L’efficienza operativa appare la motivazione principale (25%) alla base dell’applicazione dei nuovi modelli all’interno delle aziende italiane, come leva per migliorare la propria competitività, seguita dalla volontà di consolidare l’esperienza dei clienti e dei cittadini con cui interagiscono (20%). Solo il 13% utilizza le tecniche di AI per scopi più dirompenti, come la trasformazione del modello di business e/o dell’offerta di prodotti e servizi.
Restano però ancora diverse barriere da superare. La ricerca ha posto in evidenza soprattutto il deficit di competenze e di professionisti specializzati nell’AI (19%) e la mancanza di fattori tecnologici abilitanti (16%). Non può sorprendere, dunque, come tre su quattro siano tuttora alla ricerca di figure come il ricercatore in ambito AI e il data scientist.
Inoltre, a prescindere dalle dimensioni delle organizzazioni, il 65% non possiede ancora un’infrastruttura tecnologica adeguata, con l’eccezione del settore bancario. Si può aggiungere che il 60% ammette di non avere una corretta conoscenza del quadro legislativo e il 13% ne teme l’instabilità.
In parallelo, lo studio “Architect an AI Advantage”, condotto da Sapio Research su oltre duemila responsabili IT di 14 Paesi, fra i quali l’Italia, evidenzia come esista ancora una certa incapacità di comprendere dove concentrarsi per far sì che i progetti di AI avviati possano avere successo. Per ottenere prestazioni efficaci, che abbiano un impatto sui risultati di business, è ad esempio necessario disporre di dati di qualità, ma solo il 26% ha predisposto modelli di governance che consentano di eseguire analisi avanzate e uno striminzito 7% è in grado di eseguire push/pull in tempo reale per consentire l’innovazione e la monetizzazione dei dati esterni.
Se poi Il 93% dei responsabili IT ritiene che la propria infrastruttura di rete sia predisposta per gestire il traffico dell’AI, meno della metà dei responsabili IT ha ammesso di avere una piena comprensione delle esigenze dei vari workload in termini di training, tuning e inferenza, mettendo in serio dubbio l’accuratezza nel provisioning di queste capacità.
Le organizzazioni non riescono a migliorare le relazioni tra le aree chiave del business, e più di un quarto (28%) dei leader IT descrive l’approccio complessivo all’AI della propria organizzazione come “frammentato”. Ancora più rischioso è il fatto che l’etica e la compliance vengano completamente trascurate, tant’è vero che le questioni legali e di compliance (13%) e l’etica (11%) sono considerate dai leader IT le meno critiche per il successo dell’AI. Inoltre, i risultati hanno mostrato che quasi un’organizzazione su quattro (22%) non coinvolge affatto i team legali nelle conversazioni sulla strategia AI della propria azienda.
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